21 Marzo 2001. Dopo anni di conflitto ininterrotto accadde qualcosa di rivoluzionario per l’epoca, qualcosa che, fino a quel momento, sarebbe potuta sembrare soltanto una fantasia. Su Game Boy Advance esce ChuChu Rocket! il primo gioco di SEGA su console Nintendo. Qualche mese più tardi fu la volta di Sonic Advance, celebre mascotte della società che per prima rivaleggiò con Nintendo e che finì per uscire proprio sulla console portatile degli odiati rivali.
A oltre due decenni di distanza, un altro tabù s’infrange in virtù di un mercato sempre più ampio e meno restringente: Hi-Fi Rush, Sea of Thieves, Pentiment e Grounded sono i primi titoli di Xbox Game Studios ad approdare su console diverse da Xbox e PC. Se infatti il dualismo console/PC è diventato quasi una consuetudine per Microsoft e Sony, vedere il logo di una concorrente su PlayStation e Switch fa sicuramente effetto.
Un concetto, quello delle esclusive, che tiene il banco in questo primo quarto del 2024 e che sembra essere destinato a scomparire. Quantomeno nella forma in cui le conosciamo. Che sia finita l’epoca degli hardware proprietari e, di conseguenza, delle esclusive console? I PC Handled hanno davvero spianato la strada verso un futuro fatto di servizi e hardware ibridi? Ma soprattutto, Nintendo proseguirà il suo cammino solitario indisturbata?
Compro tutto, tengo niente
Nel 2022 Microsoft sconvolse pubblico e critica con l’acquisizione di Activision Blizzard per una cifra mosntre di 68,7 miliardi, un’operazione che generò quesiti sul monopolio dell’industria del gaming e sul destino delle IP della società autrice, fra gli altri, di Doom, WarCraft e Diablo. Titoli che, a seguito dell’acquisizione, avrebbero rimpinguato il portfolio di IP assieme a quelli di Bethesda.
Insomma, all’epoca sul web si accese il dibattito sulla eticità di questa operazione e conseguenzialmente su quale sarebbe potuta essere la strategia di marketing del colosso statunitense una volta accaparratasi così tanti studi di grosso calibro. Le speculazioni furono molteplici, fra chi vedeva giochi come Call of Duty o il nuovo The Elder Scrolls destinati a diventare esclusive Xbox, con buona pace del pubblico PlayStation.
L’acquisizione non fu delle più semplici visto che l’americana Federal Trade Commission (FTC) prima e la britannica Competition and Markets Authority (CMA) poi si opposero alla stessa in virtù dei principi di competitività e non monopolio sul mercato. Persino Sony si espose esprimendo inoltre dubbi sulla legittimità dell’acquisizione lamentando quanto IP come Call of Duty spostassero un peso oltremodo grande per non compromettere l’equilibrio della sana competizione nell’industria del videogame.
Un’analisi che però si rivelò essere fine a se stessa, tanto che l’acquisizione si concretizzo pochi mesi dopo anche grazie al benestare della stessa CMA e al rinuncio del blocco da parte della FTC dovuta al mancato ottenimento di un’ingiunzione preliminare che spianò quindi la strada a Microsoft verso la colossale operazione di assorbimento. Tutto quindi sembrava presagire a un ulteriore inasprimento della console war nella quale i colossi del videogame si sarebbero battagliati a suon di acquisizioni.
Nulla di più falso, il matrimonio fra Microsoft e Activision Blizzard rappresentò un punto di svolta per l’industria nel quale si sarebbe favorita l’espansione a macchia d’olio della pubblicazione dei giochi cosiddetti first o second party su quante più console e hardware possibili. Una rivoluzione iniziata sicuramente con la stessa Microsoft e Game Pass, che prima portò su PC parecchie IP proprietarie, e proseguita poi con l’approdo dei titoli PlayStation Studios su Steam.
Addio esclusive e console? Non proprio
Si può dire quindi che il concetto di esclusiva sia totalmente superato? Assolutamente no. Piuttosto è cambiato rispetto a qualche generazione fa. L’esclusività, ad esempio, potrebbe non più essere legata all’hardware tanto più ai vari servizi in abbonamento oppure alle singole piattaforme digitali. Il vantaggio per le grandi compagnie sarà quello di mantenere in casa il know-how dei cosiddetti studio “second party” pur continuando a generare profitto ampliando il proprio bacino d’utenza.
Insomma, così come accade per le piattaforme di streaming come Netflix o Prime Video, che oltre a ospitare film e serie di terze parti investono denaro per le proprie produzioni esclusive, i cosiddetti “Originals” continueranno a esistere e sarà prerogativa delle rispettive detentrici dei diritti se pubblicarli unicamente sul proprio ecosistema o anche sugli altri lidi.
Una formula che permetterebbe di guadagnare sia agli sviluppatori, che potranno beneficiare di maggiori vendite, sia ai consumatori finali, che non saranno più costretti a svenarsi comprando diverse console. Console che, almeno nel futuro prossimo, continueranno però a esistere. Grazie alla conoscenza del proprio hardware è possibile garantire performance eccellenti per i titoli di prime o seconde parti viceversa, come ci insegnano alcuni recenti casi di titoli PlayStation Studio su PC, il rischio di non potersi godere appieno un gioco su una console diversa da quella per cui è stato originariamente pensato è alto.
Il pubblico sarà quindi invogliato ad acquistare l’hardware della propria azienda preferita onde evitare di incappare in conversioni zoppicanti o problemi di altra natura. Un altro vantaggio del possedere la console che ospita le esclusive preferite è sicuramente quello di poterne usufruire in anticipo rispetto alla concorrenza. Per questo motivo le cosiddette esclusive temporanee sono tutt’ora fondamentali per le aziende che operano nell’ambito videoludico.
Il campionato “a parte” di Nintendo
Nonostante una timida apertura nell’ultimo decennio da parte di Nintendo con la pubblicazione di alcuni titoli su mobile con protagoniste le celebri mascotte del proprio roster, l’azienda di Kyoto rimane fra le più riluttanti a far sbarcare le proprie IP su altre console. Le regole ferree che hanno contraddistinto tutta la lunghissima storia di Nintendo sono state l’arma vincente per sopravvivere a diverse console war, nonché le stesse che la hanno resa la più amata ma anche la più odiata dal pubblico dei videogames. Insomma, è più probabile una catastrofe su scala globale che non vedere Mario, Pokémon o Zelda su PlayStation o Xbox.
A differenza di Microsoft e Sony infatti, le IP sono la vera gallina dalle uova d’oro di Nintendo che non mostra alcun interesse nell’estendere il proprio raggio d’azione anche sulle console dei competitors. Nonostante il primo quadrimestre del 2024 in totale penombra, dove Switch sembra sempre di più alle sue battute finali, Nintendo non sembra accennare a voler cambiare rotta nemmeno per il futuro. Anzi, secondo alcuni rumors Switch 2, potrebbe addiruttura accogliere il catalogo Game Pass.
Un po’ alla stregua dei recenti handled PC, che stanno sempre più prendendo piede all’interno del mercato videoludico grazie alla loro versatilità, Nintendo potrebbe nuovamente fare uno scherzetto alla concorrenza piazzando sul mercato una nuova console ibrida aperta a più stores digitali i quali, uniti alla potenza di fuoco delle IP proprietarie, potrebbero davvero fare la differenza. Insomma, tra i due litiganti, come si suol dire, il terzo potrebbe ancora godere.