Quando è stato annunciato il prossimo arrivo di Return to Monkey Island il bambino che è in me, in parte, è rinato. Una sensazione meravigliosa: provare emozioni e coinvolgimento cosi intensi che tipicamente solo con l’innocenza e l’ingenuità della fanciullezza si è capaci di provare – sentimenti cosi intensi e liberi dai vincoli del reale che sono accessibili a ben pochi adulti, poiché la maturità e la consapevolezza hanno il brutto vizio di mettere in ombra il senso di meraviglia. Con la serie nata dalla mente di Ron Gilbert e Dave Grossman ci sono cresciuto e in parte mi ha formato – quante battute ispirate alla serie facevo, compreso ben da pochi che usavano guardarmi male, visto l’originale carattere dello humor offerto dai titoli della LucasArts.
Qualcosa era diverso, allora. I videogiochi erano una passione per pochi, roba da sfigati (come dicevano i bulletti alla mia scuola, a parte fifa e i giochi di guida, ndr). La tossicità senz’altro esisteva anche allora, ma per forza di cose la si sfogava in privato, e in tempi brevi. Poi c’è stato il boom dell’industria, e videogiocare è divenuta una cosa socialmente più accettata, ampliando enormemente il pubblico dell’industria. In quegli anni anche internet è divenuto più pratico, e di li a poco sono arrivati i social media, i sedicenti esperti di YouTube e tutta una serie di cose che, a lungo andare, ci hanno portato qui.
Di Return to Monkey Island non sentiremo più niente da parte del suo creatore, Ron Gilbert. Questo perché?
Perché l’utenza videoludica, oggi, è composta in parte da soggetti arroganti, mentalmente chiusi e privi di rispetto, che pensano bene sia opportuno attaccare, anche con aggressività, l’autore di turno se questi ha l’ardire di creare la sua opera come va a lui, e non come va ai vari esperti della domenica. L’argomento toccato, poi, è uno dei più soggettivi che si possano toccare in ambito videoludico; cosa che dimostra quanto questi utenti tossici siano incapaci nel giudizio obbiettivo. Il problema di Return to Monkey Island è la grafica.
Naturalmente nessuno si aspettava una grafica next-gen da un gioco simile. Nessuno pretende effetti di luce avanzati, elevate conte dei pixel o altro; dopotutto parliamo di un gioco che fa della nostalgia la sua pietra angolare. La lamentela riguarda qualcosa di ancor più soggettivo, ovvero la direzione artistica presa. Il gioco si presenta infatti con ambienti e modelli fortemente caricaturali, dall’aspetto goffo, a tratti grottesco. Uno stile originale, che può piacere oppure no – dipende dai gusti. Tuttavia c’è chi ha deciso che lo stile è brutto, obbiettivamente brutto, e che è distante da quello che dovrebbe essere lo stile della serie – certo, perché tu, utente, puoi sapere cosa si avvicina allo stile di una serie meglio di chi l’ha creata, giusto?
Questa critica è comunque facile da demolire fino alle fondamenta: la serie a cui si allaccia Return to Monkey Island non ha mai avuto uno stile univoco. I primi titoli erano in pixel art, ma già tra i due c’era un bello stacco nello stile – basta guardare il protagonista, Guybrush, per notare forti differenze stilistiche. Dal terzo capitolo in poi si sono visti titoli della serie a disegni, su stili differenti, e pure in 3D. Il seme di queste critiche fu piantato quando furono mostrate le prime immagini, ma gli amari frutti sono arrivati solo dopo la presentazione del video gameplay durante l’evento Nintendo Direct Mini. Da qui la cosa è degenerata.
Ron Gilbert è stato attaccato pesantemente, anche a livello personale, ricevendo tanta pressione da prendere una decisione che dovrebbe generare vergogna in chiunque abbia osato rivolgergli qualsiasi forma di attacco: ha deciso di smettere di seguire il gioco via social, cancellando molti commenti, e da oggi in avanti non condividerà altri dettagli sullo sviluppo. Una vera vergogna che degli utenti, dei profani del settore, osino attaccare chi del settore non è solo professionista ma pure veterano – ricordate che potete giocare anche per cinquant’anni, ma giocare non vi rende esperti come dei professionisti; proprio come guidare auto per una vita non ci rende tutti meccanici esperti.
“Chiuderò i commenti. La gente si sta rendendo veramente meschina e mi sono trovato a dover eliminare degli attacchi personali. Il gioco è fantastico e tutti nel team sono molto orgogliosi di questo. Giocatelo o non giocatelo ma non lo rovinate a tutti gli altri. Non scriverò più post sul gioco, la gioia della condivisione mi è stata strappata via”.