Che Kingdom Hearts sia nato dalla fusione della creatività di Disney e l’allora Squaresoft, è risaputo. Anche il racconto dell’accordo ha assunto negli anni connotati da fiaba leggendaria: si narra che un giovanissimo Tetsuya Nomura, character design di Squaresoft sulla cresta dell’onda, abbia immaginato la storia di Kingdom Hearts in un ascensore, quando si ritrovò fianco a fianco con Shinji Hashimoto (storico produttore di videogiochi giapponesi) e un dirigente di Disney, a quel tempo fortemente interessata a espandersi nel mercato orientale. Detto, fatto: Nomura espone la sua idea, viene subito assunto come director, e nasce Kingdom Hearts.
Chiaramente questo aneddoto è in realtà solo la versione romanzata di ciò che è realmente accaduto quel giorno, e le cose non sono state così facili come potrebbero sembrare. Pensateci: è vero che Squaresoft voleva spingersi alla conquista dell’Occidente grazie a qualche grande icona che a lei mancava (era accaduto anche qualche anno prima con Super Mario RPG: Legend of the Seven Stars, quando strinse una partnership molto curiosa con Nintendo), ma dall’altra parte c’era Disney. Cavoli, Disney. Quella Disney. Quella che fa causa a una scuola elementare americana per aver proiettato ai bambini la visione del live action de Il Re Leone. Quella Disney che ha rotto talmente tanto le scatole al Congresso da far cambiare in più occasioni le leggi sul copyright, salvo poi rinunciare quando ormai la situazione aveva raggiunto connotati eccessivi. Quella Disney che appena vede una sua IP non autorizzata su una maglietta, fa partire un manipolo di avvocati che neppure OJ Simpson aveva.
Mettere d’accordo tutti non deve essere stato affatto facile, proprio per la necessità di utilizzare tante IP così note. Se da un lato Squaresoft era prontissima a sfruttare i personaggi di Final Fantasy per volere di Nomura, dall’altra la casa di Topolino avrebbe visto coinvolgere tantissimi personaggi e mondi a tutti noti, tratti da grandi classici animati del passato come Aladdin, La Sirenetta, Nightmare before Christmas, Alice nel Paese delle Meraviglie e così via. Il fatto di rendere poi Kingdom Hearts una proprietà Disney agevolò notevolmente le cose, grazie anche alla visione creativa di Nomura già abbastanza delineata all’inizio della produzione: quello del gioco sarebbe stato un vasto universo nel quale ogni mondo avrebbe raccontato un diverso film della lunga storia Disney.
La Giungla Profonda, ad esempio, era il fedele adattamento in tre dimensioni di Tarzan, così come il Monte Olimpo lo era per Hercules (anche se molto in miniatura, al tempo), e in ognuna di queste ambientazione i giocatori avrebbero ritrovato gli amici di un tempo, i protagonisti e i cattivi che hanno reso grandi queste storie rimaste nell’immaginario collettivo. Insieme a loro, da Final Fantasy arrivavano alcuni clamorosi personaggi della serie, sotto forma di NPC che avevano anche un buon impatto sulla storia. È così che Squall da Cid si rivelava essere il meccanico perfetto per migliorare la nave spaziale nota come Gummiship, mentre Cloud da FF7 diventava un mercenario assoldato da Ade per sconfiggere Ercole in un torneo.
Eppure, Nomura ebbe un’idea perfetta per costruire Kingdom Hearts, qualcosa che invece è mancata ad altri videogiochi multiversali Disney come il toys to lite Infinity: un protagonista. O meglio, un protagonista originale, Sora, affiancato da altri personaggi originali che avrebbero in qualche modo accompagnato l’eroe ignaro di ciò che lo circonda in un’avventura a dir poco magica – Riku e Kairi. Una sorta di cammino simile a quello di Harry Potter, se ci pensate: chiunque era capace di immedesimarsi nel giovane maghetto con la cicatrice, perché il mondo della magia, proprio come per lo spettatore, era a lui ignoto.
Allo stesso modo Sora, questo il nome del prescelto del Keyblade, veniva proiettato in un universo vastissimo, nel quale forze oscure agiscono nell’ombra per distruggere la Luce. E se Harry Potter aveva dalla sua due esperti del Wizarding World come Ron Weasley ed Hermione Granger, Sora può contare su Paperino e Pippo, a loro volta alla ricerca dell’icona per eccellenza del mondo Disney, sua maestà Topolino. Ma l’ingombrante figura del buon topo, sfruttata più come un qualcosa da poter solo vedere da lontano, non è fortunatamente riuscita a eclissare l’ascesa di un protagonista divenuto lui stesso un’icona tra le icone.
Kingdom Hearts funziona, e probabilmente continuerà a funzionare, anche grazie alla sua originalità. Nel mare dell’universo di proprietà già note, tra personaggi e mondi Disney e Square-Enix, c’è anche un profondo studio nei protagonisti e volti inediti di queste vicende, incastrati all’interno di un mosaico sempre più ampio e contorto (con Kingdom Hearts: Dream Drop Distance arrivò anche il crossover con The World Ends With You, altra opera nomuriana) nel quale però essi trovano perfettamente spazio. Sora, che nella sua versione finale con il Keyblade è sicuramente più poetico di un leone antropomorfo armato di una sanguinaria motosega come era invece nei concept iniziali, è diventato il simbolo di una storia partita come una fiaba, quella del classico eroe che deve salvare la principessa (Kairi) in pericolo, e diventata con gli anni un romanzo di Dan Brown di cui è certamente difficile tenere traccia di tutti gli eventi e le connessioni, a meno di essere un grande fan della saga.
Ma il protagonista, con il suo buon cuore, non è mai venuto meno al suo compito. Ogni volta che sullo schermo si palesano le sue scarpe scandalosamente grandi, i capelli a punta e quegli splendidi outfit con una quantità tale di cerniere da impedirgli di prendere un qualsiasi volo aereo venendo fermato al metal detector, Sora comunica gioia, amore, passione, divertimento e spensieratezza, qualcosa che pochi altri nel mondo dei videogiochi riescono a fare – specie tra le icone di oggi. Basti pensare che per anni e anni i fan di ogni dove hanno implorato Disney e Nintendo per accordarsi e inserire Sora in Super Smash Bros. E questo è l’esempio lampante del motto mai dire mai, perché qualche anno fa, totalmente a sorpresa, proprio questo sogno si è realizzato con l’ultimo DLC di Ultimate.
L’opera che è Kingdom Hearts, in effetti, non funziona (solo) perché ci sono i mondi e i personaggi Disney. Questi fanno parte della storia, è vero. Ma è una storia che riguarda altri. Visitare la camera di Andy da Toy Story? Bellissimo. Trovare Jack Sparrow e la Perla Nera da Pirati dei Caraibi? Fantastico. Ripercorrere le vicende di Quasimodo a Notre Dame? Magico. Ma la grande forza della saga, oltre ovviamente a un lavoro monumentale della compositrice Yoko Shimomura, è quella di aver saputo dare un’identità perfetta non solo ai personaggi ma anche alle ambientazioni originali, alcune delle quali ancor più amate di vari live action e lungometraggi animati Disney adattati nella serie.
Location come Hollow Bastion, nota anche come la Fortezza Oscura in italiano, sono un ricordo vivido nella mente dei fan ancora oggi, dopo quasi 22 anni dal suo debutto. Il tenebroso fascino di questo castello medievale permeato di tecnologia e magia è qualcosa di unico, proprio come l’indimenticabile Crepuscopoli, città sotto un perenne tramonto nel quale Roxas ha vissuto i suoi pochi giorni di vera felicità. Già, prima della fine delle vacanze – chi sa, sa. Come scordare le Isole del Destino, luogo al quale il destino, appunto, dei grandi eroi sembra essere intrecciato. O ancora, le maestose isole di Scala ad Caelum che abbiamo potuto ammirare in Kingdom Hearts III. Chi scrive, un vero fanatico, ha passato intere giornate a cercare di aiutare la community a decifrare l’assurdo alfabeto (che forse alfabeto neanche è) presente nella saga, di cui ancora oggi moltissimi simboli hanno un significato ignoto. Ma questa è un’altra storia.
Capirete che mettendo insieme tutto questo, scaturisce una saga dal carisma eccezionale. Un brand che nasceva col solo intento di portare le IP Squaresoft in Occidente, e Disney in Oriente, e che invece ha finito, fortunatamente, col creare una delle serie di maggior successo nella storia, complice l’incredibile identità che è riuscita a costruirsi negli anni spaziando inoltre tra generi e gameplay molto differenti tra loro. Oltre a ciò, ovviamente, la saga si è sempre fondata sulla crescente necessità e volontà di stupire il giocatore. Chi può mai dimenticare l’appassionante scontro tra Sora e Riku alla Fortezza Oscura, di fronte al corpo della povera Kairi? Come rimuovere dalla propria mente eventi storici come la Battaglia dei 1000 Heartless, gli emotivamente devastanti destini di Ven, Aqua e Terra, o il crudele fato di Xion?
Se non sapete di cosa stiamo parlando, forse è proprio il caso anche di superare i classici pregiudizi legati alla natura disneyana della serie e immergersi nel mondo di Kingdom Hearts. Non ve ne pentirete.