La prima volta che sentii parlare di God Eater chi me lo fece conoscere me lo presentò come “un Monster Hunter con la trama” ed effettivamente la descrizione, per quanto semplicistica, fa cogliere sin da subito quali siano le caratteristiche della saga: un hunting game che condivide con il più celebre Monster Hunter giusto il genere e ben poche meccaniche, con però un contesto narrativo ben più strutturato ed una storia di forte stampo nipponico. A distanza di un anno da quel Monster Hunter World che ha permesso a molti giocatori occidentali di conoscere gli hunting games e di 6 anni dall’uscita di God Eater 2 su suolo giapponese, una nuova incarnazione del brand è stata resa disponibile da poco anche in Europa (Italia compresa), anche se a questo giro le differenze emergono sin dal team di sviluppo: non più Shift a capo del progetto, team che oltre ai primi due God Eater aveva lavorato con Sony Japan Team allo sviluppo di Freedom Wars su PSVita, ma Marvelous.
Ci troviamo in un mondo post-apocalittico dove delle creature monocellulari chiamate Oracle Cells si sono evolute fino a trasformarsi in enormi bestie chiamate Aragami, preicolose creature capaci di distruggere ogni cosa sul loro percorso: per combattere la minaccia il genere umano ha trovato nei God Eater una soluzione, guerrieri selezionati capaci di impugnare le God Arc, le uniche armi che possono uccidere un Aragami costruite usando le stesse Oracle Cells delle quali sono costituite le creature. Dopo aver creato il nostro personaggio tramite un editor piuttosto basilare, verremo introdotti alla storia di questo God Eater 3: il protagonista è (ovviamente) un God Eater facente parte di una classe di guerrieri conosciuti come God Eater Adattabili (GEA) capaci non solo di maneggiare le God Arc ma anche di resistere alle nubi tossiche di cenere che si manifestano in presenza di Aragami. Tenuti rinchiusi nelle prigioni dell’Approdo di Pennyworth, una città fortificata dove si sono rifugiati gli umani, il protagonista e gli altri GEA vengono trattati alla stregua di schiavi ed è concesso loro uscire dalle celle solo per combattere contro gli Aragami. La situazione cambierà quando ci imbatteremo nella Carovana di Hilda Henriquez, una massiccia struttura semovente che sta trasportando un carico molto prezioso del quale ignoriamo il contenuto, e la proprietaria del mezzo deciderà di assoldarci insieme ad altri due GEA dell’approdo (Hugo e Zeke) poiché necessita di qualcuno che liberi la strada dagli Aragami Cinerei ed ha riconosciuto in noi dei validi guerrieri. Il gioco quindi, con delle cut-scenes fra una missione e l’altra, cerca di costruire una trama che dia una motivazione ai personaggi ed al giocatore di combattere, ma in diversi frangenti non riesce ad essere credibile: per una serie il cui pregio è sempre stata la componente narrativa, gli scivoloni dati dall’utilizzo di determinati cliché non soddisfano la voglia di una trama appagante che procede piatta all’interno di quello che è un contresto narrativo dal grande potenziale. Tuttavia, se la trama non spicca particolarmente ma si lascia comunque seguire, ciò che non riesce a catturare per nulla è la caratterizzazione dei personaggi coinvolti, troppo stereotipati sia nel modo in cui è stato delineato il loro carattere sia le loro fattezze, con uno spiccato fanservice nella realizzazione dei presonaggi di sesso femminile e delle loro forme.
Ciò che ha permesso a God Eater di diversificarsi rispetto a Monster Hunter nell’ambito degli hunting games è il gameplay molto più rapido e dinamico e con questo terzo capitolo Marvelous è tornata a percorrere quel sentiero, dopo le aggiunte che avevano reso un po’ troppo macchinoso God Eater 2: Rage Burst. God Eater 3 si presenta come un action-RPG piuttosto frenetico, dove la personalizzazione ed il crafting di armi ed equipaggiamento saranno punti fondamentali dello sviluppo del personaggio ma potranno essere effettuate solo nell’apposito hub, mentre per tutta la missione la nostra unica preoccupazione sarà quell di dilaniare gli Aragami nella speranza ce ci forniscano il materiale necessario per potenziare l’arsenale. La nostra God Arc può assumere la forma di un’arma bianca a scelta fra diverse tipologie come falci, spadoni, pugnali, doppie lame, oppure una delle quattro diverse tipologie di armi da fuoco oltre che alla capacità di trasformarsi in una sorta di fauci con le quali “divorare” gli Aragami: assorbire il potere degli Aragami in questa maniera incrementerà una barra del Burst che andrà progressivamente a svuotarsi con il passare del tempo e mentre saremo in quello stato potremo sprigionare attacchi speciali potenziabili ed equipaggiabili dall’hub centrale. A tal proposito il divorare gli Aragami, che serve sia per il riempimento della barra di Burst che per raccogliere materiali dai corpi delle bestie uccise, può adesso essere compiuto sia caricando l’attacco con il tasto triangolo sia tramite una combinazione di tasti che permetterà di eseguire la divorazione rapida, meccanica inserita in questo capitolo che rende di fatto inutile la divorazione standard poiché nonostante carichi un po’ meno la barra del Burst è molto più facile da eseguire ed è difficile che venga interrotta da un attacco avversario. Questa meccanica insieme alla Picchiata (un attacco con lo scudo che permette di coprire velocemente la distanza fra noi e l’avversario) hanno contribuito notevolmente a snellire il gameplay rendendo il gioco ancora più frenetico di prima, ma queste scelte non sono andate di pari passo con un incremento della difficoltà: la possibilità di schivare senza la necessità di un timing perfetto, il carattere aggressivo dell’IA dei nostri compagni di squadra, tutti elementi che non sono stati rivisti in un ottica di rivedere il livello di sfida e a volte non faremo tempo a capire da che parte siamo girati che la missione sarà già terminata. A metterci i bastoni fra le ruote sarà però la mappatura dei comandi, con quel tasto R1 al quale sono deputate 4-5 differenti azioni a seconda di quanto lo terremo premuto o se lo useremo in contemporanea ad altri tasti: una scelta di mappatura dei comandi che fa emergere la natura di gioco per console portatile che era propria degli scorsi capitoli della serie, nonostante questo sia il primo capitolo pensato e sviluppato per una console casalinga. La sensazione è quella di avere fra le mani un titolo che non ha voluto osare, che ha ripreso la struttura del primo capitolo ed ha aggiunto le opportune novità per poi schiaffarlo a forza all’interno di PlayStation 4. Questa natura da gioco portatile lo si può vedere anche nel comparto tecnico e nella struttura delle mappe: i personaggi si muovono in ambientazioni spoglie, senza particolari elementi che li contraddistinguono, dove l’unica cosa viva sono i mostri che dovremo uccidere e dove le texture saranno di una definizione imbarazzante per un gioco del 2019, soprattutto se pensiamo che non siamo davanti ad un open world con migliaia di elementi a schermo, ma su un gioco dalle mappe piuttosto circostcritte e caratterizzate da lunghi corridoi. Inoltre è triste vedere come, nonostante i personaggi viaggino per il continente e si spostino da una parte all’altra, le mappe nelle quali si svolgono le missioni saranno una manciata, senza nessuna soluzione di continutà sulla scelta di una o l’altra.
PRO
- Gameplay rapido e frenetico
- Ottimo contesto narrativo…
CONTRO
- … rovinata da una caratterizzazione dei personaggi fin troppo stereotipata
- Poche mappe e tutte anonime
- Livello di difficoltà molto basso
Provato su: PlayStation 4 Pro
Voto: 6
Disponibile su PlayStation 4 e Microsoft Windows