Non avrei mai pensato ad un gioco che potesse interconnettersi così tanto sia al famoso Majora’s Mask sia a Sunless Sea, come tematiche e ambientazioni che trapelano fin dentro la pelle, ma A Place for the Unwilling sembra porsi esattamente in mezzo a questi due giochi, con un pizzico di natura Lovecraftiana che appare in superficie di tanto in tanto.
21 giorni
In A Place for the Unwilling il giocatore arriva ne “La città” (semplicemente chiamata “the city”nel gioco), nei panni di un giovane uomo o donna d’affari che sta portando avanti il business del suo amico d’infanzia Henry Allen, recentemente trapassato per suicidio. Nel corso dei 21 giorni dall’inizio fino alla fine del gioco (in realtà una partita dura in tutto un’oretta) i giocatori potranno esplorare liberamente l’ambiente, parlare coi PNG e relazionarsi con loro durante gli ultimi, morenti giorni della città.
Il tempo della fine?
Il “clock of doom” come l’abbiamo visto in Xcom 2 e Majora’s Mask è una meccanica che torna anche in A Place for the Unwilling e che cerca di spingere il giocatore a sfruttare al massimo il tempo a disposizione per dipanare i vari misteri che ruotano attorno alla città. E’ quel pizzico di pepe che aggiunge potenziale ad un genere che di solito lascia tutto il tempo di ambientarsi e girare tranquilli.
Nonostante si possa guidare il proprio personaggio nella città tramite la visuale isometrica, parlare con i PNG e aggiungere informazioni al proprio giornare e all’inventario, l’orologio è sempre presente su schermo col suo ticchettare malvagio, tranne che durante le conversazioni. Le meccaniche del gioco ci permettono anche, spesso e volentieri, di fare delle scelte insignificanti – come semplicemente a chi parlare, che area esplorare – che poi si riveleranno nel tempo più importanti e pesanti di quanto non si possa pensare. Ogni interazione infatti conta, e decidere se spendere la giornata a parlare con le persone, a guadagnare o leggere il quotidiano diventa un importante parte della narrativa. Perfino stare fuori fino a tarda ora cambia sostanzialmente il risultato nei vari finali che potremmo ottenere.
Con tutta questa varità nelle attività durante il gioco, sembra quasi che A Place for the Unwilling sia più un gestionale di tempo che altro, cosa che in un certo senso è. Comunque, il gioco si focalizza concretamente sulla città e sulle cose e persone con cui possiamo relazionarci.
E’ particolarmente importante difatti ingaggiare delle conversazioni con determinati personaggi, considerando che già per la maggior parte del tempo saremo coinvolti in conversazioni e diverse scelte di dialogo. A Place for the Unwilling è primariamente fondato sulle relazioni interpersonali che il giocatore può formare con tutti i personaggi presenti, cosa che efffettivamente si nota anche dall’impostazione che ALPixel ha voluto dare ai suoi PNG.
Parlando dei comandi, i programmatori del gioco hanno voluto fare una scelta particolare: A Place ne sfrutta pochissimi ma in posizione decisamente ambigua. Dovremmo usare le frecce direzionali per muovere il nostro personaggio e solo da tastiera, mentre i classici WASD verranno usati per aprire il diario, la mappa, l’inventario e la S in particolare per interagire con l’ambiente o parlare con le persone . Di primo impatto è piuttosto difficile ricordarsi di usare le direzionali e ci capiterà spesso di continuare ad aprire la mappa o le altre schede, cosa frustrante che si risolve fortunatamente dopo un paio di partite. Altra scelta particolare è la mancanza di un tutorial, che sarebbe stato fondamentale data la completa libertà di girare per la città, che su mappa non presenta particolari indicazioni. Ci troveremo quindi in difficoltà nonostante la grandezza limitata, quando ci chiederanno di andare al municipio piuttosto che dal giornalaio e dai vari rivenditori con cui fare affari, e la natura labirintica della città non ci verrà di certo incontro. A dispetto del game design che si dimostra azzeccato, non sembra che siano stati fatti concreti sforzi di level design, se non per gli interni delle abitazioni e dei locali a cui potremmo accedere, che si rivelano ben curati.
Piacevolmente nuovo
A Place for the Unwilling è un buon mix di horror e humor spicciolo, sapientemente velati da uno stile di disegno cartoonesco 2D che aiuta a definire le caratteristiche principali di edifici e personaggi. Le industrie della città spillano fumo, le vie in pietra sono coperte da una spessa nebbia e nella fine che si avvicina, possiamo vedere anche una spruzzata di spirito Lovecraftiano che pesa sull’ambientazione, che rimane comunque bilanciata sotto ogni punto di vista. Non ci sono puzzle o mini-giochi, quindi siamo solo noi, la città e di fatto le storie dei nostri concittadini.
La strana combinazione che permea tutto il gioco di AlPixel si riflette anche sul sonoro oltre che sullo stile grafico, con piacevoli melodie che ci accompagnano mentre ci avventuriamo per la città e che cambiano in base al posto in cui ci troviamo, o al locale in cui entriamo. A volte (specie nelle ore tarde) il sonoro si fa assente lasciandoci giusto ai suoni ambientali per giustificare la nostra attitudine alle ore piccole. Cosa particolare, il sonoro si adatta anche al tipo di personaggio con cui ci troviamo a parlare: non sarà difficile sentire un tintinnio di monete ogni volta che parleremo con un PNG particolarmente prepotente o ricco, oppure piccoli alti mentre ci relazioniamo con donne eleganti, o bassi prepotenti col bibliotecario un po’ panciuto e molto acculturato.
Con questo misto esotico e intrigante, molti misteri rimarranno nel cuore dei giocatore di A Place for the Unwilling, che intende sorprendere il giocatore ad ogni nuova partita. Per completare il gioco non è richiesto infatti un ammontare di tempo immenso, ma la quantità e la vastità di interazioni e scelte da effettuare andranno a influenzare i vari finali, e di conseguenza la longevità del titolo. A Place for the Unwilling risulta quindi un gioco perfetto per i giocatori occasionali, che però viene penalizzato dalla localizzazione esclusivamente spagnola e inglese, che rimane impressa in quest’ultimo caso per l’uso di termini desueti dal nostro inglese moderno. Non è un gioco adatto per chi non ne ha una buona conoscenza.
PRO:
⦁ Doom clock usato sapientemente
⦁ Esteticamente carino
⦁ Molteplici finali e rigiocabilità
CONTRO:
⦁ Assenza di una vera e propria trama principale
⦁ Comandi poco intuitivi
⦁ L’inglese non è alla portata di tutti
Piattaforma: Pc, Mac
Pegi: 18+
Longevità: 4-5 ore (1 ora a partita)
Sviluppatore: ALPixel Games
Editore: ALPixel Games
Lingua: Inglese, spagnolo
Anno: 25 luglio 2019
Tipologia: Indie, Narrativa, Avventura