Avere fra i contatti FaceBook Alessio, in arte Elder0010, è un’esperienza mistica: lo aggiunsi quando i ragazzi di Antab Studio mi parlarono per la prima volta del progetto Power Glove Ultra, ovvero un controller per la realtà virtuale creato partendo da un Power Glove di Nintendo, un avanguardistico antenato del WiiMote per NES diventato un oggetto cult tanto per la spudorata pubblicità nel film “Il piccolo grande mago dei videogames” (anche se in realtà l’intera pellicola era un’enorme marchetta dei giochi della casa di Kyoto) quanto per il fatto che, pur constando l’equivalente di 150 euro odierni, semplicemente non funzionava. Sulla sua bacheca Alessio non fa che scrivere perle di saggezza sulla musica e sul modo di fruirne, su quali siano i migliori giochi e le migliori console di sempre e sulla superiorità di alcune stagioni rispetto ad altre ed è incredibile constatare come io e lui abbiamo idee divergenti praticamente su tutto. Su una cosa però siamo concordi, ovvero su quanto erano belle le avventure grafiche degli anni ’80 e ’90, quelle che adesso possiamo rigiocare tramite ScummVM e che all’epoca plasmarono quello che fu l’intrattenimento su PC in quegli anni. Da questo sentimento di nostalgia per quell’epoca è nato VirtuaVerse, avventura grafica a tema cyberpunk che vi presentiamo quest’oggi sviluppata da Theta Division, team composto dal già citato Elder0010, Mr Valenberg e Master Boot Record, che vi presentiamo quest’oggi.
Il mondo descritto da VirtuaVerse si colloca in un futuro non troppo remoto, un mondo cyberpunk dominato da un’intelligenza artificiale conosciuta come Xenon che ha sconfitto le altre IA in una cyberguerra e che ora è perennemente connessa alla stragrande maggioranza delle persone tramite degli impianti sottocutanei: si tratteggia quindi una distopia dove la popolazione è incapace di discernere ciò che fa parte del mondo virtuale e ciò che è reale. Nathan è uno dei pochi che ha deciso di non sottomettersi a tale impianto ed utilizza i suoi occhiali AVR per osservare il mondo con gli occhi degli altri cittadini, ma questa sua rinuncia lo ha reso un emarginato sociale. La storia ha inizio durante quella che sembra una piovosa giornata come tante altre quando Nathan si desta dal sonno di soprassalto e si accorge di due cose: la prima è di aver rotto i suoi occhiali AVR a causa del suo brusco risveglio, la seconda è l’assenza della sua ragazza Jay che ha lasciato un breve messaggio sullo specchio prima di sparire senza dare troppe spiegazioni. Nathan ha quindi due missioni: la prima è quella di riparare il visore in modo da poter tornare ad interagire all’interno del mondo virtuale, la seconda è quella di capire dove si trovi Jay e come mai si sia dileguata mentre il ragazzo dormiva. Gli eventi di VirtuaVerse si susseguiranno in un crescendo di mistero e tensione e porteranno Nathan a scoprire retroscena sul mondo in cui abita sempre più inquietanti, ad apprendere verità sull’identità segreta di Jay, sulle bande di hacker impegnate in sanguinose faide e sul controllo della popolazione da parte dell’IA dominante. L’esperienza mistica della quale parlavo nell’introduzione la provai quando iniziai a vedere delineata la personalità di Nathan: il protagonista non perde l’occasione per esprimere le sue riflessioni sul mondo che lo circonda, sulla necessità indotta nella popolazione di essere perennemente connessi ad un sistema cloud, sulla perdita della libertà individuale, sull’obsolescenza programmata e su quanto ci tenga a tenere i propri dati su supporti di memoria locali ed è lì che ho realizzato che le stesse cose le ho lette sul profilo di Elder0010. Forse sto interpretando in maniera errata il tutto, ma sono questi dettagli che fanno capire quanto cuore sia stato messo in VirtuaVerse, quanto ci sia della personalità e delle idee dei ragazzi di Theta Division nei personaggi di questo gioco e non è un caso che nella casa del protagonista si possa trovare uno strano guanto chiamato Ultra Glove of Power. La caratterizzazione dei personaggi e l’enorme quantità di riferimenti alla cultura pop, a quella del retrocomputing ed ovviamente all’impronta cyberpunk danno personalità ad un gioco che pecca in qualche situazione di ingenuità nella scrittura, che però si può facilmente perdonare.
Dal punto di vista del gameplay VirtuaVerse non è solo un tributo alle avventure grafiche, ma ricalca proprio quello stile di gioco tanto in voga negli anni ’90: a parte l’avere un menu delle azioni contestuale e non con il classico blocco con tutte le azioni disponibili presenti in diversi giochi dell’epoca, VirtuaVerse ricalca meccaniche di interazione e di risoluzione degli enigmi che nonostante possano apparire non molto fresche, riescono comunque a rendere l’esperienza di gioco soddisfacente. Una volta riparato, l’AVR di Nathan sarà una delle caratteristiche distintive di VirtuaVerse e costituirà un importante elemento di gameplay poiché il protagonista potrà osservare le due versioni dello stesso mondo, meccanica che contraddistingue il titolo di Theta Division e che si integra con la risoluzione di alcuni enigmi proposti dal gioco. E a proposito di enigmi, veniamo alla parte più succosa offerta dal gioco: VirtuaVerse vuole essere un gioco vecchio stampo, basato su un’esplorazione minuziosa dell’ambiente circostante e su una risoluzione che metterà a alla prova capacità di osservazione e di deduzione. Molto spesso il gioco non guiderà minimamente il giocatore, descrivendo vagamente quelli che sono i prossimi obiettivi ma richiedendo una buona dose di abilità deduttive necessari per rimettere insieme i pezzi del puzzle che comunque dimostrano di avere un certo filo logico ben preciso, sebbene non sempre facilmente individuabile. Il motivo che non lo rende sempre così definito è riconducibile al fatto che spesso non sarà presente nell’inventario proprio quell’oggetto che ci permetterà di ricollegare tutti i fili e giungere all’evento che permetterà di accedere ad una nuova area e questo perché il gioco si basa su due meccaniche fortemente volute dagli autori, ovvero il pixel hunting ed il backtracking: come già detto, VirtuaVerse non è solo un tributo alle vecchie avventure grafiche, ma eredita da esse anche le meccaniche che le hanno caratterizzate e che a qualcuno, soprattutto chi è abituato ad un approccio più moderno al genere, possono sembrare obsoleti. Se da una parte il pixelhunting rimane comunque un elemento che ho trovato intrigante nelle sessioni di gioco, anche perché gli scenari sono pieni di dettagli e ciò giova all’esplorazione, contemporaneamente il backtracking mi è parsa una meccanica già più vetusta, implementata nei giochi degli anni ’90 più per aumentarne artificialmente la longevità che per una scelta di design specifica, scelta che invece viene perpetuata volontariamente in VirtuaVerse nonostante il gioco conti un discreto numero di ore. La sensazione che ho avuto giocando è quella di avere fra le mani un gioco volutamente elitario per scelta stessa degli autori, non difficile perché dotato di enigmi impegnativi (o almeno, non solo), ma selettivo perché volutamente pensato per tenere alla larga i giocatori più giovani o comunque più inesperti. Indipendentemente da queste scelte che possono apparire vetuste ed apprezzabili solo da una fascia di inguaribili nostalgici, nel complesso il gioco regala soddisfazioni a chi cerca un’avventura grafica che non si esaurisca in un numero esiguo di ore e che non faccia del “Ho trovato un oggetto in quest’area, vediamo su quale altro elemento della stessa zona posso usarlo” una delle sue caratteristiche.
Veniamo infine alla componente tecnica ed artistica, forse la parte più riuscita in VirtuaVerse: anche sul fronte visivo ed uditivo il gioco non poteva non omaggiare le avventure grafiche di 30 anni fa, con un eccellente esempio di pixelart ed una forte ispirazione all’immaginario cyberpunk delineato da quel Blade Runner che è stato per tanti anni uno dei principali esempi per gli artisti che si sono avvicinati a questo genere. Il risultato finale è un prodotto che nelle scene urbane fa contrastare egregiamente il grigiore dei palazzi e della pioggia con i colori brillanti dei neon, accentuati dagli scenari virtuali ammirabili tramite il visore di Nathan, mentre l’atmosfera cambia radicalmente quando usciamo al di fuori degli ambienti cittadini, dove comunque il valore artistico rimane alto. Analogo discorso per ciò che riguarda la colonna sonora, estremamente evocativa ed azzeccata in ogni sessione, che fa largo uso di sintetizzatori e che si basa su ritmiche e sonorità a volte più elettroniche altre decisamente più rock e metal: la maglia sonora che si viene a creare, contornata dai sound FX del gioco, accompagna perfettamente il gioco di Theta Division. A coronare il tutto ci sono le scelte di sviluppo operate sul gioco: VirtuaVerse è attualmente disponibile si PC, Mac e Linux, acquistabile sia da Steam che da GOG ed oltre a supportare pienamente i maggiori controller disponibili sul mercato (compreso il tanto odiato Steam Controller che purtroppo in queste situazioni rimpiango di non possedere) è compatibile anche con la funzione di Remote Play su smarphone e tablet che ben si sposa con questa tipologia di gioco.
La recensione in breve
Il lavoro svolto da Theta Division è sicuramente encomiabile: al netto di alcune scelte di game design che potrebbero apparire vetuste ai più, VirtuaVerse presenta scenari e musiche di ottima fattura ed una serie di enigmi pensati per conquistare i fan delle avventure grafiche e farli innamorare del mondo cyberpunk tratteggiato nel gioco. A quando la versione per Google Stadia?
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Voto Game-Experience