La guerra che sta travolgendo il continente di Urralia è ormai arrivata al suo picco massimo, lo scontro fra le nazioni di Pygaria e Roditoria ha causato numerosissime vittime fra le quali anche Vera, la Sacerdotessa senza Dio, e questo fatto ha causato il ritorno del Voden, l’entità che ha creato il Vuoto e che era stato sconfitto secoli fa. In questo setting narrativo prende il via la trama di Omensight, ultimo lavoro di Spearheads e seguito spirituale del loro precedente lavoro Stories: The Path of Destinies; Omensight si presenta come un hack n’ slash dallo stile cartoonesco che vuole miscelare l’action con uno sviluppo narrativo a bivi, ma fino a che punto la narrazione terrà in considerazione delle scelte del giocatore?
Vivi. Muori. Ripeti.
Siamo al tramonto dell’ultimo giorno, poco prima che Voden riesca ad inghiottire Urralia nel vuoto assoluto: un’entità che risplende di luce propria conosciuta con il nome di Araldo fa la sua comparsa sul mondo intento ad impedire che la catastrofe faccia il suo corso ed annienti ogni cosa, un’entità che appare solo nei momenti in cui il mondo si trova sull’orlo della distruzione totale e rappresenta l’ultima possibilità di salvezza per gli esseri viventi. Tuttavia l’Araldo non è abbastanza forte per poter sconfiggere da solo Voden, per quanto questo non sia al pieno delle sue forme, pertanto aiutato dalla strega dell’Albero della Vita l’Araldo dovrà risolvere il mistero di chi ha ucciso Vera, la Sacerdotessa senza Dio, che potrebbe aiutare il nostro avatar a portare a compimento la sua missione. Per poter portare a termine la missione dovrà farsi aiutare da uno dei quattro coprotagonisti dell’avventura che potremo selezionare a turno ogni volta che ricominceremo dal mattino dell’ultimo giorno, in una sorta di Edge of Tomorrow (o Ricomincio da capo, se preferite le marmotte) in salsa fantasy: i quattro personaggi sono l’imperatore Indrik, la sua generalessa Daga, lo scontroso Ludomir e l’astuta Ratika. Come per il gioco precedente, anche in Omensight i personaggi sono tutti animali antropomorfizzati, nella fattispecie Indrik è un’aquila che regna su Pygaria e sui clan dei cani e dei gatti, al quale appartiene Draga, mentre Ratika è il comandante di Roditoria, la nazione dei topi con la quale è schierato anche l’orso Ludomir per via di un odio recondito nei confronti di Indrik. Nel corso dell’avventura alcuni aspetti cardini della vicenda chiamati Omensight verranno rivelati ed i frammenti dei ricordi che li compongono potranno essere raccolti dall’Araldo per poi essere mostrati ai comprimari all’inizio del giorno successivo: questa meccanica serve a convincere i coprotagonisti a collaborare con l’Araldo andando anche contro i propri alleati, cambiando le proprie affiliazioni man mano che emergono nuovi dettagli sulle vicende.
Questo obiettivo viene centrato solo in minima parte: sin dalle prime fasi di gioco ci viene sottolineato come le nostre scelte possano radicalmente influenzare il corso degli eventi e nel progredire della narrazione ci capiterà nelle prime ore di cambiare opinione sul punto di vista dei personaggi. Tuttavia più ci avvicineremo al finale e più ci renderemo conto dell’amara verità sul gioco (e qui mi permetto di fare degli spoiler): nessuna scelta da noi effettuata influenza davvero la narrazione degli eventi, nessuno dei quattro protagonisti è davvero crudele come si possa immaginare o sta complottando con Voden per distruggere il mondo, persino la Sacerdotessa Vera, la cui lealtà viene messa in discussione nelle battute finali, non è davvero intenzionata ad abbracciare il Vuoto. Insomma, tutto l’impianto narrativo correlato dalle meccaniche investigative e dall’uso degli Omensight crolla di fronte all’amara verità del finale: un finale unico al quale si arriva percorrendo diverse strade che però determinano solo quanto tempo impiegheremo prima di scoprire i segreti custoditi dai vari personaggi e non un reale cambiamento nella trama, un finale che porta ad un epilogo tutt’altro che positivo per i quattro eroi che ci hanno accompagnato nel corso dell’avventura. Non fraintendete, non sono per il lieto fine a tutti i costi, ma nonostante la caratterizzazione a volte un po’ sopra le righe dei personaggi nel complesso non mi sia dispiaciuta non posso dire lo stesso dell’intero impianto narrativo che non riesce a sorreggere un finale così tragico da essere fuori contesto.
È la telecamera che legittima tutto
Ma tolta la trama altalenante e deludente sul finale, il gioco è apprezzabile? Come accennato nell’introduzione, il gioco è un hack n’ slash che non introduce niente di nuovo nel genere, con attacchi leggeri e pesanti, schivate e salti. Gli scontri presentano una buona varietà di situazioni (considerata la durata esigua del titolo che si attesta intorno alle 6-7 ore), dovute anche al fatto che ci dovremo confrontare a seconda della situazione con membri del clan dei cani, soldati di Roditoria ed i chipers generati dal vuoto (orrendamente tradotti con “codici” quando invece il termine più adatto sarebbe stato “nullità”, ma sul discorso delle traduzioni ci torneremo). Tuttavia anche nelle modalità più elevate il gioco si dimostrerà piuttosto facile da portare a termine, non offrendo pertanto un valore ludico memorabile sebbene sia comunque in grado di intrattenere più che dignitosamente. I mondi da esplorare sono solo 4 e la struttura ricorsiva del gioco vi porterà a visitare più volte ciascuna delle ambientazioni, tuttavia è stato utilizzato un intelligente sistema di acquisizione di incantesimi per rompere i sigilli che ci sbarrano la strada facendoci così accedere a nuove aree all’interno di ciascun livello, trasmettendo non solo un senso di progressione per essere riusciti ad intraprendere un percorso altrimenti impraticabile, ma anche la sensazione di ripetitività e di monotonia che perversa in giochi con pesanti dosi di backtracking in Omensight vengono ridotte fino a quasi non percepirle. Ciò che invece meritava indubbiamente maggiore cura nello sviluppo è la gestione della telecamera di gioco nelle non troppo ben riuscite fasi platform: il giocatore non avrà in alcun modo la possibilità di intervenire sulla telecamera che verrà mossa automaticamente intorno all’Araldo nella maniera che gli sviluppatori hanno ritenuto più consona. Se però nelle fasi di combattimento essa viene posizionata solitamente in alto tipo isometrico, in modo da avere una visione piuttosto ampia e chiara del campo di battaglia, per il resto del tempo pare che l’obiettivo primario fosse quello di mettere in risalto gli elementi dello scenario, andando però a rendere piuttosto difficile il comprendere la distanza fra una piattaforma e l’altra perché in quel momento la telecamera è stata posizionata al livello del suolo anziché in alto come sarebbe stato più consono. Tutta questa gestione alquanto opinabile della telecamera ha come conseguenza una maggiore difficoltà nel comprendere dove l’avatar del giocatore atterrerà a seguito di un salto e non sarà insolito morire precipitando da un burrone.
La direzione artistica è di buona fattura: lo stile cartoon dai colori molto accesi è piacevole da vedersi e l’uso dell’Unreal come motore grafico ha permesso al team di sviluppo di realizzare un bel sistema di illuminazione degli scenari che contribuisce a rendere le ambientazioni più vive. Le animazioni dei personaggi principali (soprattutto l’Araldo) risultano molto fluide e belle da vedersi, un po’ meno quelle dei nemici più basilari che però hanno comunque dei pattern piuttosto leggibili. Il gioco è comunque soggetto a sporadici problemi tecnici che comunque per la loro bassa frequenza non hanno danneggiato l’esperienza di gioco: si parla di qualche compenetrazione poligonale con alcuni elementi dello scenario che hanno bloccato l’avanzata del protagonista ad un paio di momenti in cui il gioco ha spostato l’avatar di qualche centimetro in maniera del tutto arbitraria. Anche il comparto audio si attesta su buoni livelli: la colonna sonora è piacevole da ascoltare e ben orchestrata, in generale non indimenticabile ma ha dei brani che spiccano come “A cage is a cage” che è il brano che Ratika canta durante la sua prigionia caratterizzato da delle sonorità che richiamano la ballata medievale ed eseguito sulle note di un liuto. Di pregevole fattura anche il doppiaggio inglese udibile durante la quasi totalità delle scene di dialogo: la scelta delle voci è piuttosto azzeccata per ogni personaggio ed i dialoghi sono piacevoli da ascoltare. Totalmente da dimenticare il lavoro di localizzazione dove ci sono errori che vanno dai semplici errori di battitura ad errori grammaticali, passando per scelte di traduzione opinabili (come l’uso del femminile per i termini riferiti all’Araldo quando si capisce dai dialoghi in inglese che è di genere neutro) fino a veri e propri errori nella traduzione dei vocabili (ho già fatto l’esempio dell’uso del termine “codici” al posto di “nullità”). Alla fine il risultato è comunque in larga parte comprensibile e non abbiamo situazioni disastrose paragonabili ad un Salt & Sanctuary, ma comunque non si può dare un giudizio positivo al lavoro svolto dallo studio di localizzazione che rimane ben al di sotto della media anche per una produzione indie.
PRO
- Stile artistico azzeccato e ben curato
- Gameplay nel complesso divertente
- L’idea alla base delle meccaniche investigative era interessante…
CONTRO
- … ma all’atto pratico risultano molto più banali di come vengono presentate
- La telecamera nelle fasi platform è da dimenticare
- La localizzazione in italiano poteva essere realizzata molto meglio