Quale occasione migliore della rinascita di Fornite dalle sue ceneri (o dal suo buco?) per far tornare alla ribalta la nostra rubrica Gamebuster? Odiato da tantissimi giocatori, amato da altrettanti, quello di Fortnite è sicuramente un fenomeno non trascurabile. Tra coloro che gli addossano le colpe di un’industria apparentemente decadente e altri che si gettano dal bus virtuale tra mirabolanti costruzioni e novità sempre dietro l’angolo, la gallina dalle uova d’oro di Epic Games resta sulla bocca di tutti. Ma davvero vogliamo credere alla favoletta di tanti sedicenti hardcore gamers sulle immense colpe di Fortnite? Cerchiamo di dare un’alternativa valida al più che meritato “git gud” nei confronti di coloro che odiano indiscriminatamente uno dei titoli più risonanti degli ultimi anni.
La profondità del cielo è nulla, ma proprio nulla, in confronto al baffo di Epic Games nei confronti della marea di haters, che spesso sembra essere più corposa e “conformista” dei giocatori stessi, di Fortnite.
Approcciato con tanto, tantissimo scetticismo, degno del fan più sfegatato del diretto concorrente PUBG, mi avvicinai a Fortnite intimorito e dubbioso, non tanto nei confronti del modello di shooting che reputo tutt’ora imparagonabile al titolo di Bluehole ( ora PUBG Corp.) quanto in relazione all’importanza ed alle dinamiche delle costruzioni all’interno dell’economia di gioco. Non un mostro di skill ma un giocatore occasionale, qualche timida rampa qui e là e tantissime imprecazioni dopo, la comprensione del titolo di Epic Games è oscura soltanto a chi non vuol vedere. L’architettura immensa, pulita e liscia come la seta che Epic Games ha saputo costruire update dopo update è davvero un’opera meravigliosa. Da una parte un’operazione di marketing inizialmente leggera, facilitata dalla natura F2P del titolo, dall’altra i colori sgargianti ed uno stile sbarazzino, pastelloso ed invitante. Accessibile a tutti e leggerissimo, Fortnite ha saputo muoversi a passo di danza tra le piattaforme, raggiungendo una portata tale da riuscire laddove tutti avevano fallito: portare il cross-platform totale all’interno di un titolo.
Tra paladini (?) del single player ed hater della domenica, il Battle Royale, nato come Tower Defense, è riuscito a superare i suoi concorrenti grazie anche all’incredibile influenza di streamers e content creators che hanno trovato nell’immenso dinamismo del titolo un terreno fertile sul quale costruire delle community sconfinate. Fortnite rappresenta, ad oggi, la rappresentazione più cristallina di quello che un supporto attivo ad un titolo completamente multiplayer dovrebbe essere. Basta assentarsi per un paio di settimane per trovare una miriade di elementi nuovi, parti di mappa, armi, veicoli, modalità; il tutto in uno schiocco di dita, una patch come tante altre. È bastata una partnership con Gearbox per fare arrivare pandora nei pressi di Palmeto Paradisiaco, un piccolo accordo con Warner Bros ed ecco arrivare Batman, uno schiocco di dita e toh, Thanos. Laddove la concorrenza ( Apex e PUBG, ci siete? ) impiega mesi e mesi per proporre anche il minimo contenuto, un’arma, una skin, una mappa, Fortnite si muove su ritmi incredibilmente più rapidi e scanditi e, laddove il liscio Valzer di Electronic Arts e PUBG Corp fa ammuffire i contenuti, il focoso Flamenco di Epic Games si muove verso la perfezione.
Fautore del Pass Battaglia, arma del delitto delle tanto odiate Lootboxes, Fortnite è riuscito ad introdurre un nuovo modo di concepire un titolo F2P, elementi cosmetici da acquistare esclusivamente con denaro reale alternato ad un pass da acquistare una tantum attraverso il quale livellare ottenendo tantissime ricompense e la valuta necessaria per comprare il pass stagionale successivo, poesia.
In questo gamebuster non parleremo apertamente dell’immensa opera di intrattenimento che ha visto la mappa di gioco esplodere letteralmente in un buco nero, lo sanno tutti e non fa più notizia. L’impatto mediatico ha però attraversato i confini del medium, unendo genitori e figli, giocatori occasionali e giocatori più accaniti nell’unica impressione possibile: WOW.
WOW, non c’è altro da dire di fronte ad una così intricata opera che, stagione dopo stagione, ha messo insieme i pezzi di un mosaico che ha finito con l’esplosione e la conseguente rinascita dalle sue ceneri.
Siamo di fronte al gioco più bello del mondo? Probabilmente no, Fortnite visto in chiave completamente ludica può tranquillamente non piacere per tantissimi motivi ma ciò che Fortnite rappresenta, ciò che ha costruito, è sicuramente un modello da seguire. Potete odiarlo, potete non giocarlo ma non potete negare che Fortnite sia l’avanguardia dei titoli multigiocatore oggi.
L’altra faccia della medaglia consiste invece in una campagna di copia/incolla molto furba che ha permesso a Fortnite di implementare soluzioni di gameplay originariamente comparse in altri titoli, la stessa Battle Royale nasce sulla cresta dell’ondata di successo di PUBG, così come il sistema di Ping introdotto da Apex e la possibilità di rianimare i propri compagni anche dopo la morte. Epic Games riesce inoltre ad integrare alla perfezione queste meccaniche, andando così a creare una sinergia davvero fuori dal comune che lega le varie meccaniche in modo solido e convincente.
In conclusione, Fortnite, che piaccia o no, è riuscito a concretizzare un modello di gioco invidiabile e continua, grazie al supporto incessante da parte di Epic Games, a regalare emozioni. Superata la scogliera iniziale infatti, Fortnite riesce a mostrare il suo pieno potenziale. Il modello di shooting, come accennato in precedenza, ha i suoi difetti mentre la meccanica delle costruzioni può risultare ostica a coloro che sono cresciuti con gli shooter classici, ciò non toglie che l’offerta ludica di Fortnite resta qualcosa di incredibile sia per quanto riguarda la sua risonanza in termini di intrattenimento trasversale che per l’impatto che ha avuto nel mondo dei videogiochi in termini di meccaniche e dinamiche di gameplay. Laddove titoli di un certo rilievo come Call of Duty o Battlefield hanno fallito miseramente, in cima alla pila di Battle Royale mal riusciti troviamo un Free To Play che ha insegnato ai grandi come si supporta un videogioco e questo, al netto delle miriadi di critiche possibili ed immaginabili, è un riconoscimento che Fortnite non potrà mai perdere.