Cinque anni fa mi innamorai delle avventure di Juan, un semplice coltivatore di agave tramutato in un luchador in grado di viaggiare fra il mondo dei vivi e quello dei morti che avrebbe dovuto affrontare il potente Calaca per salvare la vita alladonna da lui amata: queste le premesse di Guacamelee, uno dei migliori metroidvania della scorsa generazione, sia in termini di gameplay e di livello di sfida proposto sia in termini di ispirazione dell’ambientazione che miscelava l’immaginario della cultura popolare messicana a continui riferimenti (spesso in forma di citazione o parodia) a opere cinematografice pop, altri videogiochi, memes di internet e chi più ne ha più ne metta. Un titolo che con il tempo ha saputo farsi apprezzare da una fetta piuttosto corposa di amanti del genere (anche grazie alla sua distribuzione gratuita agli abbonati del PlayStation Plus prima e del Live Gold dopo). Dopo quella splendida parentesi chiamata Severed, il talentuoso studio indipendente ha deciso di tornare sulla sua opera più celebre e di realizzare il seguito diretto di Guacamelee.
Sono passati sette anni da quando Juan sconfisse Carlos Calaca, lo scheletrico torero che vendette l’anima al diavolo e che per vendetta verso questo architettò un piano per riunire il mondo dei vivi e quello dei morti e poter dominare su entrambi: da quei bui giorni Juan ha sempre vissuto in pace, sostentandosi con il suo lavoro di coltivatore di agave e scordandosi dei poteri che la maschera da luchador gli aveva conferito. Finché un giorno una sua vecchia conoscenza non torna a fargli visita: Uay Chivo, il saggio uomo-capra che aveva aiutato Juan a sconfiggere Calaca, appare all’improvviso affermando che c’è bisogno di lui in una dimensione parallela oppure l’intero Mexiverso potrebbe scomparire per sempre. I due giungono così in una dimensione denominata dimensione più oscura dove a sconfiggere Calaca non fu Juan ma Salvador, che però adesso sta cercando di riunire i tre manufatti che permettono di accedere alla Guacamole Sacra con la quale potrà curare la sua malattia, anche a costo di distruggere l’intero Mexiverso. Come nel primo episodio, la storia non stupisce per originalità dato che offre il classico scenario del mondo in pericolo che richiede l’intervento di un eroe senza macchia e senza paura, ma esattamente come nel primo il punto di forza del gioco non è nell’originalità della storia o nei colpi di scena mozzafiato. L’umorismo del gioco è infatti il vero collante narrativo che caratterizza Guacamelee 2, un umorismo che si percepisce dai dialoghi con i vari NPC, anche stavolta ricco di citazionismi, di riferimenti alla cultura pop ed alla internet culture, un mix di battute intriganti e geniali che vi faranno apprezzare la stravaganza di ciascun personaggio, ciascuno con delle sue caratteristiche personali che lo rendono memorabile. Il grosso cambiamento (se così lo si può definire) in termini narrativi è costituito da un’intera quest dedicata alla “versione pollo” di Juan che si intreccerà con la quest principale, dove nel primo gioco la trasformazione in pollo dava la possibilità a Juan di superare dei passaggi angusti in maniera non dissimile dalla morfosfera di Samus in Metroid.
Guacamelee 2 non vuole rivoluzionare quello che è stato creato con il primo capitolo, ma semplicemente amplia quello che il primo capitolo aveva costruito, offrendo un’esperienza che per chi ha giocato il primo non rappresenta una novità. Senza tanti giri di parole, siamo di fronte ad un more of the same del primo capitolo, ma dopo cinque anni di assenza ciò non costituisce un grosso problema: si tratta di un metroidvania che inserisce dei suoi elementi di originalità sia nelle parti platform che in quelle di combattimento. Essendo il nostro protagonista un luchador, la totalità dei suoi attacchi saranno colpi corpo a corpo con in più la possibilità di afferrare l’avversario quando esso è indebolito e di scagliarlo o di effettuare mosse da wrestling come piledriver e suplex. Si tratta quindi di un sistema di combattimento che si distacca dai classici del genere e che avvicina il titolo un po’ più al beat ‘em up, con la possibilità di concatenare combo che daranno maggiori quantitativi di oro al termine del combattimento; oro con il quale sarà possibile acquistare potenziamenti di vario genere, da power-up per le mosse a bonus passivi che coinvolgono barra della vita, della stamina e del counter delle combo. Gran parte dei nemici e delle loro caratteristiche sono stati ripresi dal primo capitolo e questo forse rappresenta la più grande delusione: le novità non sono del tutto assenti come le arene affrontabili solamente tramite la forma pollo, una manciata di mostri inediti e chiaramente le bossfight contro 4 nuovi avversari, ma nel complesso il dover affrontare ancora una volta orde di scheletri già incontrati in passato lascia un amaro in bocca per l’operazione di riciclo operata da Drinkbox. A maggior ragione se pensiamo che il setting di questo episodio non giustifica l’abbondanza di scheletri visto che il re degli inferi Calaca è stato sconfitto ed i mondi della vita e della morte non sono più destinati a collidere. Per quanto riguarda il platforming bisogna fare in discorso particolare: dal punto di vista del platform i due Guacamelee sono molto ben riusciti, con un sistema di concatenazione di doppi salti e mosse speciali che possono essere usati per raggiungere le piattaforme più distanti ed un level design molto ben curato che riesce a far apprendere al giocatore in maniera quasi spontanea come utilizzare ciascuno dei potenziamenti sbloccati nel corso dell’avventura. A questo secondo titolo però manca la capacità di gestire la progressione della difficoltà con gli stessi modi sublimi presentati nel primo capitolo. Guacamelee 2 presenta delle sezioni toste, dei momenti trial and error che richiedono l’esecuzione pedissequa di intricate combinazioni di tasti con un tempismo che lascia pochissimo spazio all’errore e anche un solo tasto sbagliato o premuto al momento sbagliato ci costringeranno a ripetere la sezione da capo: sono qui i momenti che tirano fuori le vere abilità del giocatore e nonostante per alcuni potrebbe essere motivo di frustrazione, per chi è sempre stato affezionato al genere il gioco sa regalare enormi soddisfazioni una volta completata una sezione particolarmente complessa. Se però nel primo capitolo tali sezioni erano limitate ad aree particolari al termine delle quali il giocatore veniva ricompensato con un potenziamento per la vita o la stamina oppure uno degli oggetti segreti necessari per sbloccare il true ending del gioco rendendo di fatto i momenti trial and error opzionali, in Guacamelee 2 incontreremo qualche sequenza piuttosto lunga ed impegnativa anche nelle prime aree e sarà obbligatorio riuscire a superarla per poter procedere nel gioco. Non che mi aspettassi un gioco che mi accompagnasse per mano fino alla fine, ma comunque la rapidità con cui il gioco ci pone davanti a situazioni complesse potrebbero spiazzare chi non ha dimestichezza con la serie e di conseguenza con le concatenazioni necessarie per superare gli ostacoli.
Artisticamente il gioco si presenta anche in questo caso molto simile al primo episodio: gli scenari, i personaggi ed i mostri sono stati rappresentati con lo stile che contraddistingue le ultime produzioni Drinkbox (compreso Severed), con elementi realizzati accostando forme geometriche, texture colorate con tinte accese e brillanti, con cuna scelta cromatica fatta da colori caldi tendenti al marrone ed al giallo quando ci si trova nel mondo dei vivi e più vicini al verde ed al viola quando ci si proietta nel mondo dei morti. Ciò che sbalordisce è l’enorme cura nei dettagli riposta nelle ambientazioni: anche le più spoglie nascondono qualche dettaglio che nel passaggio da vivo a morto cambia, si modifica per rispecchiare il piano dimesionale su cui esso si trova. Sebbene si perda ancora una volta quella sensazione di meraviglia che ho provando approciandomi al primo episodio, non si può nascondere che la cura dei modelli non sia minuziosa, con animazioni di ogni personaggio ed avversario davvero ben fatte e composte da diversi frame che fanno sembrare i movimento dei personaggi molto naturali. I riferimenti al Messico ed alle tradizioni del paese si riflettono sia nello scenario, ispirato a tutti quegli elementi che compongono l’immaginario comune di questo paese con piccoli agglomerati urbani ed addobbi e banchetti che richiamano il dias de lo muertos, alla musica che sembra composta dal tipico gruppo di mariachi con una spolverata di arrangiamenti elettronici e di chiptune: ogni traccia trasmette personalità, carisma e ben si armonizza con lo scenario ad essa associata. Ottimo il lavoro di traduzione in italiano del gioco dato che il titolo riesce a mantenere lo spirito umoristico del gioco trasponendo in maniera eccellente i tanti giochi di parole disseminati nei vari dialoghi.
Provato su: PlayStation 4 Pro
PRO
- Artisticamente ancora un gioiello
- Un bel mix fra fasi platform ben congeniate ed elementi beat ‘em up
- Appagante livello di sfida…
CONTRO
- … ma con una curva di apprendimento un po’ troppo ripida.
- Per chi ha già giocato al primo non c’è nessuna grossa novità
Voto: 8.5