Di boomer shooter non ce ne sono molti in giro, quindi ben venga Phantom Fury di Slipgate Ironworks e 3D Realms a colmare questo vuoto. Si tratta di un titolo di nicchia, appetitoso per chi è di vecchia data o semplicemente apprezza giochi con una spiccata impronta retro.
Lo abbiamo provato su PC in attesa che arrivi anche per il resto delle piattaforme di gioco. Diamo dunque un’occhiata alla recensione di Phantom Fury per vestire ancora una volta i panni insanguinati di Shelly Harrison.
Una campagna single player d’azione esplosiva
Shelly torna dopo essersi svegliata dal coma per salvare il mondo dalla terribile minaccia dei mutanti. L’obiettivo è recuperare il Demon Core, ormai sepolto in una struttura abbandonata e colma di uomini che furono. Già solo un incipit del genere è perfetto per l’obiettivo del team di sviluppo Slipgate Ironworks. Phantom Fury vuole essere un boomer shooter creato con metodi moderni, ma ancorato agli FPS classici del passato e con un’impronta da film d’azione esplosivo e pieno dei suoi tipici cliché.
Esplosioni, armi impensabili, mutanti sputa-bile e un’organizzazione che mette i bastoni tra le ruote. Si chiama GDF e fa già molto ridere per noi italiani, sperando che in futuro le nostre forze dell’ordine non si mettano a giocare col genoma umano.
Si passa dai deserti iniziali nei pressi di Albuquerque per poi visitare alle strutture abbandonate di Los Alamos, terminando il viaggio in una Chicago tristemente in fiamme e molto cyberpunk. Non mancano ovviamente i momenti di lotta aerea o sottomarina, perché ci deve pur essere un ventaglio di ambientazioni dannatamente ampio per un action che si rispetti.
Detto ciò, l’obiettivo narrativo degli sviluppatori di Phantom Fury è pienamente centrato. I risvolti fantascientifici e catastrofici sono resi al meglio da una trama ovviamente sopra le righe e scherzosamente machista. Shelly è ben abituata a schernire i suoi nemici con dialoghi casuali in prima persona da FPS classico, oppure a destreggiarsi in una manliest handshake che renderebbe fiero anche Schwarzenegger.
La celebrazione del retrogaming
La grafica retro di Phantom Fury vuole essere appetibile per chi ha nostalgia degli FPS classici. Per quanto sia possibile giocare in 4K, col senno di poi forse sarebbe stato meglio ripescare un vecchio monitor dal garage e tornare virtualmente ai vecchi tempi.
Gli elementi di gioco hanno un design piuttosto variegato: non tutte le texture sono pixelate nello stesso modo, soprattutto se hanno a che fare con effetti luminosi o volumetrici. Fulmini, esplosioni e quant’altro godono infatti di una fluidità che si avvicina di più ai giochi moderni, mentre i materiali fisici sono realizzati come ci si aspetterebbe, piatti e senza grandi riflessi.
L’equilibrio tra questi due stili grafici è ciò che rende riuscito Phantom Fury. Se si fosse dedicato solo alla sua parte retro non avrebbe potuto definirsi innovativo. Se invece avesse scelto una nuova via sarebbe stato abbandonato subito dai giocatori di vecchia data. È pur sempre un gioco “di nicchia” che andrà a colpire chi cerca da tempo un degno successore di Duke Nukem. Le nuove leve del gaming non troveranno invece grandissimo interesse nel suo stile.
Come nasce Phantom Fury?
Parlando proprio di Duke Nukem, è chiaro come Phantom Fury abbia preso ispirazione da vecchi titoli del passato. Si vede un po’ di tutto, addirittura anche di Halo: Combat Evolved. Le sezioni di guida con jeep dotata di mitraglietta tra i verdi sentieri stringono fortissimo l’occhio al Warthog lanciato tra i canyon di Halo. Forse è solo la nostra immaginazione, visto che si parla del 2001, ma per chi ha giocato al titolo di Bungie sarà una meccanica subito riconoscibile.
Gli sviluppatori del team Slipgate Ironworks dicono inoltre di aver preso spunto dalle meccaniche di Half-Life e Sin. Phantom Fury consente infatti di muovere oggetti per accedere a vie alternative o, ancora meglio, per fracassare crani altrui.
Il cuore di Phantom Fury, del resto, sta proprio nella nostalgia. Le ispirazioni dichiarate sono coerenti con quello che si vede nel gioco, quindi ci si può tuffare nell’azione senza grandi problemi.
Per quanto resti in sottofondo, un gioco in stile retro ha anche bisogno di una colonna sonora all’altezza. Le sonorità di Phantom Fury rispecchiano appieno questo genere. Aumentano di intensità nei momenti più pieni di azione e diventando soffuse quando è il momento di addentrarsi in qualche corridoio oscuro. Inutile dire che sia necessario vivere questa esperienza con un bel paio di cuffie, anche per sentire il dolce lamento dei mutanti dietro la propria schiena.
Il boomer shooter che molti attendevano
La velocità è tutto nel gameplay di Phantom Fury. Un approccio da FPS odierno non è efficace contro nemici in continuo movimento e con una discreta abilità di circondare il protagonista. Phantom Fury lo fa capire nei primi livelli di gioco, dove gli spazi molto ampi consentono diversi approcci nei confronti dei nemici. È quando poi ci si addentra nei corridoi dei laboratori o nei cunicoli delle miniere che bisogna essere molto risoluti nell’azione.
La mole di armi a disposizione aiuta a scegliere ogni volta come dilaniare i poveri NPC. Tutto si scopre con la progressione naturale del gioco, fino addirittura alle battute finali. Alcune armi possono anche essere migliorate tramite upgrade: la valuta necessaria è sparsa ovunque e spesso nascosta dietro altri oggetti o in posizioni difficili da raggiungere, motivo per cui è anche necessario esplorare bene il terreno di gioco prima di procedere.
Si passa dai classici proiettili ai razzi e alle sfere di plasma, da utilizzare con parsimonia e in relazione ai nemici incontrati. Se all’inizio si tratta solo di poveri soldati e droni della GDF, col tempo si arriva anche a elicotteri, mech e mutanti grandi come armadi. Se non siete poi così bravi a mirare, amerete la modalità secondaria della Loverboy. Al crescere della difficoltà dei nemici si aggiunge anche una serie di ambientazioni scure e nebbiose, che contribuiscono a creare un senso d’ansia molto indicato per l’intricata situazione.
Non è solo questione di armi
Al di fuori dello sparatutto, Phantom Fury offre anche piccole sfide per aprire porte o accedere ad aree segrete. Per quanto il meccanismo sia sempre il solito (porta chiusa da un codice -> terminale PC con codice -> ottenimento ricompensa), alcuni dettagli possono essere dimenticati quando si è nel pieno del combattimento. Non c’è del resto alcun waypoint da seguire: tutte le istruzioni sono riassunte in brevissimi obiettivi su schermo.
Non tutto però è perfetto. Al netto di qualche bug già presente nella lista fornita dal team di sviluppo, è successo qualche volta di restare bloccati e dover ricaricare l’ultimo checkpoint. Anche i nemici non sono esenti, soprattutto se di grosse dimensioni. Un rotondo carrarmatino lanciarazzi (perdonateci, è davvero la descrizione più precisa) è rimasto spesso incastrato tra i pali della luce di Chicago. Ovviamente abbiamo ringraziato per l’aiuto, ma è comunque un’imprecisione tecnica.
VERSIONE TESTATA: PC
La recensione in breve
Phantom Fury riporta in auge uno stile di gioco che sembrava quasi perso. Ottimo per chi voleva un successore spiriturale di Duke Nukem e compagnia varia, il titolo di Slipgate Ironworks unisce con successo il suo aspetto retro con le tecnologie moderne. In questo modo le frizioni tecniche dei giochi di una volta vengono ridotte notevolmente, anche se permane qualche errore tecnico decisamente risolvibile con le prossime patch. In ultima analisi, il suo gameplay porta quasi a dimenticare che sia un gioco del 2024: esattamente l’obiettivo di questo genere di boomer shooter.
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Voto Game-eXperience