Remnant: From the Ashes è uno sparatutto action con elementi GDR di Gunfire Games, già produttrice di Darksiders 3, che vuole e vorrebbe mettersi in campo come una sorta di Dark Souls post-apocalittico. Un’ambizione sostenuta dal fatto che Remnant abbia moltissimi punti in comune con la serie di From Software e riesca in un certo senso anche a portarli ben oltre, unendo un sistema da sparatutto in terza persona con elementi ruolistici e una manciata di eplorazione. Detta così sembra eccitante. Vediamo cosa c’è sotto?
Gli alieni vogliono tutti la terra. Sempre.
La Terra, assieme ad un’infinità di altri mondi, è stata invasa dalla piaga dei Root, esseri alieni provenienti da un’altra dimensione che corrompono tutto ciò con cui entrano in contatto. Noi giocatori ci troviamo ad impersonare uno dei pochissimi sopravvissuti a cui viene dato il compito, da una terra lontana, di indagare sui Root cercandone la fonte per poi spazzarla via una volta per tutte. D’altronde questi esseri ragionano in termini cosmici di ordine, volendo distribuire morte e silenzio in quei mondi più caotici come il nostro, ma manco a dirlo nessuno si spiega il perchè, o il come siano arrivati. L’unico a saperlo è un essere umano che si dice sia l’unico in grado di sconfiggerli, il Fondatore, che al momento si nasconde sulla cima di un faro più simile ad un torrione nero di Mordor.
Procedurale is better
Tutto quello che vedrete in Remnant: From the Ashes (che è anche il suo punto caratteristico) è che l’intero mondo di gioco è generato proceduralmente durante tutta la campagna. Il meccanismo di creazione è particolare in quanto si avvia solamente nel momento in cui si inizia una nuova campagna, rendendo quindi l’intera partita di un giocatore diversa da quella di un altro o da quella successiva. Va da sè che se la struttura della campagna è sempre la stessa – trama, obbiettivi, modo in cui si sviluppa – i livelli e alcuni boss che incontreremo saranno determinati in maniera casuale. Dopo un primo pezzetto di storia, il gioco ci permette di scegliere che archetipo – ovvero la classe – da impersonare, che da uno all’altro cambiano solo sulle armi iniziali e su qualche tratto distintivo. Il tuturial si dimostra estremamente semplice e ci fa cadere subito nel trabocchetto che si rivelerà fatale al nostro primo vero e proprio scontro con i Root, che è anche motivo del suo paragone con i Dark Souls: a parte alcuni tratti in comune come la barra di stamina, i focolari (che qui sono cristalli), i boss e anche una buona parte dell’interfaccia di gioco, gli scontri si rivelano fin da subito immorali in quanto a difficoltà persino selezionando il livello Normale tra i tre presenti.
La prima ora di gioco sa di preconfezionato, ma superata quella il gioco va migliorando in storia e difficoltà. Altro punto cardine del gioco è l’estrema cattiveria con cui viene trattato il giocatore singolo, in quanto alcuni boss sono quasi imbattibili da soli, penalizzando severamente l’utente che si trova quasi stordito a morte dall’attacco in mischia di un nemico. Il tempismo è quindi fondamentale per schivare gli attacchi, e senza un amico al vostro fianco sarà davvero dura non trovare questi passaggi irritanti e spietanti. Il gioco ha dei picchi evidenti di difficoltà che in alcuni punti sono quasi esilaranti sotto questo punto di vista, quindi armatevi di pazienza e nel dubbio, trovate qualcuno disposto a giocare con voi alla bisogna.
Una volta morti non si perde nulla comunque, ma il gioco vi rispedirà diretti all’ultimo checkpoint o, contro i boss, poco prima del vostro incontro. Non proprio un approccio più malleabile, ma che perdona molto più di un classico Souls – senza evitarvi le morti continue, specie in solitudine. Remnant: From the Ashes è evidentemente strutturato per una coop online con un massimo di altri due giocatori, ed effettivamente è affrontandolo in questo modo che il gioco dà il meglio, diventando godibile contro i boss più duri da sconfiggere, che fanno comparire peraltro iuna quantità di servitori impressionante, rendendo l’esperienza in singolo un vero e proprio inferno. Purtroppo però potrete proseguire nella storia solo in singolo od ospitando un match, a differenza dell’essere ospiti che non vi farà progredire con la trama.
A peggiorare il tutto, anche la scarsità cronica di munizioni e quei picchi deliranti di difficoltà improvvisa (persino in situazioni non concitate) che farebbero imbestialire anche un monaco zen: la mancanza di un equilibrio costante nel tempo è un punto a sfavore su cui gli sviluppatori dovranno lavorare molto, e che si avverte perfino in coop. Altro elemento stordente è la generazione casuale delle mappe ogni volta che si ricomincia il gioco, che sì rende sempre divertente e nuovo l’ambiente ma d’altro canto impedisce di sviluppare delle tattiche in quanto i nemici saranno sempre altrove rispetto alla volta precedente.
Remnant: From the Ashes inoltre si concentra molto sul combattimento con le armi da fuoco, nonostante la componente melee rimanga molto utilizzata specie in ambienti ristretti. Si possono usare pistole, shotgun e anche fucili da cecchino, il tutto implementato da una mole di mod notevole e da un gameplay che si comporta da sparatutto maturo, potendo dare filo da torcere ad altri giochi più conosciuti. Gli elementi GDR non sono così spiccati, ma permettono di aumentare certi tratti del personaggio tramite il guadagno di esperienza, e di potenziare le armi.
Mix di tecniche
Graficamente parlando Remnanth: From the Ashes non è un gioco eccelso, anzi, risulta piuttosto scarno per essere un prodotto del 2019. Il dettaglio grafico e dei modelli, gli effetti visivi e ambientazioni sanno di già visto, ci sono molti cali di frame rate, le texture non caricano subito e queste pecche si rifrangono contro gli NPC, dio cui vedrete il volto solo qualche secondo più tardi.
La soundtrack semplicemente non lascia nulla in particolare: ci sono poche musiche scritte per il videogioco e quelle che sentiremo non vi rimarranno affatto nella mente, mentre all’opposto c’è un notevole doppiaggio italiano con voci che convincono durante i dialoghi, una vera sorpresa sotto il punto di vista sonoro.
Se la grafica non è il suo piatto forte, i livelli renderizzati comunque sanno fare il proprio lavoro rendendo piacevole esplorarli alla ricerca di segreti, puzzle per ottenere armature, o di un passaggio secondario con un boss. E una volta fatto tutto? Basta tornare al bunker Ward 13 e resettare la campagna mantenendo tutti i progressi e gli oggetti del personaggio, potendo anche variare il livello di difficoltà per chi è davvero di buon umore. Certo, ci sono comunque pecche che sono impossibili da scavalcare, come una funzione di raccoglimento del loot automatico che impedisse di stare a premere un tasto (esponendosi agli attacchi) per raccogliere gli oggetti, oppure la mancanza di nickname durante le coop sulle teste degli avatar, cosa stupida a due che diventa complicata da gestire quando si è in tre. Anche la localizzazione italiana ogni tanto scivola sui termini, e le ambientazioni alla lunga vengono riciclate assieme ai livelli. Tutti difetti piccoli che non hanno grosse ripercussioni sull’esperienza, grazie ad una qualità generale buona, ma che vanno assolutamente migliorati.
PRO:
⦁ Progressione del personaggio ben fatta
⦁ La scelta delle mod influisce sull’approccio al mondo di gioco
⦁ godibile sia in singolo che in coop
CONTRO:
⦁ La generazione casuale è un continuo riciclo di mappe alle lunghe
⦁ bilanciamento dei livelli di difficoltà pessimo
⦁ A volte potreste essere costretti alla coop per non sfuriare
Piattaforma: Pc, Xbox One, Ps4
Pegi: 18+
Longevità: 20 ore
Sviluppatore: Gunfire Games
Editore: Perfect World Entertainmente
Distributore: Steam
Lingua: completamente localizzato in Italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo
Anno: 20 agosto 2019
Tipologia: Azione, Sparatutto in terza persona, GDR