Amare certi capolavori significa prima di tutto amare il lavoro di una squadra, di un team di produzione che magari ci ha preso per mano e ci accompagna fin da quando siamo bambini, o adolescenti. E’ il caso di Arkane Studios che in questi giorni compie vent’anni dalla nascita, la cui dedizione alla causa del videogioco ha prodotto tanti lavori rimasti nella nostra memoria per moltissimi anni. Ovviamente, come il resto del mondo, anche noi di Game-Experience ci uniamo ai festeggiamenti, e per celebrare a dovere questo importantissimo traguardo faremo una corposa retrospettiva sulla carriera dello studio e sull’intera produzione.
La storia
Il fondatore di Arkane Studios è Raphael Colantonio, ragazzo brillante già passato dalle mani di EA ed Infogames che il 28 maggio del 1999 decide di creare qualcosa di suo, sotto il nome di Arkane Studios. Il primo titolo della compagnia esce nel 2002 per due piattaforme, Xbox e Pc, e si chiama Arx Fatalis, un RPG dark-fantasy in prima persona molto particolare nella sua direzione artistica e di gameplay. La firma d’autore la vediamo già qui e la rivedremo ad ogni gioco, anche nei più recenti: l’amore per l’approccio libero, per la scelta, per la non-linearità della storia.
Arx Fatalis: una piccola parentesi
Similmente a Gothic, Arx Fatalis fu l’ennesimo gioco di ruolo sistematicamente sepolto da Morrowind e Neverwinter, nonostante a livello di trama e realizzazione fosse davvero notevole. Originalmente, Arx Fatalis doveva essere il terzo gioco della serie Ultima Underworld, ma quando gli sviluppatori dell’Arkane videro le restrittive condizioni poste da Electronic Arts per il proseguio della saga probabilmente si presero un colpo. Preferirono creare una nuova IP: nel 2002 Arkane Studio realizzò il suo primo gioco indipendente, che sarebbe poi entrato nella storia e che ancora oggi corre liberamente sui pc di ogni configurazione.
Vi darò la versione ristretta: c’era una volta una città chiamata Arx, che funzionava esattamente come ogni altro regno medievale del continente. La vita trascorreva tranquilla finchè, un fatidico giorno, il sole iniziò a farsi oscuro. Realizzando che tutte le forme di vita in superficie rischiavano di svanire, ogni razza lavorò assieme alle altre per spostare la città di Arx sottoterra, dove alcune miniere dei nani erano state abbandonate. Il processo di spostamento durò cinque anni – e una volta salvato il salvabile, le razze ci misero solo mezzo minuto a comprendere di essere salve e ricominciare a litigare esattamente come prima. Tranne gli Skaven, gli uomini ratto, che non avevano aiutato nessuno perchè nel sottosuolo già ci vivevano. Da notare anche che in questo mondo gli elfi non esistono: la mia mente vorrebbe credere non ce ne fossero, ma al mio cuore piace pensare che abbiano sofferto di un infarto massivo per un qualche elfico motivo. In sostanza, Arx Fatalis inizia con un’atmosfera da videogame post-apocalittico, dove la superficie del mondo somiglia a quella della luna o di un asteroide. Fortunatamente, una sana dose di magia aiuta gli abitanti del sottosuolo a crescere tutto ciò di cui hanno bisogno, animali compresi, e la vita va avanti. La scena iniziale è da vero classico senza tempo: ci svegliamo in prigione e non ricordiamo nulla. Cercare di scappare dai sotterranei ci insegnerà tutto quello di cui avremo bisogno sulle meccaniche del gioco: principalmente come funziona il combattimento corpo a corpo, privo di parata, e come gestire la magia. Quest’ultima fu una feature del gioco discussa e parecchio rivoluzionaria: trovando delle Rune potevamo difatti imparare simboli magici per nuove magie, che però non sarebbero partite da sole premendo un tasto. Il gioco prevedeva che dovessimo disegnare la runa col mouse per usare l’incantesimo voluto, impiegando tempo e precisione. Il massimo della concessione fu quella di poter preparare tre incantesimi in anticipo, ma sempre disegnandoli prima per poterli immagazzinare e usare velocemente poi. Incredibilmente, il sistema piacque. La parte grafica di Arx Fatalis era, per i corrispettivi del 2002, meravigliosa: disegnare degli ambienti interamente inseriti in un contesto sotterraneo alle lunghe sarebbe potuto risultare restrittivo, ma invece di indebolire il titolo questi ultimi diventarono la sua forza. Gli ambienti rimasero inarrivabili così come gli effetti sonori: quelli legati ai luoghi risultano ancora oggi alcuni dei migliori effetti mai sentiti in un videogioco, e fanno venire la pelle d’oca (per chi l’ha giocato, le imboscate sono ancora i vostri incubi peggiori). Parlando di impronta artistica, Arx Fatalis risultava spettacolare: fuori dal combattimento il personaggio aveva ogni libertà, e non solo poteva derubare, rubare e parlare alle persone, ma anche creare armi e armature, creare nuove pozioni o ingredienti usando mortaio e pestello, andare a pescare e cucinare il pesce per soddisfare la fame del personaggio (perchè sì, Arx Fatalis fu uno dei primi giochi ad avere un sistema di gestione della fame) o rovistare nelle scorte nemiche per lo stesso motivo. Addirittura raccogliendo dell’acqua, un po’ di farina e combinandole assieme si poteva realizzare del pane da mettere in forno e guardarlo cuocere in tempo reale – altre prove della geniale pazzia dei creatori furono il poter dare da mangiare ad un animale per farci seguire da lui, o poter catturare i topi gettando qualche fetta di formaggio a terra e tanti altri dettagli che andavano da piccolezze simili ai diversi modi di risolvere le quest, cose da cui avrebbe attinto a piene mani Dishonored in un periodo molto successivo.
Dopo Arx Fatalis, lo studio francese si prese del tempo prima di produrre un secondo titolo, lasso nel quale l’Arkane creò la propria costola, la Arkane Studios Austin. Questo non voleva essere un team secondario al primo, per cui Colantonio si diresse direttamente in Texas a prendere il controllo del team americano.
Dark Messiah of Might and Magic esce di lì a poco, nell’ottobre 2006 per Xbox 360 e Pc, ed è un nuovo RPG fantasy in soggettiva, un titolo quasi completamente indipendente rispetto alla serie Heroes of Might and Magic. Anche questo titolo conferma la tipica impronta di Arkane Studios, sia per il lato creativo molto bizzarro e fuori dagli schemi, sia sul versante del gameplay.
Dark Messiah of Might and Magic: un’altra piccola parentesi
Dark Messiah of Might and Magic è un videogioco action RPG in prima persona che sfrutta il motore Source Engine creato da Valve, che a differenza di E.Y.E. in questo gioco vive di vita propria e anche con un livello di definizione più che decente. Il gioco ci dà tutto il contesto di cui abbiamo bisogno senza rotolarsi troppo nella saga di Heroes of Might and Magic: abbiamo la classica profezia con il classico prescelto (con una grafica davvero rifinita per il 2006), il cattivone che evoca demoni e finalmente il nostro personaggio, lo sfigatissimo apprendista di un mago che deve andare al recupero di un cristallo. Se la storia poteva risultare piuttosto banale, la bontà grafica del titolo sta tutta su un’altro livello, con aree su cui non sembrano pesare più di dieci anni di passaggio generazionale. Il lavoro fatto sulle texture rende magnifica l’ambientazione, e l’uso delle luci risulta già molto contemporaneo, regalandoci scorci di stanze, stanzoni e baratri nella penombra che mozzano il fiato. Alcuni oggetti o modelli (specie quelli dei personaggi) possono apparire datati in contrasto, ma c’è talmente tanta bellezza da vedere che sui difetti ci si passa sopra con un carro armato: il generico setting fantasy che sarebbe potuto rimanere tale è difatti caratterizzato da scelte stilistiche uniche che balzano subito all’occhio… come l’indimenticabile tuturial che parte con queste parole: “Pensa. Adattati”. Il primo nemico che faremo fuori non sarà trafitto dalla nostra bella spada lucida (usata prima di tutto per tagliare una corda e sfondare una porta), ma tutt’al più calciato malamente giù da un baratro per insegnarci che ogni mossa è valida per sopravvivere – solo allora, la nostra spada diventerà utile. Arkane si focalizza come non mai in questo gioco nello spingerci a manipolare e utilizzare l’ambiente a nostro vantaggio come novelli Indiana Jones: la chiave di tutto il gioco è difatti il NON pensare come un eroe fantasy, ma in modo creativo, aiutati anche da una barra di adrenalina che si riempirà ogni volta che useremo metodi indiretti per uccidere e distruggere. Dark Messiah è anche pieno di aree segrete colme di “incentivi” e premi che incoraggiano a rigiocare il titolo, certi che ogni volta troveremo qualche segreto diverso dalla volta precedente – un’altra cosa che farà spesso parte dei titoli di Arkane Studios negli anni a venire.
Tornando alla storia, il vero balzo di categoria avverrà però con la collaborazione con 2K Marin per lo sviluppo di Bioshock 2, che finalmente farà sbocciare le mille potenzialità dello studio, sicuramente ispirando anche i progetti futuri della compagnia: difficile dimenticare il sequel del caro primo Bioshock, la cui storia prende luogo otto anni dopo la sua fine e ci permette di impersonare un Big Daddy. Bioshock 2 è una vera sfida in quanto amplia in maniera incondizionata il mondo di Rapture, facendoci decidere non solo il destino delle sorelline ma anche quello di alcune delle persone che incontreremo lungo la strada. Tecnicamente, meccanicamente e graficamente Bioshock 2 migliora tutto quello che poteva essere migliorato nel primo titolo e ci riporta nella carismatica e abbandonata Rapture, negli antri dei corridoi con vista sul fondale marino.
Bioshock 2: (stavolta davvero) una piccola parentesi
In BioShock 2 vestiamo i panni, o meglio lo scafandro, di un Big Daddy serie Delta, con capacità uniche come la possibilità di sfruttare i plasmidi e i tonici genetici. Abbiamo anche un legame speciale con una “sorellina”, praticamente un rapporto paterno con quella Eleanor Lamb fulcro di tutta la vicenda. Dieci anni dopo il nostro tentato suicidio, forzato dalla madre della nostra sorellina, riprendiamo la ricerca della verità in quello che è un vero e proprio ponte narrativo tra i due giochi. Bioshock ha saputo reinventare gli FPS e BioShock 2 ancora più del primo, con sconfinate possibilità di scelta adatte ad ogni scontro e ad ogni nemico. Tutto questo anche grazie alle prestazioni dell’IA avversaria che ci garantisce il gameplay inimitabile che ha reso celebre questo capolavoro.
Passano sei anni . Arkane inizia il sodalizio con Bethesda Softworks in qualità di publisher e successivamente viene acquisita totalmente da ZeniMax Media, e sfruttando la nuova libertà creativa torna in grande stile con il meraviglioso Dishonored, che esce il 9 ottobre 2012 per console e Pc. Dishonored farà sognare per anni migliaia di giocatori con la sua storia fortemente indirizzata allo SteamPunk, con un personaggio profondo come Corvo che lotta per riscattare il suo nome in un mondo sempre meno veicolato, sempre più indirizzato dalle scelte del giocatore: Dishonored è il grande trionfo del pensiero che aveva guidato Arkane Studios per anni, ovvero di produrre titoli che il giocatore fosse libero di esplorare senza percorsi predeterminati e nel modo che gli fosse più congeniale, fosse tramite lo sterminio libero o facendosi le ossa con un difficilissimo (ma appagante) stealth. Ancora adesso, Dishonored è l’incarnazione della scelta e della libertà d’azione.
Dishonored: non possiamo davvero non mettere altre parentesi
Mentre tutti aspettavano Assassin Creed III, Halo 4 e altri titoli dal largo riscontro, ecco che quatta quatta arrivava, in punta di piedi, l’Arkane con uno dei giochi che è entrato di diritto nella storia e non solo nella top ten del 2012. Dishonored fu un titolo decisamente stravagante: appassionante, ben realizzato, facile e appagante, con una longevità alle stelle nonostante il numero di missioni ristretto, con un’ambientazione che era un misto di Thief schiaffato nello Steampunk e tanta di quella libertà d’azione da farci un buffet – era tutto, anche di più di quanto ci saremmo mai aspettati allora da un videogioco. Nei panni del bel Corvo Attano, guardia del corpo dell’imperatrice che la vede morire sotto i suoi occhi, avevamo il compito di andare in giro per l’iconica Dunwall a riscattare il nostro nome e a salvare la figlia dell’imperatrice, Emily, non senza un piccolo aiuto da parte dell’oscuro Esterno: come potete vedere si tratta di una trama lineare, semplice, facile da seguire ma non senza colpi di scena, missioni secondarie, piccoli siparietti divertenti e l’onnipresente scelta di come agire. Accettare la nostra nomea di assassino e vendicare l’imperatrice nel sangue altrui, oppure considerarci ancora uomini e come tali, preservare l’umanità di altri uomini come noi, alla nostra ricerca certo, ma con famiglie, figli e case a cui tornare? Questi elementi hanno reso Dishonored un capolavoro unico e intramontabile.
L’uscita di Dishonored 2 nel 2016 ci ripropose la stessa formula ma con vari ampliamenti, accontentando chi voleva rivedere l’amato Corvo e chi voleva conoscere il fato della piccola Emily, oramai diventata un’imperatrice grande con uno stretto rapporto verso il suo protettore. Tuttavia non fu questo titolo a far gridare all’ennesima meraviglia, nè l’espansione spin-off “La morte dell’Esterno”. Il vero punto di svolta di Arkane arrivò nel 2017, quando uscì il titolo più rappresentativo, la summa dell’intera visione creativa del team dagli inizi fino ad adesso: l’immersivo Prey, reboot dell’omonimo shooter del 2006 di Human Head Studios, uno sparatutto in prima persona a tema fantascientifico con elementi di survival horror. Il titolo non venne comprenso immediatamente dall’utenza e dalla critica per la storia del reboot, e per il fatto che dell’originale conservava solo il nome e la visuale in prima persona, ma non ci volle molto perchè il mondo riuscisse a sorpassare anche questo gradino restando colpito dalla meravigliosa storia – che manteneva intatta la firma di Arkane sulla libertà d’azione – e dalla grafica superlativa, dalla scrittura dei personaggi e dalla complessità del level design che ne faceva una tra le esperienze più solide, articolate e sfaccettate di tutta l’attuale generazione.
Prey: l’ultimo gradino di una scala di parentesi (in salita)
Cosa succede quando Chris Avellone si unisce ad un team di sviluppo dal talento smisurato? La risposta è Prey. Il titolo di Arkane vede come protagonista Morgan Yu (maschio o femmina, una scelta molto marginale) che con il fratello Alex dirige la Transtar, una società scientifica all’avanguardia che produce le NeuroMod. Il 2035 di Prey è un futuro alternativo in cui il presidente Kennedy è sopravvissuto e la corsa allo spazio ha ricevuto una generosa spinta, aiutata deliberatamente dall’Unione Sovietica. Il risultato è la costruzione della Stazione Talos, dove la Transtar e i fratelli Yu conducono i loro esperimenti. Ma non tutto è come sembra: intrappolato in un loop e disorientato dai vuoti di memoria, Morgan capisce che in realtà le Neuromod sono sviluppate dagli studi sulla razza aliena Typhoon, che in breve tempo prende il controllo della stazione e uccide quasi tutti. Proseguendo incontreremo alcuni sopravvissuti, metteremo in dubbio dei legami, provando sempre una straziante malinconia per quelle vite spezzate e distrutte dagli alieni nella foga di progresso scientifico dell’uomo. Una trama eccellente, ed un gameplay ancora migliore, col gioco che fin dall’inizio ci metterà in costante pericolo contro un nemico letale e spietato. L’arsenale farà poca differenza ed è qui che entra in gioco nuovamente il meccanismo ben oliato di Arkane: possiamo scegliere di affrontare ad armi spianate nemici sempre più forti in grado di assumere qualsiasi forma di oggetto o farci a pezzi con l’energia psionica; decidere di procedere in maniera Stealth tenendo bene a mente che molti Typhoon sono mimetici o invisibili e quindi prestando sempre un’occhio ai rilevatori, oppure aguzzare l’ingegno tramite l’ambiente e sfruttarlo per una moltitudine di propositi. Qualsiasi cosa facciate, Prey vi darà solo eccellenze quasi del tutto prive di difetti tecnici e grafici, regalandovi un’avventura che difficilmente dimenticherete.
Adesso, il futuro di Arkane Studios prende il nome di Deathloop, un titolo che promette di darci tutto quello a cui siamo stati abituati da Dishonored e Prey, ma con un’esperienza ancora più coinvolgente e complessa. Dalle prime informazioni saremo in trappola sull’isola di Blackreef in una lotta tra due esperti killer apparente eterna. Il nostro obbiettivo? Tentare di terminare in qualsiasi modo il loop in cui siamo rimasti imprigionati, uscendo indenni dall’isola e dallo scorrere del tempo. Presentato all’E3 dell’anno scorso, del titolo per ora non si sa nulla, ma contiamo di avere presto aggiornamenti anche grazie alla ricorrenza importante non solo per i fan in trepidante attesa, ma per tutti i componenti di Arkane Studios che vi hanno lavorato o ancora lavorano per portarci la loro infinita passione e dedizione.