La serie Paper Mario è ormai uno degli inossidabili franchise spin-off nati intorno al baffuto personaggio di Nintendo. Da semplice idraulico che saltava dentro tubi verdi e schiacciava funghi e tartarughe, Mario si è dato ai party, al tennis, al calcio, alla lotta senza esclusione di colpi e persino alla medicina. E ai giochi di ruolo. Sì, proprio così, e la storia di questa deriva è tanto simpatica quanto curiosa.
Ben prima di Paper Mario (a proposito, nel 2024 arriverà il remake di uno dei giochi più apprezzati della serie, Il Portale Millenario), il personaggio aveva già intrapreso un percorso di maturazione verso un genere molto distante da quello dei platform. Ancora oggi i fan Nintendo ricordano con amore la serie Mario & Luigi, nata nel 2003, che è solo un altro fulgido esempio di questa espansione nel genere dei giochi di ruolo, ma tutte queste produzioni sarebbero inutili senza il punto zero, l’inizio di tutto, il precursore che diede vita alla seconda vita di Mario: Legend of the Seven Stars.
Super Squaresoft Bros.
Correva l’anno 1995, e Chihiro Fujioka, l’allora director del primo gioco di ruolo nella storia di Super Mario, parlò con FamiCom Magazine della decisione di realizzare un’opera tanto caratteristica. Il gioco partiva da un’idea, una collaborazione tra Nintendo e quella che all’epoca era ancora conosciuta come Squaresoft. Un’azienda leader nel genere degli RPG, capace di creare brand di portata mondiale come Final Fantasy, Chrono Trigger e Dragon Quest, ma che fino a quel momento non aveva ancora avuto modo di confrontarsi con proprietà intellettuali differenti da quelle interne.
Un altro problema riscontrato da Squaresoft a quei tempi era l’incapacità di catturare il pubblico occidentale. Per quanto i suoi videogiochi classici siano stati oggi apprezzati dai giocatori americani ed europei, tra gli anni ‘80 e ‘90 era difficile per l’azienda del Sol Levante ottenere il giusto riscontro anche lontano dalla patria. L’occasione, secondo Nintendo, era propizia: Square voleva espandersi verso altri mercati, e la grande N aveva bisogno di qualcuno con esperienza nei GDR per dare vita a un esperimento inedito; in cambio, i creatori di Final Fantasy avrebbero finalmente avuto a disposizione un brand già amato in Occidente, il già iconico Mario. Una storia simile, anche se le circostanze in quel caso erano differenti, alla collaborazione tra Square e Disney per Kingdom Hearts.
Con il benestare di Miyamoto, storico creatore del personaggio, iniziarono quindi i colloqui tra Nintendo e Squaresoft, culminando nell’accordo che porterà poi alla nascita di Super Mario RPG: Legend of the Seven Stars per SNES.
Cambiare tutto
L’idea di fare di Mario il protagonista di un gioco di ruolo era molto affascinante, ma si trattava di prendere un franchise che faceva tutt’altro (un platform) e trasportarne i personaggi e le ambientazioni in un mondo tutto nuovo, quello appunto dei GDR. Mario non poteva quindi più essere l’eroe che salta a destra e a manca, i Goomba non potevano essere i classici ostacoli da evitare o schiacciare, e in più occorreva introdurre le dinamiche tipiche dei GDR, totalmente assenti fino a quel momento.
Fujioka rivelò in passato che dare forma a questo progetto ha richiesto molto tempo e duro lavoro, perché non bisognava solo trovare la giusta quadratura del cerchio a livello di concept, ma anche convincere Nintendo, la quale stava concedendo l’utilizzo del suo più grande brand ma solo alle condizioni adeguate: “Mettere tutto in ordine durante la prima fase dello sviluppo ha richiesto molto tempo. Mario è di Nintendo, c’è stato un continuo avanti e indietro con loro alla ricerca di una via che potesse soddisfare sia Square che Nintendo”, spiegava il director nella sua intervista, specificando poi che il team di sviluppo aveva un vantaggio non da poco nella creazione di questo concept: Mario era amato anche dagli stessi sviluppatori, che quindi si divertivano e dibattevano su cosa fosse o non fosse nelle corde del personaggio.
Una situazione simile a quella accaduta solo pochi anni fa in Ubisoft, quando la divisione di Milano ha dato vita al crossover Mario+Rabbids: Kingdom Battle ottenendo un ottimo successo. Un successo non casuale ma frutto di grande attenzione e pianificazione, la stessa che Squaresoft ha riservato al suo gioco: nessuno voleva semplicemente prendere Mario e sostituirlo a un personaggio qualsiasi degli RPG più famosi, ma farne il protagonista di qualcosa di davvero nuovo e unico. Proprio per questo, anche il concept ne risentì.
Scontri a turni? Attacchi e battaglie in tempo reale, supportati da statistiche e classi che avrebbero fornito il giusto apporto per il genere RPG? No, Squaresoft e Nintendo decisero di sfruttare ciò che aveva reso famoso Mario: il salto. “La nostra risposta è stata che si tratta di un gioco di ruolo di Mario, il che significa un gioco di ruolo con cose che solo Mario sa fare: saltare, scattare e così via”, spiegava Fujioka. Da lì, appunto, nacque un concept unico per il genere, che sfruttava l’essenza dei movimenti e le potenzialità di Mario adattandole a un contesto come quello di Legend of the Seven Stars dove, con artifizi e meccaniche studiate ad hoc, il baffuto protagonista poteva esprimersi al meglio e i giocatori si sentivano impegnati in prima persona.
Anche la scelta della visuale fu importante in tal senso. Square decise per un’inquadratura isometrica (altra grande novità per Mario), perché in tal modo sarebbe stato più interessante proporre mondi tridimensionali e permettere allo stesso tempo a Mario di saltare sulle piattaforme, sfuggire ai nemici e ottenere monete e premi, anche con gli immancabili blocchi. Si potrebbe quasi affermare che questa fu la prima incursione di Mario nella terza dimensione, prima di Super Mario 64: Fujioko ricorda la novità di dare al personaggio la possibilità di muoversi in tutte le otto direzioni, invece del solito movimento orizzontale tipico di Mario Bros. o del movimento esclusivamente in diagonale che caratterizzava i GDR di quel tempo.
Non mancavano poi altri diktat direttamente da Nintendo, che voleva mantenere l’aura poetica intorno al franchise: personaggi che possono essere amati da tutti, un gameplay non banale ma neppure proibitivo per chi si stava avvicinando al genere, ma soprattutto niente sangue, il che portò Square ad abbandonare l’idea delle armi che invece erano considerate un elemento fondamentale dei GDR. L’unica concessione fu il mitico martello, su imposizione di Miyamoto-san: il creatore voleva assolutamente includerlo, e Square fu contenta di assecondare il leggendario designer.
La creazione di un ricordo indelebile
Il risultato fu qualcosa di eccezionale, un titolo insperato e inaspettato (ma perfetto), che a breve, dopo tante richieste da parte dei fan, tornerà finalmente con un’opera ricreata da zero. E pensare che Square, a causa dei limiti di SNES, non riuscì a inserire tutte le meccaniche che aveva previsto, come la trasformazione di Mario in un gigante con uno dei suoi classici funghi. Un gran peccato, così come il mancato rinnovo della partnership creativa per un progetto successivo: Square si legò infatti molto di più a Sony con l’avvento di PlayStation e la realizzazione di Final Fantasy 7, 8 e 9, allontanandosi per un po’ da Nintendo. Non molto, ma evidentemente quanto basta per mettere Mario RPG nelle mani di altri studi.
Una piccola curiosità, in chiusura: forse non molti lo ricordano, ma le strade di Mario e Square, che nel frattempo era diventata Square-Enix, si sono incrociate in un paio di altre occasioni negli anni successivi. Nel 2006 su DS arrivò Mario Hoops 3-on-3, primo gioco di basket nel Regno dei Funghi; nel 2010, stavolta su Wii, fu invece il momento di Mario Sports Mix. In entrambi i casi, però, il mondo GDR era solo un caro e lontano ricordo