Dopo uno sviluppo durato ben sei anni, Playdead, lo studio di sviluppo indipendente autore del famosissimo Limbo, ritorna sotto i riflettori con Inside. Replicare il successo della prima opera non è affatto facile, riuscirà lo studio indipendente danese a fare il bis confermandosi ancora una volta come una delle migliori software house indipendenti del panorama videoludico?
War is peace
A distanza di sei anni dall’uscita di Limbo su Xbox 360, è possibile sentire ancora l’eco del capolavoro. L’apporto di Playdead al genere puzzle-platform è stato enorme e, nonostante Limbo fosse la prima e unica opera dello studio indipendente danese, il suo stile profondo ha ispirato diverse produzioni anche dei publisher più famosi. L’annuncio di Inside durante l’E3 del 2014 ha destato non pochi animi, creando una frenetica attesa per quello che sembrava fosse la diretta evoluzione di limbo. Il rinvio del titolo nel 2015 non ha fatto altro che accrescere l’attesa per un titolo che diventava ogni giorno più interessante, mostrando scorci di gameplay e fondali che preannunciavano una componente artistica fuori da ogni parametro. La scelta di lanciare il titolo a pochissimo tempo dall’annuncio sulla data di uscita è stata un fulmine a ciel sereno per tutti quei fan che si chiedevano che fine avesse fatto quel misterioso progetto di Playdead.
Lo stile di Inside è chiaramente riconducibile al fratello minore Limbo, da esso ne trae infatti l’atmosfera e la semplicità che, pur abbandonando lo stile in bianco e nero caratteristico della prima opera di Playdead, conferisce quell’alone di mistero ad un titolo atipico che riesce a tenere incollati allo schermo sin da subito. Parlando di Inside è quasi fisiologico fare il paragone con Limbo, le aspettative si sono rivelate ancora una volta fondate in quanto i ragazzi di Playdead sono riusciti a mantenere il fascino della loro prima opera sconvolgendone gli aspetti e proponendo una formula evoluta in modo quasi naturale, senza mai dare quella fastidiosa sensazione di “more of the same” che affligge tantissimi titoli.
Inside è un titolo profondo che esplora tematiche molto complesse e, abbandonato il background quasi mistico di Limbo, volge il proprio sguardo verso un tipo di alienazione più umana, più reale, dipingendo un mondo che sembra tratto da una collaborazione tra Orwell e Bradbury, un mondo nel quale vige l’annullamento dell’individuo che viene visto solo come uno strumento per alimentare il potere. Proprio come il suo predecessore, Inside lascia molto spazio all’immaginazione, tracciando solo i contorni di una trama da interpretare, un meccanismo che spinge il giocatore a teorizzare il corso degli eventi, creando un’esperienza estremamente individuale fatta di ansia, paura e mistero.
Il bicromatismo che simboleggiava la luce e l’oscurità in Limbo viene abbandonato con Inside, il titolo propone infatti un modello artistico più maturo, più pensato, sfruttando le tenue luci di un mondo alla deriva per raccontare le vicende del protagonista, anche questa volta un bambino, in fuga da un meccanismo di potere che ha reso schiava l’intera umanità.
Freedom is Slavery
Inside si presenta come un puzzle-platformer da manuale e fornisce, nelle prime battute di gioco, alcuni elementi che ne identificano immediatamente la natura, trasmettendo sensazioni forti e incisive. Partendo da una rocambolesca fuga di un bambino in una foresta avvolta dal lieve abbraccio della notte, Inside riesce subito a spezzare gli equilibri di un mondo fondato sull’ordine, andando a creare un climax ascendente in termini di emozioni, riuscendo a creare un legame molto forte tra il protagonista del titolo e il giocatore grazie alle numerose interazioni ambientali che fanno da intermezzo a delle fasi più furtive, spezzando il ritmo frenetico della corsa, quasi come a voler riprendere fiato per poi lanciarsi ancora nella fuga disperata. L’incipit di Inside offre un’esperienza di gioco che si perpetua nel corso dell’intera avventura, mantenendo il giocatore in tensione anche nelle sezioni più rilassate. Inside fa della semplicità il suo carburante, alimentando un motore fatto di enigmi e puzzle che si alternano con una cadenza ben precisa, andando a scandire un ritmo di gioco ai limiti della perfezione. Siamo di fronte ad un opera di game design imponente e sbalorditiva che riesce ad incentivare le sezioni di gameplay senza mai perdere il suo fascino artistico, l’intera avventura si svolge senza interruzioni o caricamenti e, proprio come in un sogno, scorre via in troppo poco tempo, andando ad evidenziare quello che è l’unico vero difetto di Inside: la longevità. Nonostante la complessità di alcune sezioni che non richiedono soltanto l’utilizzo della testa ma mettono alla prova anche l’abilità del giocatore, Inside non riuscirà a portarvi via più di 4-5 ore, lasciandovi un senso di vuoto spesso caratteristico dei capolavori. Sebbene si tratti di un’esperienza destinata a durare poche ore, il titolo non propone dialoghi o cutscene, il giocatore sarà l’artefice delle proprie azioni dall’inizio alla fine, andando a rinforzare quel legame creatosi all’inizio dell’avventura, Inside non è un gioco che va semplicemente giocato, va vissuto. Le scelte di level design portano il protagonista in una varietà di ambienti molto ben assortita, passando dalla cupa e opprimente oscurità della notte alla sottile polvere che permea l’aria in una città disabitata. Ogni ambiente in Inside sembra avere una storia da raccontare, una sensazione da trasmettere, merito di una componente artistica fuori da ogni parametro. Ciò che più colpisce dell’intera esperienza di gioco è l’intensità con la quale si svolgono gli eventi, mettendo il giocatore alla prova contro minacce ambientali e nemici guidati da un IA molto semplice ma accurata.
Ignorance is Strenght
Se la semplicità artistica di Limbo aveva centrato il bersaglio nell’ormai lontano 2010. L’esperienza artistica vissuta con Inside riesce a superare quello che è stato reputato uno dei capolavori più incisivi degli ultimi anni. Il comparto artistico è praticamente immenso, la cura e la bellezza degli ambienti fanno di Inside uno dei migliori giochi degli ultimi anni, un nuovo standard in termini artistici. Durante i sei anni necessari a realizzare l’opera, Playdead ha seguito il progresso tecnologico, presentando un prodotto nel quale componente artistica e resa grafica fanno di pari passo. Il titolo gode di una pulizia grafica praticamente perfetta e riesce, grazie ai suoi 60FPS, a raggiungere una resa molto alta. La semplicità con la quale è dipinto il mondo di Inside ha permesso agli sviluppatori di realizzare una perla di rara bellezza, una gioia per gli occhi. La resa delle luci e delle ombre riesce ad essere coerente con gli ambienti e fa da cornice ad un mondo in decadenza. Uno degli aspetti più significativi di Inside è senza dubbio il comparto sonoro, nonostante l’assenza di dialoghi , i silenzi di Inside vengono interrotti da rumori ambientali ben realizzati che favoriscono l’immersività, il rumore dei propri passi o del vento che soffia tra le foglie degli alberi vanno a creare un’ambiente totalmente estraneo alle influenze esterne, portando nel titolo una realtà concreta che va a scontrarsi con il mistero che caratterizza la trama dell’opera. Inside rappresenta un traguardo per Playdead, una sfida vinta a pieni punti. I ragazzi dello studio danese non solo sono risuciti a replicare il successo di Limbo, hanno superato quello che è stato un capolavoro del suo genere, proponendo un titolo destinato a fare la storia dei videogiochi.
“There is no pain, you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can’t hear what you’re saying
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons
Now I’ve got that feeling once again
I can’t explain, you would not understand
This is not how I am
I have become comfortably numb”
PRO
- Direzione artistica eccellente
- Un miracolo di Level Design
- Graficamente spettacolare
- Ritmo di gioco scandito in modo impeccabile
- Immersivo e meraviglioso
CONTRO
- Finisce troppo presto