Argomento caldo di questo ultimo periodo è sicuramente la realtà vistuale: l’uscita sul mercato dei principali visori VR sia per PlayStation che per PC e l’annuncio del nuovo visore Microsoft a basso costo, compatibile anche con Xbox One, hanno riacceso la discussione intorno a questi oggetti che si prefiggono l’obiettivo di piazzarsi sul mercato come punto focale dell’entertainment casalingo del futuro, ma che al momento hanno generato più discussioni che vendite. Nel nostro recente Gamebusters avevamo evidenziato come la tecnologia sia ancora acerba e come ci siano ancora dei vincoli fisici e tecnologici che al momento impediscano l’immersività auspicata, soprattutto nel caso di PlayStation VR che dei tre visori principali è quello che presenta più difetti. Tuttavia molto del lavoro dipende anche da chi il software lo programma dato che il talento di uno studio di sviluppo passa anche da come si possano superare i limiti del prodotto per proporre un prodotto comunque piuttosto soddisfacente: un esempio concreto di ciò è stato Batman (del quale potete leggere la nostra recensione qui), titolo che proponeva un’esperienza sicuramente limitata nel gameplay e nella longevità, ma che mostrava uno studio delle potenzialità e (soprattutto) dei vincoli imposti da PlayStation VR per creare qualcosa che non solo offrisse un ottimo livello di immersività anche nel caso decidessimo di giocarlo usando il pad e con il deretano incollato al divano, ma che contemporaneamente non desse problemi al giocatore dovuti al motion sickness.
Dagli autori di Crysis
Questa premessa è necessaria per far capire che sì, il PlayStation VR è un prodotto che presenta forti limiti tecnici che non permettono di avere un’esperienza fluida e completa come per esempio HTC Vive, ma che non si può imputare tutta la colpa di una cattiva esperienza in realtà virtuale al produttore del visore. Robinson: The Journey, titolo annunciato in esclusiva per PlayStation VR e sviluppato da Crytek, aveva promesso al pubblico di regalare un’emozionante viaggio su un pianeta ancora popolato dai dinosauri e già dai primi trailer ci siamo immaginati come sarebbe potuto essere trovarsi faccia a faccia con i lucertoloni preistorici che finora avevamo visto solo attraverso uno schermo. Ho avuto l’onere e l’onore di ricevere una copia del gioco per recensirla e mentre lo scaricavo pregustavo quella che sarebbe stata la mia esperienza con il gioco, ben conscio di ciò che il visore (nel bene e nel male) avrebbe potuto offrirmi. Ci sono due cose, due aspetti piuttosto importanti, che mi impediscono di dare un giudizio completo su Robinson: The Journey.
Il primo di questi due aspetti è sicuramente il motion sickness: il gioco di Crytek è stato progettato adottando alcune soluzioni di gestione della camera che hanno avuto un influsso negativo sullo stato di salute dello stomaco di chi vi sta scrivendo. Partiamo dicendo che Robinson: The Journey è un titolo che si gioca unicamente mediante il gamepad delle proprie PS4, pertanto è stato necessario prevedere un sistema di gestione della telecamera che permettesse di vedere ciò che si trova dietro le nostre spalle, oltre che consentirci di muoverci nello spazio: nelle configurazioni di default della telecamera interagendo tramite lo stick destro il nostro personaggio effettuerà un brusco movimento della visuale di circa trenta gradi verso destra o sinistra e l’azione avviene in maniera tanto repentina da poter causare in qualcuno sensi di nausea più o meno accentuati. Considerando che i prototipi di Morpheus provati l’anno scorso ebbi le stesse sensazioni, prima di acquistare PlayStation VR mi accertai che la sua versione definitiva risolvesse in maniera soddisfacente questi problemi ed effettivamente con i giochi che provai nei vari stand della Gamescom non ebbi alcuna ripercussione fisica. Mi sento quindi nella condizione di non imputare la colpa di questo mio malore al visore in sé, ma delle cattive scelte di progettazione attuate dagli sviluppatori e questo aspetto ha fortemente limitato la mia esperienza con Robinson: The Journey, tant’è che non mi è stato possibile valutare il gioco. E se ve lo state chiedendo sì, ci sono altre modalità per gestire la telecamera, ma se possibile sono pure peggiori. Non ho quindi testato il gameplay, non ho potuto assistere alle cutscenes con i Tirannosauri che tanto attendevo (a parte quella inziale, che però ha a che fare semplicemente con un inoffensivo cucciolo di T-Rex) e non mi sento quindi in grado di dare un giudizio sul gioco sotto nessun punto di vista, se non facendo una considerazione su un aspetto che notai nei primi minuti di (non) gioco, prima di spegnere la console per i fastidi causati e questo aspetto è il secondo grande punto di questa mia (non) recensione.
Dinosauri in VR
Una volta vista la cutscene introduttiva, ci ritroveremo all’interno di una capsula di salvataggio atterrata più di un anno fa su questo pianeta popolato da geki troppo cresciuti. Una volta introdotto il setting generale del gioco, il nostro compagno di viaggio (una specie di computer fluttuante che ricorda Wheatley di Portal 2 nelle forme e lo spettro di Destiny nelle funzioni e nell’alto livello di simpatia) ci inciterà ad uscire all’aria aperta per intervenire su un guasto causato dalla lucertola da noi adottata: ed è proprio appena al di fuori della navicella, a pochi metri da me, che ho notato un pop up di texture non indifferente che mi ha lasciato agghiacciato. Ho subito sperato in una coincidenza, ma non ho avuto modo di verificare se così fosse per i motivi sopra descritti, tuttavia leggendo pareri di critica e pubblico che cominciavano ad essere pubblicati online dopo l’uscita del gioco, ho notato che il problema non l’avevo riscontrato unicamente io. Il che ha fatto scaturire in me una considerazione: va bene che il Cryengine non è un motore molto versatile come l’Unreal 4 (anche se stiamo comunque parlando dello studio che lo ha creato e che quindi più di tutti dovrebbe conoscerlo) e che probabilmente non è stato facile ottimizzare il gioco su una console come PlayStation 4, ma se in un gioco “normale” giocato sullo schermo del mio televisore posso soprassedere su qualche improvviso pop up di modelli o texture, assolutamente non transigo sullo stesso problema tecnico se questi si dovesse presentare su un gioco per visori VR. L’immersione in questo tipo di esperienza è l’aspetto centrale, ciò che rende questi giochi differenti da un titolo “classico”: se nella versione definitiva del gioco si presentano magagne tecniche di questo tipo esse pesano sulla valutazione più di qualsiasi altra cosa. Come posso pensare di trovarmi realmente su un pianeta sconosciuto se poi vedo apparire i dettagli degli oggetti quando sono ormai in prossimità di essi? C’è da dire che, stando a quanto dichiarato da Crytek, l’uso di una PlayStation 4 Pro per riprodurre il gioco dovrebbe migliorarlo sotto questo aspetto grazie alla presenza di più memoria RAM ed una maggiore computazione grafica e mi sono ripromesso che nell’imminente futuro testerò nuovamente Robinson sulla nuova console di Sony, tuttavia la Pro dovrebbe offrire un’esperienza migliore al giocatore più esigente, ma tutti i possessori di VR dovrebbero godere di una buona esperienza senza essere obbligati a spendere un euro di più per cambiare la console, cosa che invece al momento non avviene.
Come già detto, non recensirò il gioco per ora perché non so nulla del gameplay e non ho fatto nulla se non lanciare in giro qualche barile che intralciava una turbina, tuttavia chi fosse in possesso di un VR e fosse interessato ad acquistare il gioco di Crytek o addirittura ne stava attendendo l’uscita per entrare in possesso di un PlayStation VR valuti attentamente se ne vale la pena.