Dopo un modesto successo su PC con la versione in Early Access, 7 Days to die, il survival-sandbox sviluppato da The Fun Pimps e pubblicato da Telltale Publishing arriva su console con un porting inaspettato. Il titolo sembra puntare ad un’esperienza survival con elementi provenienti dai sandbox di maggiore successo come Minecraft e Ark, proponendo una sfida in salsa zombie da affrontare da soli o con gli amici.
5 ways to die
“Ark con gli zombie”, questa è la prima espressione che viene in mente a qualsiasi giocatore che abbia visto per la prima volta un trailer di 7 Days to Die. Da appassionati del sandbox preistorico di Wildcard Studios, abbiamo vissuto l’esperienza della recensione di 7 Days to die in modo a dir poco traumatico. Titoli come Ark, DayZ e Minecraft hanno ampliato, nel corso degli ultimi anni, il concetto di MMORPG e Sandbox, portando la creatività e l’interazione tra giocatori ai massimi livelli. L’idea di un sandbox con un format orientato verso un tale genere di interazione ci ha entusiasmato non poco e, dopo esserci armati di accetta e medikit, ci siamo lanciati in quella che si sarebbe infine rivelata un’esperienza traumatica, in tutti i sensi.
Il mondo degli Zombie ha sempre destato un certo interesse in ambito videoludico, dalle apparizioni di veri e propri horror games come i primi Resident Evil ai più “caciaroni” Dead Rising, insomma, da vent’anni a questa parte, gli zombie non sono mai tramontati. L’idea alla base di 7 Days to Die è da incorniciare in quanto prevede un mondo totalmente aperto e interattivo a disposizione di più giocatori, lo scopo ovviamente è quello di sopravvivere, prestando attenzione ai valori tipici del genere survival come fame, sete e stanchezza, tentando di sfuggire all’orda di zombie che ha invaso il mondo. L’assenza di uno scopo vero e proprio è il vero tallone d’achille del genere sanbox, infatti i titoli più famosi sono riusciti, con vari espedienti, a trovare il modo di arginare tale mancanza. L’esempio più lampante lo si trova in Minecraft che, partito come un sandbox quasi fine a se stesso, è riuscito ad evolversi offrendo ai giocatori sempre più opzioni, nemici e boss da sconfiggere. 7 Days to die parte già svantaggiato in quanto l’idea di un’orda infinita di zombie da uccidere o dalla quale fuggire non è così allettante come sembra e dopo le prime centinaia di zombie trucidati inizia a farsi strada la sensazione di noia classica di questo genere.
Nonostante ciò, sarete fortunati se il motivo per smettere di giocare a 7 Days to Die sarà quello della noia, il titolo è infatti afflitto da una serie di problematiche talmente pesanti da prendere il giocatore alla sprovvista, provocando un senso di rifiuto iniziale molto simile alle cinque fasi del lutto.
Diniego
L’impatto iniziale con 7 Days to Die è uno dei più brutali degli ultimi anni. Dopo una scelta delle opzioni di gioco curata nei minimi dettagli che permette al giocatore di impostare una miriade di parametri, dalla durata del giorno al comportamento degli zombie, il titolo catapulta il giocatore in un punto casuale della mappa di gioco, il colpo è devastante. Chi vi scrive non prova vergogna nell’affermare che ha aspettato una buona decina di minuti prima di muovere un passo nel mondo post-apocalittico, nella speranza che il gioco non avesse caricato le textures e i modelli poligonali che lo componevano. La povertà grafica di 7 Days to Die è capace di far crollare anche il più sfegatato fan del retrogaming, costringendolo ad assumere una posizione fetale, nella speranza che si tratti di un brutto incubo. Il mondo riprodotto in 7 Days to Die è piatto, anonimo e senza la minima cura artistica, una landa desolata che elimina il problema della renderizzazione degli oggetti distanti nel modo più semplice: non ci sono oggetti da mostrare. La sensazione di trovarsi tra le mani una sorta di pre-alpha ancora grezza o, in alternativa, un gioco per Playstation 2 è dominante durante le prime fasi di gioco. 7 Days to Die mette sul piatto una mappa enorme e varia in termini di biomi: dal deserto alla neve, il mondo è talmente piatto da far impallidire la Salt Flats di Bonneville.
Nonostante lo sgomento iniziale, l’interesse per un titolo che propone una premessa interessante come 7 Ways to Die ci spinge ad inoltrarci in un mondo in rovina vestendo i panni di un anonimo sopravvissuto al disastro.
Rabbia
Le meccaniche di gioco di 7 Days to die rispecchiano l’aspetto grafico del gioco. I movimenti del personaggio sono afflitti da una lentezza che rende l’intera esperienza di gioco pesante sia da vedere che da giocare, costringendo il giocatore a trascinarsi in un mondo desolato e spoglio alla ricerca di materiali necessari per sopravvivere. Il dettaglio e la qualità grafica delle textures che compongono gli ambienti sono quasi inesistenti, tanto da far sembrare Minecraft il più pompato dei Crysis 2. Nonostante la povertà grafica, il sistema di crafting che caratterizza 7 Days to Die si presenta in modo molto interessante, proponendo una serie di quest iniziali che aiutano il giocatore a comprendere le regole del gioco, portandolo a creare i primi strumenti utili per sopravvivere e le prime armi, introducendo le fondamenta della costruzione degli edifici. La rabbia arriva nel momento in cui ci si rende conto di quanto 7 Days to Die sia, almeno nella teoria, un titolo ben concepito. Le meccaniche che gestiscono il crafting degli oggetti e il farming dei materiali mettono l’intero mondo a disposizione del giocatore. Interessante la possibilità scegliere se rifugiarsi in un edificio e fortificarlo oppure crearne uno di sana pianta grazie alla possibilità di posizionare dei blocchi in pieno stile Minecraft. Le possibilità di crafting sono infinite, dalla più rudimentale ascia di pietra fino alle armi da fuoco, 7 Days to Die offre una concreta possibilità di evolversi in un mondo ostile e pieno di pericoli, senza però ricavarne alcuna soddisfazione a causa di una realizzazione tecnica davvero pietosa, al punto da pensare che tra il dire e il fare c’è di mezzo 7 Days to Die.
Negoziazione
Alla luce di un sistema di crafting dettagliato ed al fatto che non basta un comparto tecnico scadente per farci arrendere, 7 Days to Die è un titolo capace di destare interesse nonostante l’abisso che separa la teoria dalla pratica. Il sistema di skill-tree, approndito a dovere, permette di personalizzare il proprio personaggio sotto ogni aspetto con funzioni relative al combattimento, al crafting e alla costruzione. Pur permettendo un’esperienza in single player, 7 Days to Die è un titolo particolarmente incentrato sulla cooperativa tra giocatori nella quale ognuno va a potenziare una determinata abilità al fine di creare una perfetta sinergia. Non è assolutamente facile scendere a compromessi con l’impatto tecnico del titolo che rimane comunque molto interessante sotto il profilo delle meccaniche e delle funzioni che ne regolano il mondo. La costruzione di un rifugio è molto simile a quella già vista in Minecraft, fatta eccezione per la scelta dei materiali: sarà infatti possibile andare a potenziare un blocco di legno, trasformandolo in un più resistente blocco di metallo utilizzando le giuste risorse. L’approfondito sistema di crafting costituisce la colonna portante del titolo, richiedendo delle abilità particolari per creare gli oggetti più avanzati come armi e, in alcuni casi, veicoli. Sfruttare l’ambiente circostante è fondamentale ai fini di un titolo che, nel momento di entrare nel vivo dell’azione, non riesce a centrare il bersaglio.
Depressione
Nonostante le belle parole spese nella descrizione del sistema di crafting, 7 Days to Die non concede il beneficio del dubbio. L’esperienza di gioco viene infatti interrotta nel momento in cui bisogna fare uso delle risorse acquisite. 7 Days to Die esprime la sua componente dedita al gameplay più puro in modo fallimentare, proponendo un sistema di combattimento impreciso, forzato e pieno zeppo di errori. Il sistema di comandi scomodo e poco preciso non favorisce le collisioni irreali e il sistema di shooting totalmente privo di senso, rovinando ogni sforzo compiuto con una sensazione di impotenza di fronte ad un mondo concepito bene ma realizzato in modo rovinoso. La scelta di utilizzare Unity come motore grafico non è altro che la ciliegina su una torta di dubbio gusto, una decisione probabilmente riconducibile ad una scommessa persa dal game designer. L’utilizzo di un Engine come Unity, capace di sfornare capolavori come Inside, si dimostra assolutamente inadatto ad un Open world votato all’online, tale scelta non rasenta altro che la follia. A rincarare la dose vi è un prezzo assolutamente fuori parametro per un titolo del genere che, dati alla mano, dovrebbe costare molto meno in rapporto a ciò che propone.
Accettazione
La delusione più grande di 7 Days to Die non è però nella grafica, tantomeno nel comparto tecnico. La più grande delusione risiede infatti nel sogno infranto, le aspettative iniziali per 7 Days to Die, ritornando per un attimo all “Ark con gli Zombie”, vengono infrante da un titolo non capace di concretizzare le sue idee, proponendo scarti di un titolo ideale, capace soltanto di funzionare nelle sue meccaniche mancando di incentivare un gameplay afflitto da ogni sorta di bug. Il porting da PC in termini di adattamento nei comandi e di funzionalità online rappresenta l’ennesimo disastro che porta la firma di 7 Days to Die, un titolo da evitare se non si vuole finire in una spirale di depressione e sogni infranti. Più devastante la presenza di una controparte PC quasi accettabile messa di fronte alla versione console che sembra venir fuori da una macchina del tempo proveniente dagli anni ’90. Un porting del genere non è altro che un insulto all’utenza del mondo delle console che si ritrova tra le mani un prodotto scadente e poco funzionale. L’ultimo consiglio è quello di incassare il colpo ed evitare l’acquisto e, se l’avete già comprato, provare a chiedere un rimborso.
PRO:
- Sistema di crafting profondo
- Skill-tree dettagliato
CONTRO:
- Graficamente preistorico
- Animazioni e collisioni fuori da ogni logica
- Pieno zeppo di problemi di connessione e bug
- Tecnicamente inaccettabile
- Prezzo spropositato