ATTENZIONE: Nell’articolo sono presenti diversi Spoiler che riguardano aspetti cruciali di Cyberpunk 2077, come ad esempio il finale. Leggete a vostro rischio e pericolo
Ad un mese dall’uscita di quello che è stato senza ombra di dubbio il titolo più atteso ed allo stesso tempo più chiacchierato dell’anno, ho deciso di tirare le somme su Cyberpunk 2077. Sul titolo firmato CD Projekt Red sono stati già versati fiumi di inchiostro virtuale, opinioni tra le più disparate, critiche ed elogi, comparazioni con altri titoli ed altri generi. Oggi proviamo ad analizzare Cyberpunk 2077 da un’altra angolazione. Dopo aver esplorato in lungo ed in largo Night City e tutte le sue meccaniche, sono giunto ad una conclusione che può sembrare spiazzante: ho ringraziato i bug.
All’una di notte del 10 Dicembre ero già pronto, il nostro Renato stava già sviscerando il titolo per scrivere la recensione, chiuso nel mondo di Cyberpunk 2077 già da diverse ore. La Collector’s Edition era già stata spacchettata, la mia RTX 3080 era già stata montata e tutto era pronto per affrontare quello che, almeno per me, era il titolo più atteso da Red Dead Redemption 2 a questa parte. Cyberpunk 2077, un colosso di stile, oggetto del desiderio di milioni di giocatori, accompagnato dal 16 Aprile 2020 al 10 Dicembre da un’ondata di Hype senza precedenti. Prima dell’uscita di Cyberpunk 2077 abbiamo assistito a showcases di ogni natura grazie ai Night City Wire che ci hanno accompagnato nella lunghissima attesa, conoscevo già ogni aspetto del gioco, aiutato anche dal libro che mi ha aiutato ad immergermi ancora di più nello stratificato universo di Night City. Le prime ore di gioco sono state idilliache, dopo mesi e mesi di attesa stavo finalmente giocando, non volevo perdermi nemmeno un attimo. Dopo aver passato la prima ora e mezza tra creazione del personaggio e scelta del lifepath ricevo quello che, con il senno di poi, è stato il primo (dei tanti) schiaffi che Cyberpunk 2077 mi ha riservato. Opto per il Nomade, non conosco Night City e trovo coerente, almeno in termini ruolistici, che neanche il mio personaggio conosca quel meraviglioso agglomerato di mega-edifici e neon che trafiggono la notte come una spada fatta di luci. Ho voluto ammirare la bellezza della città da lontano, aprendo la mia esperienza dalle aride Badlands nella speranza di cominciare a conoscere la città dei sogni, piena di opportunità e di pericoli, affrontandoli per la prima volta sia come giocatore che come personaggio.
Da dove arriva dunque lo schiaffo? La versione PC si comporta molto bene, non ho esitato a sparare tutte le impostazioni al massimo e la resa grafica mi ha fatto capire per la prima volta dall’uscita di Ryse il vero significato di Next-Gen. Ma c’è un problema, bastano pochissime e meravigliose sequenze, un breve tutorial ed una missione di salvataggio per arrivare ad una carrellata di immagini anonime che descrivono la mia nuova vita a Night City e BOOM! Come se niente fosse mi ritrovo all’interno del mio appartamento con il mio personaggio che è in procinto di ottenere un contratto da uno dei Fixer più prestigiosi in città.
Come scusa? Chi sono questi fixer? Chi è Wakako Okada? Perché mi ha affidato questo lavoro? Com’è possibile che dopo una sola missione sono già in procinto di partecipare ad un colpo con Dexter DeShawn?
Sono ancora troppo intontito dalla grafica meravigliosa e da quella sensazione di sogno che si realizza per rendermi conto che i problemi di Cyberpunk 2077 si annidassero ben più in profondità dei bug. Siamo ancora alla prima sera di gioco, tutto tace e quel vaso di pandora riguardante le versioni PS4 e Xbox One base non è stato ancora scoperchiato. La mia avventura su Cyberpunk 2077 continua dunque in maniera indisturbata, caratterizzata da quello stupore che soltanto una città come Night City riesce a dare. Scoprire le singole meccaniche progredendo con il proprio personaggio, prendere decisioni, assegnare punti abilità, insomma, tutto quello che si fa normalmente in un GDR di stampo occidentale.
Il colpo all’Arasaka ha coronato un’esperienza di gioco davvero idilliaca, Cyberpunk 2077, al netto di alcuni bug, mi stava piacendo davvero tanto. Tra sequenze spettacolari, un gameplay stratificato e l’arrivo dirompente di Keanu Reeves nei panni di Johnny Silverhand è stata la ciliegina sulla torta in una delle aperture più belle di sempre. In quel momento, non avrei mai immaginato di scrivere un articolo di questo genere.
Le mie prime 40 ore di gioco continuano dunque in quell’illusione, indifferente nei confronti della tempesta che imperversava sulle versione console, mi sentivo fortunato a non avere quei problemi, il gioco era bello, mi stava piacendo.
Come di consueto, le attività secondarie hanno avuto la precedenza sulla quest principale, il povero Takemura mi ha aspettato per giorni prima che mi degnassi di fargli visita. Tra contratti che cominciavano a diventare anonimi ed i puntini da scoprire sulla mappa che cominciavano a finire, ho cominciato a vivere un senso di inadeguatezza. Avendo già esplorato gran parte delle variabili di gameplay, testato diverse armi e sviluppato una build piuttosto bilanciata ma comunque votata all’Hacking in maniera tale da sfruttare la vera novità del titolo, cominciavo a sentire un vuoto enorme all’interno della mia esperienza di gioco.
Dopo circa 40 ore di contenuti secondari, corredati da missioni principali quasi obbligatorie per sbloccare altri contenuti secondari, decido di buttarmi anima e corpo (pur essendo nomad, ndr) sulla quest principale. È chiaro sin da subito che attività secondarie e quest principale viaggino su due binari qualitativi diversi, le vicende vengono narrate in maniera molto più attiva e spettacolare e, almeno per un attimo, quel vuoto comincia a riempirsi ancora una volta. Al netto di alcune chain-quest secondarie, e mi riferisco alle romance ed alla chain dedicata a Johnny Silverhand, le attività secondarie di Cyberpunk 2077 non riescono ad avvicinarsi neppure lontanamente ad un Barone di The Witcher 3.
Il secondo non è stato uno schiaffo, bensì un pugno dritto allo stomaco. Quel banner di “punto di non ritorno”, proprio quando la storia cominciava ad ingranare nel verso giusto è stato un vero e proprio trauma. A questo punto ho realizzato che tutti i problemi tecnici e la cortina di fumo che si era alzata intorno al titolo hanno rappresentato la più grande fortuna di CD Projekt-Red. Il pubblico si è infatti concentrato sui bug, sulle prestazioni delle console e sulle migliaia di problemi che affliggono il titolo, un diversivo atto a distrarre il problema più grande di Cyberpunk 2077.
Cyberpunk 2077 è una bugia.
Una bellissima illusione, uno spettacolo da ammirare in lontananza che nasconde un enorme vuoto dietro una facciata meravigliosa. Perché Cyberpunk 2077 è un bel gioco ma poteva essere davvero molto di più. Affrontando i diversi finali mi sono reso conto di tutte le mancanze narrative, ruolistiche e ludiche che affliggono il titolo, e difficilmente lacune di questo genere si possono riempire con delle patch.
Partendo dal primo campanello di allarme mi sono reso conto che non importa assolutamente il Lifepath scelto, sia esso Nomad, Street Kid, Corpo, dopo la prima ora di gioco siamo tutti uguali, l’unica differenza è data dalle linee di dialogo completamente inutili ai fini della trama che non cambiano un bel niente. E ancora alla pochezza del sistema di crafting, allo scarso bilanciamento dei talenti, alla scarsa varietà di gameplay in relazione alle abilità che vanno a ridursi a mere percentuali. Non esiste un’abilità sbloccabile tramite i talenti, tutto è numerico e dunque nullo. Potrei continuare ancora per molto ma questo non è un elenco, l’articolo non vuole parlare dei singoli difetti di Cyberpunk 2077, l’hanno già fatto in tanti, forse anche troppi.
I finali di Cyberpunk 2077 sono un insulto a chi ama i giochi di ruolo. Scegli come vuoi morire, non c’è differenza, tutto si risolve in quella singola linea di dialogo nel Cyberspazio, non importa cosa tu abbia fatto o detto, cosa tu voglia fare, devi morire, fine della storia e non c’è nulla di più a-ruolistico che proporre più scelte che portino alla stessa medesima conseguenza. In pratica scegliamo quale cutscene vedere, nulla di più.
Voglio concentrarmi sull’illusione confezionata da CD Projekt Red senza scagliarmi sulla software house, senza minacciare di morte nessuno, in fin dei conti sono soltanto un giocatore deluso. Cyberpunk 2077 è forse vittima del suo stesso nome? Oppure di una cultura dell’Hype smisurata?
No, Cyberpunk 2077 è vittima del suo stile, del suo taglio artistico meraviglioso, vittima di una Night City che riesce ad incantare. Questo accade quando un aspetto di un titolo entra in completa dissonanza con il resto degli elementi che vanno a comporlo, Cyberpunk 2077 è semplicemente troppo bello da vedere, bello a tal punto che tutto il resto sembra vuoto, solo che in questo caso, basta davvero avvicinarsi un attimo per capire che quel vuoto non è un’illusione, non questa volta.
Cyberpunk 2077 ci illude di poter fare quello che vogliamo ma in realtà ci costringe su binari troppo stretti per una produzione di questo calibro. Il mio V è un’idiota incapace di uscire dal suo ruolo, ho provato ad infrangere le regole, a cambiare strada, è bastata una sola linea di dialogo per riportarmi sulla via già tracciata. Non chiamatelo GDR allora, perché, tolta l’etichetta da gioco di ruolo, Cyberpunk 2077 potrebbe guadagnare qualche punto ma la delusione resta. Cyberpunk 2077 è come uno di quei negozi dalla vetrina sfavillante che cattura il nostro sguardo, il nostro interesse, da fuori sembra tutto molto bello, peccato però che una volta entrati ci rendiamo conto di quanto sia fragile una facciata senza sostanza.
Forse è il mondo a non essere ancora pronto, non c’è quella tecnologia, quel tempo o quelle condizioni favorevoli per permettere alla “Next-Gen” degli Open World di fiorire, non ci resta che attendere Rockstar.
In conclusione, al di là di quelle che possono essere le considerazioni personali, ho apprezzato Cyberpunk 2077 ma non l’ho amato, ogni tanto torno a Night City per ammirarne la bellezza ma, come una Matrix moderna, so che è una bugia, so che quei Tiger Claws all’angolo respawneranno in quel punto, pronti per essere uccisi ancora una volta e so che quando prenderò l’ascensore per scendere dal mio unico appartamento, nell’atrio del Mega-Edificio 10 troverò due poliziotti che discutono sulle vicende della notte precedente, così come facevano ad inizio gioco.
Ora capisco come si sentiva Cypher in Matrix, Cyberpunk 2077 è la mia bistecca, è deliziosa, ma so che non esiste.