A distanza di cinque anni dall’uscita del primo capitolo, Homefront: The Revolution è arrivato nei negozi, reduce da uno sviluppo problematico. Questa volta in vesti di sandbox, lo shooter originariamente creato da THQ passa nelle mani di Crytek che cerca di salvare il salvabile dopo una serie di problematiche in fase di sviluppo. Homefront:The Revolution tratta temi forti e cerca di mettere sul piatto una versione alternativa di un mondo dominato dalla Korea.
Hasta la victoria siempre
Homefront: The Revolution è il prodotto di uno scarica barile tra studi di sviluppo nato poco dopo l’uscita del primo capitolo su old-gen. Inizialmente legato a THQ, il progretto Homefront non ha riscosso un grandissimo successo sin dall’inizio ma la volontà degli sviluppatori di proporre un secondo capitolo ha portato alla nascita di quello che oggi conosciamo come Homefront: The Revolution. Dopo il fallimento di THQ il progetto ha subito diversi rinvii e ritardi, causati dal passaggio da uno studio di sviluppo all’altro, fino ad arrivare nelle sagge mani di Deep Silver che ha affidato il progetto a Dumbuster Studios. Fu così che da shooter lineare, il progetto Homefront assunse i caratteri più complessi di un Sandbox, aprendo i cancelli di un Open-World che avrebbe avuto il compito di risollevare le sorti di un titolo problematico fin dalla sua nascita.
I temi trattati in Homefront: The Revolution mantengono la linea adottata dai vecchi sviluppatori, che, oltre alla trama e alla caratterizzazione dei personaggi, hanno visto l’intero progetto stravolto per assumere una diversa forma, più fruibile e appetibile per il grande pubblico.
Dopo un calvario del genere non c’è da stupirsi se il prodotto finale rispecchia le problematiche che ha avuto nel corso del suo sviluppo, Homefront: The Revolution è infatti un titolo da non approcciare con eccessiva severità, fermo restando che i gravi problemi che lo affliggono sono comunque penalizzanti e rendono l’esperienza di gioco non proprio al massimo delle aspettative.
Homefront: The Revolution è ambientato a Philadelphia in un mondo nel quale la Korea ha invaso gli Stati Uniti. Nonostante la premessa iniziale risulti semplice ( e poco credibile, ndr ), le sfumature che si intravedono giocando al titolo sono affascinanti e fanno riflettere sul mondo in cui viviamo. Le cause dell’invasione da parte della Korea sono da ricercare nell’ingenuità degli Stati Uniti che dopo aver comrpato ogni tipo di prodotto della Apex, una corporazione Koreana in campo tencologico, si è resa conto che ogni dispositivo acquistato, dagli smartphone alle armi, era dotato di un sistema di disattivazione. Gli americani erano talmente assuefatti dai prodotti Coreani, diffusi in modo talmente fitto nel paese a stelle e strisce, da far piombare l’intero stato nel caos nel momento in cui la Korea ha deciso di spegnere ogni apparecchio venduto agli americani. Il gap economico e la caduta della borsa che seguirono portarono gli Stati Uniti sull’orlo del baratro, con guerre civili, caos per le strade e anarchia totale. Fu in questo momento che la Korea si presentò agli americani come salvatrice, portando viveri e aiuto alle persone in tutte le città, ovviamente non era altro che una facciata per un’invasione silenziosa che da li a pochi anni si sarebbe trasformata in dittatura.
Dopo una simile premessa, le aspettative per il titolo sono subito schizzate alle stelle, una trama ben congegnata, plausibile e che invita il giocatore a riflettere sul peso della tecnologia nella vita di tutti i giorni. Peccato che ogni aspettativa venga letteralmente frantumata nel momento in cui si scopre di impersonare Ethan Brady, un rivoluzionario arruolato da pochi giorni tra le fila del movimento che combatte la dittatura. Brady è un personaggio assolutamente anonimo, non parlerà per tutto il corso del gioco e si troverà ad interagire con altrettanti personaggi scialbi e piatti che non sono altro che l’ombra degli originari membri della rivoluzione. L’intero titolo si svolgerà compiendo missioni per conto di Jack Parrish e Dana Moore, con lo scopo di portare avanti la rivoluzione e scacciare i soldati del KPA dalla città di Philadelphia. È qui che il titolo assume quei caratteri da sandbox che abbiamo avuto modo di vedere in titoli come Just Cause, senza quel nonsense spettacolare che caratterizzava il titolo ambientato nella repubblica di Medici.
Revolution Calling
La struttura semi-open world ci consente di esplorare la città di philadelphia in lungo e in largo, sbloccando, con l’avanzare della storia principale, i vari quartieri divisi da un caricamento non proprio breve. Il nostro compito sarà quello di svolgere le missioni principali assegnatici, portando la longevità complessiva del titolo sulle diciotto ore nel caso in cui si scelga di procedere ignorando le missioni secondarie e i quartieri da conquistare, in caso contrario la longevità del titolo si allunga notevolmente sfiorando le quaranta ore ma andando ad intaccare la varietà del titolo che tutto sommato risulta essere abbastanza piatto e ripetitivo. Ogni quartiere che visiteremo sarà inizialmente sotto il controllo dei soldati del KPA, sarà dunque necessario procedere con cautela per insediare la rivoluzione nei cuori della gente senza essere scoperti e uccisi. Homefront: The Revolution da il meglio di se nelle fasi in cui bisogna conquistare i quartieri, mettendo sul piatto una sorta di survival basato sulla raccolta di materiali e munizioni atti a realizzare congegni per contrastare il dominio dei soldati Coreani. Instillare lo spirito della rivoluzione nei cuori del popolo non è semplice e per ogni quartiere visitato bisogna compiere una serie di azioni che vanno a riempire un indicatore chiamato “Cuori e Menti”. Tale indicatore va riempito ostacolando i soldati e diffondendo il messaggio della rivoluzione tramite le diverse radio sparse per le strade, conquistando edifici strategici e aiutando i cittadini a sfuggire dai soprusi dei soldati. Il quartiere che abbiamo inzialmente conosciuto sotto le ordinate vesti della dittatura va pian piano sgretolandosi fino ad arrivare al culmine in cui la gente si ribella e scoppia la rivoluzione.
Homefront: The Revolution riesce ad incarnare perfettamente lo spirito della rivoluzione, presentando un mondo mutevole, soggetto alla volontà della gente di ribellarsi e lo dimostra proprio nel momento in cui affida al giocatore il compito di convincere quelle persone che fino a poco tempo prima venivano maltrattate e sfruttate ad insorgere. In questo modo il mondo ordinato dalla dittatura si trasforma in caos, una guerra scatenata dalla gente che scende per le strade e decide di ribellarsi. La presenza di un mondo in costante cambiamento rende Homefront: The Revolution un prodotto estremamente versatile e pieno di sorprese che però manca di somministrare tale varietà in pillole ma decide di mostrare quasi tutto sin dall’inizio, infliggendo quella ripetitività che si ripresenta ad ogni nuova zona che eslporiamo. La possibilità di ingaggiare membri della resistenza per compiere piccole incursioni è fondamentale ai fini del gioco, scontrarsi come un “one man army” porta inevitabilmente alla morte e poche raffiche ben piazzata di un soldato sono capaci di metterci al tappeto, offrendo un livello di sfida apprezzabile. Mentre è possibile conquistare alcuni punti strategici per conto proprio, attraversando spesso e volentieri brevi sezioni platform fatti di salti ed arrampicate, per le roccaforti più fortificate è necessario pianificare con cura le proprie incursioni e portarsi dietro una scorta di medikit e qualche compagno.
All animals are equal
Oltre alle ovvie considerazioni sulla Rivoluzione, Homefront: The Revolution mette in discussione le fondamenta di un concetto che nella storia dell’uomo ha cambiato le sorti di interi popoli, è giusto usare la violenza contro la violenza?
Sebbene non esista una soluzione pacifica per mettere fine all’invasione dittatoriale dei Coreani, diversi personaggi presenti nel titolo fanno presente quanto sia alto il costo di una rivoluzione, mettendo a nudo il prezzo da pagare per raggiungere la libertà. Nel caso di Homefront: The Revolution, la violenza è l’unica strada percorribile per scacciare gli oppressori, bisogna dunque armarsi in modo adeguato per respingere i Coreani a suon di piombo.
Una delle caratteristiche che più abbiamo apprezzato in Homefront: The Revolution è il crafting delle armi. Attraverso degli speciali punti ,ottenuti liberando i vari avamposti militari sparsi per la città, è possibile modificare il proprio arsenale con una funzione che ci permette di trasformare le armi in tempo reale. In questo modo un normale fucile d’assalto, con le dovute modifiche, può diventare un mistragliatore leggero, un fucile a pompa un lanciafiamme e via dicendo. La possibilità di smontare e modificare i vari pezzi che compongono un’arma, aggiungendo o rimuovendo accessori, conferisce al titolo una grande varietà oltre alla spettacolarità naturale che comporta tale processo. La possibilità di cambiare tipo di arma si rivela molto utile nelle fasi di combattimento dinamiche, un fucile da cecchino, ad esempio, non è molto utile nei combattimenti a breve e media distanza, trasformarlo in un fucile da combattimento semi-automatico per poi ritornare all’assetto originale può invece salvare l’utilità di un’arma altrimenti non sarebbe mai stata usata. La presenza delle moto nel territorio consente al giocatore una certa mobilità, seppur guidare in pieno centro desta molto spesso l’attenzione dei soldati, risultando poco coerente con il mondo di gioco. La guidabilità delle moto non è eccezionale ma rimane comunque apprezzabile il tentativo di introdurre un veicolo in un titolo del genere.
Gli ambienti di gioco ci permettono di raccattare materiali dai detriti e dai resti di una città ormai caduta ma, come la fenice risorge dalle proprie ceneri, è proprio da questi materiali che andremo a costruire gli ordigni che metteranno in ginocchio la dittatura Koreana. Nel gioco sono presenti quattro tipi di congegni, una semplice molotov da lanciare contro i soldati, una bomba costruita con un tubo, dei petardi per distrarre i nemici e un disturbatore capace di interferire con i sistemi informatici utilizzati dal KPC. Utilizzare gli strumenti con parsimonia è la regola d’oro in Homefront: The Revolution, vista la carenza di alcuni materiali e il largo utilizzo che bisogna farne. Proprio come le armi, ogni congegno è soggetto a modifiche, sarà possibile piazzare una bomba su una macchina radiocomandata per introdurla silenziosamente in un accampamento oppure sarà possibile configurare il proprio cellulare per far detonare i congegni a distanza. Homefront: The Revolution mette il giocatore di fronte a tantissime variabili, offrendo la possibilità di agire in modo furtivo o più spericolato, con tutti i rischi che questo comporta. L’IA dei nemici è gestita in modo abbastanza buono, sebbene molto spesso i soldati non si rendano conto di essere aggirati e sono facilmente colpibili alle spalle. Un sistema di riconoscimento consente ai nemici di identificarci se non agiamo in modo furtivo, senza però sfociare in un identificazione istantanea, lasciando al giocatore il tempo di compiere brevi mordi e fuggi.
Oltre alla storia principale è possibile intraprendere delle brevi sessioni in co-op che raggruppano fino a quattro giocatori in battaglie contro l’IA al fine di conquistare alcuni quartieri, questa modalità è totalmente slegata dalla storia e prevede un sistema di leveling a parte che ci permette di sbloccare armamenti e accessori per rendere la sfida più avvincente e sopratutto coerente con la difficoltà scelta.
But some animals are more equal than others
Homefront: The Revolution inizia a mostrare le sue lacune nel momento in cui si entra in temi più tecnici ma sopratutto artistici. La prima cosa che salta all’occhio durante le prime fasi di gioco è la carenza di direzione artistica. Sebbene ci si trovi di fronte ad una città devastata dalla guera, sono assenti quegli scorci che fanno cogliere lo spirito della situtazione e l’intero titolo presenta più o meno gli stessi pattern, sia negli edifici che nelle strade. La somiglianza che accomuna tutti i quartieri rende il titolo piatto e poco godibile dal punto di vista artistico, generando una sensazione di more of the same ogni volta che si sblocca un nuovo quartiere, mancando di identificare Philadelphia se non in qualche scorcio più artistico come l’indy Hall o il municipio. Dal punto di vista tecnico, Homefront: The Revolution non riesce a nascondere le problematiche subite in fase di sviluppo, risultando poco stabile e pulito, con gravissimi fenomeni di stuttering e cali di frame, non solo nelle situazioni più caotiche ma anche nei menù o subito dopo un dialogo, ghosting e pop-up delle texture molto frequenti e una generale carenza di qualità grafica. Sebbene la resa delle luci e delle texture sia coerente con l’attuale generazione di console, Homefront: The Revolution non offre praticamente nulla di nuovo e si mantiene sugli standard di un titolo medio, mostrando però gravi falle anche a livello di collisioni e movimenti. Il comparto audio del titolo è minato da una scarsa sincronia tra il parlato e il movimento labiale dei personaggi, oltre a fenomeni molto frequenti in cui l’audio cessa la propria riproduzione generando fasi di silenzio assoluto.Tutto sommato il titolo presenta un doppiaggio molto buono, un vero peccato se si pensa alle problematiche tecniche che lo affliggono.
PRO:
- Crafting delle armi ben realizzato
- Tema della rivoluzione gestito in modo eccellente
- Buona longevità
- Buone meccaniche survival
CONTRO:
- Modalità cooperativa poco approfondita
- Tecnicamente problematico
- Presenza eccessiva di bug grafici
- Evidenti difetti nelle collisioni
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Fasi di shooting piatte e ripetitive