L’uscita di Ghost of Yōtei è segnata da una polemica che ha fatto il giro del settore visto che Drew Harrison, artista con oltre dieci anni di esperienza nello studio Sucker Punch, è stata licenziata dopo aver pubblicato un commento ironico sull’assassinio del controverso attivista conservatore Charlie Kirk. La battuta – “Spero che il nome di chi ha sparato sia Mario, così Luigi sa che suo fratello lo sostiene” – ha subito generato reazioni indignate online, soprattutto da parte del pubblico anti-woke, che ha chiesto conseguenze immediate.
Ma proprio in queste ore Brian Fleming, co-fondatore e leader di Sucker Punch, ha deciso di rompere il silenzio in un’intervista con Game File, con il dirigente che ha confermato che Harrison non fa più parte del team e ha chiarito la posizione dello studio:
“Siamo tutti d’accordo sul fatto che celebrare o scherzare sull’omicidio di qualcuno sia per noi un punto di rottura, e lo condanniamo senza mezzi termini”.
Fleming ha aggiunto che Sucker Punch non è un luogo in cui questo tipo di battute possano essere accettate, sottolineando la filosofia etica che guida il gruppo. Ad ogni modo la scelta ha diviso l’opinione pubblica: alcuni hanno ritenuto eccessivo il licenziamento, mentre altri lo hanno considerato inevitabile, soprattutto alla luce della vicinanza con il lancio del gioco.
La stessa Harrison, nei giorni successivi, ha comunque difeso la qualità e l’integrità dello studio, invitando i fan a non riversare odio su Sucker Punch. Il tempismo non poteva essere più delicato: Ghost of Yōtei, sequel diretto di Ghost of Tsushima – che nel 2020 vendette oltre 13 milioni di copie ed è considerato una delle migliori esclusive PlayStation – è infatti la punta di diamante della line-up Sony per le festività 2025. Il titolo arriverà il 2 ottobre su PS5 con una nuova protagonista femminile, un cambiamento che lo studio ha difeso con decisione nonostante le discussioni online. Aggiungiamo che nei giorni scorsi è emersa in rete la lista integrale di Trofei.
La vicenda ha evidenziato non solo la fragilità del rapporto tra vita privata e responsabilità professionali nell’industria dei videogiochi, ma anche la rigidità con cui i grandi studi, oggi più che mai, devono gestire il proprio brand in un contesto mediatico ipersensibile.