A distanza di una settimana dalla premiazione più importante dell’anno, torniamo a parlare dei Game Awards. L’incoronazione di Sekiro: Shadows Die Twice a gioco del 2019 ha lasciato dietro di se tanta delusione per quella che sembrava essere una vittoria forse troppo scontata: Death Stranding. L’opera di Hideo Kojima, della quale si è parlato veramente tanto, ha lasciato senza dubbio un segno importante, difficile da ignorare. Ma, riflettendoci a mente fredda, Death Stranding meritava davvero di vincere il premio come Gioco dell’Anno 2019? In questa puntata del nostro gamebuster parleremo dei motivi per cui la vittoria Sekiro: Shadows Die Twice è stata più che meritata.
Che il ritorno di Hideo Kojima sugli schermi dei videogiocatori di tutto il mondo avrebbe segnato in modo indelebile il 2019 dei videogiochi, e forse qualche decade in più, non avevamo molti dubbi. Di Death Stranding si è parlato davvero tanto, in ogni salsa ed in ogni modo e, proprio per questo, vogliamo risparmiavi l’ennesimo sproloquio sulla profondità o meno del titolo e sulle sue implicazioni nell’industria del videogioco. Assodata l’innegabile importanza di Death Stranding come videogioco ed esperienza ed il suo impatto non soltanto nell’industria ma anche nei giocatori stessi, per individuare le cause della sua non-vittoria (dire sconfitta potrebbe essere oltraggioso, ndr) ai TGA 2019 è necessario guardare non tanto verso la produzione di Hideo Kojima quanto verso il senso, ed il passato, degli Awards stessi. Cosa si intende con “gioco dell’anno?”, cos’è che serve ad un titolo per potersi candidare ad un titolo tanto ambito? E soprattutto, Geoff Keighley e tutta l’organizzazione che sta dietro ai TGA cosa vogliono comunicare al mondo dei videogiochi incoronando un solo videogioco tra le tante uscite? Il gioco dell’anno, o GoTY se preferite, è prima di tutto un simbolo. Un riconoscimento che premia la costante ricerca della perfezione da parte degli sviluppatori, una medaglia che va ad individuare il meglio che si potesse fare nel 2019. Mettiamo dunque da parte per un attimo l’incredibile messaggio lanciato da Kojima con Death Stranding attraverso le sue meccaniche di gioco coraggiose ed innovative, i suoi personaggi carismatici e la simbologia con la quale la trama di Death Stranding è stata saggiamente orchestrata e facciamoci una delle domande più oneste che è possibile porsi: Death Stranding sarebbe potuto essere migliore? La risposta è sì e probabilmente lo sarà tra qualche anno ma non si chiamerà Death Stranding.
D’altro canto, il Sekiro di From Software non è altro che il frutto di un genere saggiamente collaudato, limato e perfezionato nel corso degli anni. Dal primo torbido ma affascinante Demon’s Souls passando per Bloodborne e arrivando a quello che oggi è ufficialmente il GoTY 2019. Questo è il Game Award per il gioco dall’anno, un premio all’evoluzione, al perfezionamento di qualcosa che, crescendo negli anni, raggiunge una delle sue massime espressioni. Lo scorso anno il duello che vide God of War trionfare su Red Dead Redemption 2 si mosse con le stesse dinamiche. Red Dead Redemption 2 è indubbiamente un capolavoro, uno dei migliori giochi dell’intera generazione, della decade e probabilmente di questo ventennio. God of War, dal canto suo, è l’espressione massima di quello che un franchise del genere avrebbe potuto proporre nel 2018, una rinascita fuori dal comune per un titolo che ha saputo reinventarsi in modo quasi perfetto. Probabilmente in uno scontro diretto con Red Dead Redemption 2, il capolavoro di Rockstar Games avrebbe la meglio e di questo ne è convinto anche chi vi scrive. Qualitativamente superiore sotto tantissimi aspetti, la storia di Arthur Morgan e della banda di Duch è davvero una delle massime espressioni di videogioco mai concepite finora. Sekiro è un titolo davvero incredibile, uno di quei titoli che non sbaglia un colpo, dove tutto è al suo posto, un’esperienza che mette il giocatore a confronto con l’avversario più imponente che ogni giocatore ha mai affrontato: se stessi. La crescita del giocatore durante l’esperienza di Sekiro è qualcosa che permane, una continua sfida con sé stessi e con il mondo di gioco che non lascia spazio ad escamotage o exploit, non mette sul piatto build particolari e non concede un attimo di respiro. Sekiro fa crescere il giocatore, non il personaggio guidato da esso.
Andando indietro in quelle che sono state le quattro precedenti edizioni dei TGA, il messaggio lanciato è sempre lo stesso: il videogioco è un medium in continua evoluzione, bisogna dunque premiare coloro che hanno saputo contribuire al suo perfezionamento. Da questo concetto ritorniamo dunque al titolo di questo Gamebuster, Death Stranding non merita di essere il gioco dell’anno perché il segno lasciato da Hideo Kojima darà frutti ben più importanti negli anni a venire. Molti probabilmente resteranno attaccati alle vicende di Sam Porter Bridges eppure quello messo in moto da Hideo Kojima è con tutta probabilità un meccanismo evolutivo che saprà portare un’innovazione all’interno del medium che ancora non abbiamo modo di concepire. Death Stranding rivede il paradigma stesso di interazione e porta con se delle meccaniche mai viste ma per certi versi ancora grezze, non meravigliatevi dunque se non ha vinto il premio come gioco dell’anno, l’opera di Hideo Kojima ha fatto ben di più, ha colpito al cuore il videogioco e gli ha dato nuova vita, il modo in cui questa saprà crescere nel corso degli anni è tutta da giocare, come sempre, senza pregiudizi.