In un’epoca in cui i franchise videoludici si dilatano in ogni direzione, moltiplicando spin-off, sequel e reboot, l’operazione di Square Enix con Octopath Traveler Zero si presenta come un atto apparentemente controcorrente: un prequel. Non una rivoluzione, ma una ricontestualizzazione. Eppure, mai come in questo caso, lo zero non rappresenta un ritorno al punto di partenza, bensì un nodo originario che cerca di tenere insieme tutte le anime frammentate di una saga che ha saputo dividere e affascinare fin dai suoi esordi. Siamo dunque pronti a raccontarvi le nostre impressioni nella recensione di Octopath Traveler Zero.
Le origini

Octopath Traveler Zero non è solo la narrazione delle origini di Orsterra, ma è anche un tentativo di dare nuovo ordine e significato a una struttura, quella a otto protagonisti, che nel tempo ha mostrato sia la sua potenza evocativa che i suoi limiti sistemici. La sensazione, sin dalle prime ore, è quella di un gioco che cerca di ricompattare le sue molteplici identità, riscrivendo in filigrana non solo l’incipit della saga, ma anche le sue regole interne. Il primo segnale di questa rifondazione lo si trova nella scelta di abbandonare la classica presentazione a episodi separati per abbracciare una narrazione più corale. Non si tratta più di otto percorsi paralleli che talvolta si sfiorano senza mai fondersi realmente, ma di un’epopea condivisa che trova nel villaggio di Wishvale – e nella sua distruzione – il baricentro drammaturgico dell’intero viaggio. Il protagonista, ora personalizzabile nel nome, nell’aspetto e perfino nei gusti culinari, non è più un eroe tra gli altri, ma un catalizzatore di memorie e destini, un volto che assume significato solo nel rapporto con gli altri sette compagni reclutabili.
Proprio su questo punto Octopath Traveler Zero compie una delle sue mosse più ambiziose: non solo il gruppo è formato da otto personaggi giocabili, ma l’intero sistema di combattimento è costruito attorno a questa coralità. Due file da quattro, un sistema di alternanza che rilegge in chiave strategica il classico schema del Boost/Break, e soprattutto una meccanica che premia la sinergia tra i membri del party più che l’efficienza del singolo. Il risultato è un gameplay che si fa più denso, più lento, ma anche più gratificante nelle fasi avanzate, quando le dinamiche interne al gruppo diventano l’elemento chiave per affrontare le sfide più complesse.
Il rovescio della medaglia è una curva di apprendimento piuttosto ripida e un senso di smarrimento che può emergere nei primi capitoli, quando le nuove meccaniche si stratificano senza offrire subito un feedback tangibile. La sensazione, per alcuni, potrebbe essere quella di un gioco che chiede molto prima ancora di aver dimostrato cosa possa offrire. Ma è proprio in questa pretesa che Octopath Traveler Zero dimostra di essere più maturo dei suoi predecessori: meno incline a stupire con soluzioni di superficie, più interessato a costruire un sistema coerente, dove ogni scelta ha un peso che si propaga nel tempo.
Qualità tecnica

Anche sul versante estetico il gioco si muove nel solco della continuità, ma con importanti rifiniture. L’HD-2D, marchio di fabbrica della serie, raggiunge qui una delle sue vette più alte, con una cura maniacale nella gestione della luce, degli effetti atmosferici e della profondità di campo. Non è solo una questione di bellezza, ma di atmosfere: i villaggi abbandonati raccontano storie di perdita solo con la composizione dell’inquadratura; i templi sotterranei suggeriscono antichità e pericolo prima ancora che un dialogo venga pronunciato. C’è una volontà quasi cinematografica di costruire significato attraverso lo spazio e la luce, che conferisce all’intera esperienza una patina evocativa e malinconica.
Questa coerenza visiva si riflette anche nella colonna sonora, ancora una volta affidata al talento di Yasunori Nishiki, che qui lavora per sottrazione più che per eccesso. I temi musicali sono meno enfatici rispetto al passato, più legati al ritmo dell’esplorazione e al respiro dell’ambiente. La musica non accompagna, ma precede: suggerisce stati d’animo, anticipa svolte narrative, dialoga con il paesaggio emotivo del giocatore.
La narrativa

Ma se l’impianto estetico e il sistema di gioco rappresentano i due pilastri più solidi della produzione, non si può dire altrettanto della scrittura. La trama principale, pur sostenuta da ottime premesse e da una struttura più compatta, fatica a trovare un vero climax. La sensazione è che la volontà di mantenere un tono uniforme, coerente con l’ambientazione e il mood generale, abbia portato a una narrazione fin troppo controllata, quasi trattenuta. I personaggi sono interessanti nei tratti, ma raramente riescono a sorprendere; le svolte narrative sono più accennate che esplose, e il senso di progressione emotiva, che dovrebbe accompagnare l’avanzamento nel gioco, appare talvolta diluito.
Non si tratta di una debolezza strutturale, quanto piuttosto di una precisa scelta autoriale che, nel privilegiare l’equilibrio e la coesione, sacrifica la tensione drammatica. Ma in un gioco che fa della riflessione, della memoria e della ricostruzione i suoi temi portanti, questo approccio può anche essere letto come coerente. Octopath Traveler Zero non vuole essere una sinfonia di colpi di scena, ma una lunga ballata sui legami che ci definiscono, sulle cicatrici che ci portiamo dietro, sui luoghi a cui decidiamo di tornare. In quest’ottica, la meccanica della ricostruzione di Wishvale assume un valore simbolico potente. Non è solo un minigioco gestionale, ma un dispositivo narrativo che lega la progressione del giocatore alla rinascita di uno spazio condiviso. Ogni edificio ricostruito, ogni NPC riportato al villaggio, ogni decisione su come organizzare le risorse contribuisce non solo al gameplay, ma alla costruzione di un senso di appartenenza, di comunità, di storia condivisa.
Commento finale

Ecco allora che Octopath Traveler Zero si rivela, nel profondo, un gioco sulla responsabilità. Responsabilità verso i compagni, verso il passato, verso un mondo in rovina che chiede di essere ricostruito non con la forza, ma con la cura. Un messaggio che risuona forte, in un panorama videoludico sempre più dominato da titoli che premiano la potenza individuale, la crescita quantitativa, l’espansione incessante. Alla fine, Octopath Traveler Zero non è il miglior JRPG dell’anno. Ma è forse uno dei più consapevoli, uno dei più onesti nel dichiarare le sue intenzioni e nel perseguirle con coerenza. Non cerca di accontentare tutti, non vuole stupire a ogni costo. Vuole raccontare una storia antica con parole nuove. Vuole restituire peso all’atto di viaggiare, all’incontro, alla memoria. Ed è proprio in questa scelta, sobria e coraggiosa, che si trova la sua più autentica magia.
La recensione in breve
Un JRPG solido e in linea con la seie. Un titolo senza particolari guizzi che svolge il suo compitino senza eccellere e demeritare in nessuna componente. Ottimo se siete appassionati del franchise e volete sapere di più da questa origin story.
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voto Game-eXperience
