Omori è l’RPG a tinte horror di OMOCAT, uscito nel 2020 per PC e arrivato recentemente per console e nel catalogo Xbox Game Pass.
Omori, quando il videogioco ti guarda dentro
Come appena spiegato, Omori è un RPG di genere horror/thriller psicologico in cui vestiremo i panni di un bambino durante l’esplorazione della sua psiche e delle sue paure più grandi.
Il viaggio che intraprenderemo assieme al nostro protagonista scaverà non solo all’interno del suo passato, ma ci accompagnerà nell’affrontare traumi purtroppo comuni, che almeno una volta nella vita hanno toccato tutti, chi più chi meno.
Omori, infatti, non è un’opera da affrontare a cuor leggero e non è sicuramente adatta a tutti. Non tanto per l’inquietudine che questo titolo riesce a trasmettere con estrema potenza, nonostante sia interamente realizzato in pixel-art, quanto per le tematiche forti trattate dal gioco.
La salute psichica è il tema principe di Omori, che ne affronta tantissime sfaccettature ripercorrendo la storia del protagonista e dei suoi amici, che scopriremo via via andando avanti nella trama. Ansia, depressione e paura sono solo alcuni dei punti cardine che il titolo esamina in maniera eccellente e molto angosciante.
L’abito non fa il monaco
Non fatevi ingannare dal gameplay simpatico e colorato, in quanto è proprio questa forte dissonanza tra aspetto grafico e argomenti a rendere Omori profondamente disturbante.
Il gioco alterna infatti momenti di esplorazione spensierati in ambienti particolarmente allegri ad attimi in cui verremo colpiti da un profondo senso di inquietudine e ci ritroveremo a pensare più volte prima di compiere una scelta.
Ci troviamo di fronte un titolo che richiede svariato tempo per essere portato a conclusione, non tanto per le ore di gioco che ci aspettano, quanto più per i momenti di tensione in cui ci bloccheremo a riflettere prima di prendere determinate decisioni, dato che queste saranno spesso difficili da accettare.
Superare le proprie paure…
Il tema principale del titolo è il trauma. Tematica che è indubbiamente difficile da affrontare con delicatezza e senza banalizzarla. Nonostante ciò, questo titolo riesce a trattarla alla perfezione, facendoci scendere nello scantinato buio che si cela all’interno della mente del protagonista e dei suoi amici.
Le paure che tormentano il protagonista sono svariate e comunissime (ragni, altezza, ecc), durante il suo percorso troverà dei modi di affrontarle, sbloccandosi e riuscendo anche a visitare zone che prima non avrebbe mai potuto esplorare.
Ma Omori non sarà solo durante questo suo percorso, viene infatti accompagnato dagli amici di una vita: Hero, Kel e Aubrey. Ognuno di loro ha avuto un passato difficile con cui fa i conti tutti i giorni e da cui deriva il loro modo di approcciarsi al mondo. Nonostante questo, i ragazzi non perderanno occasione di appoggiarsi e di farsi coraggio a vicenda, aiutandosi in ogni modo possibile.
…e non farlo da soli
Arriviamo qui infatti a un altro tema che mi ha toccata particolarmente presente in Omori: l’amicizia. O meglio, l’amicizia che finisce.
Una situazione capitata a tutti almeno una volta nella vita. Hai quegli amici con cui condividi ogni cosa, passi con loro gran parte delle tue giornate e con loro hai affrontato le prime esperienze importanti. Poi un giorno tutto finisce. Qualcuno cambia scuola, qualcuno trasloca, qualcuno affronta qualcosa che lo cambierà per sempre.
Ed è così che ci si ritrova quasi sconosciuti, ci si incontra per strada e non ci si saluta neanche più.
Omori parla anche di questo.
Il titolo è infatti ambientato in due universi paralleli: l’Headspace, quasi un mondo dei sogni in cui il tempo sembra essersi fermato a quando ancora non era successo nulla di male, e la realtà.
Mentre nell’Headspace saremo sempre uniti ai nostri amici, nella realtà le cose sono cambiate da tempo. Omori (o Sunny) non esce di casa da anni, i suoi amici non sono più uniti come prima e l’unico che lo cerca è Kel, il fratellino di Hero che invece è partito per il college.
Nulla è più come prima per il gruppo di ragazzi, nella realtà si avvertirà molto il peso che questa separazione ha avuto non solo su Sunny, ma anche su tutti gli altri.
Il titolo ci lascia quindi un altro spunto di riflessione rilevante riguardo l’importanza dell’amicizia. Questo ci viene trasmesso anche tramite il gameplay delle battaglie, in cui sarà presente la classica meccanica JRPG dell’attacco di gruppo, che ci sarà spesso indispensabile per sconfiggere determinate tipologie di nemici.
E’ interessante anche il modo in cui OMOCAT ha deciso di rappresentare diverse tipologie di amicizia. Non ci troveremo infatti di fronte a delle amicizie stereotipate, tutt’altro. In Omori troviamo amicizie fraterne, istinti materni e di protezione e anche quel tipo di rapporto in cui ci si stuzzica e si bisticcia spesso per paura di dimostrarsi il bene che ci si vuole (nonostante questo traspaia completamente). Impossibile non sentirsi rappresentati da almeno una di questi modi di approcciarsi a una relazione affettiva.
“Sono io sputato quello nello specchio”
Citazione d’obbligo a Caparezza per concentrarci sull’ultima componente importante di Omori di cui vi parlerò oggi.
Più di una volta ho ripetuto che si tratta di un titolo in cui è impossibile non immedesimarsi.
Giocare a Omori mi ha lasciato più volte la sensazione di starmi guardando allo specchio. L’ho sentito più volte parlare al mio cuore, andando anche a toccare delle ferite che ancora non si sono rimarginate e lasciandomi svariate volte sola con i miei pensieri.
Si tratta di un’opera davanti alla quale non si può restare indifferenti, in quanto va ad affondare le sue dita nelle parti più nascoste della nostra psiche, riportando anche a galla eventi spiacevoli che probabilmente non abbiamo ancora superato del tutto.
L’immersività di questo gioco è sicuramente il suo punto forte, caratteristica non presente ovunque e che ho ritrovato per la prima volta in questo titolo dopo una gran serie di giochi molto interessanti ma indubbiamente scialbi sotto questo punto di vista.
Omori è quindi un’esperienza che consiglio spassionatamente a tutti quelli che hanno voglia di guardarsi dentro, affrontando quest’opera con il tempo che richiede. Ai deboli di cuore consiglio di farsi coraggio, ma di non avere remore a fermarsi qualora il tutto diventasse troppo pesante psicologicamente.