La storia dei videogiochi ci ha insegnato quanto è importante la trama in un titolo. Le storie narrate nel corso degli anni ci hanno fatto piangere, ci hanno fatto ridere e, in alcuni casi, ci hanno lasciati proprio di sasso. I temi trattati in un videogioco ne delineano le forme, proponendo personaggi sempre più complessi e storie appassionanti. Cosa succede quando si esagera? Alla luce di alcuni titoli usciti negli ultimi tre anni, e ad altri in arrivo, sembra che l’industria videoludica stia virando sempre più verso dei contenuti narrativi di spessore, tralasciando spesso e volentieri la componente più importante in un titolo: il gameplay. In questo modo il giocatore non diventa altro che uno spettatore.
The cinema show
L’evoluzione videoludica ha portato il mondo dei videogiochi da semplice svago ad una vera e propria industria di intrattenimento alla pari del cinema o della televisione, grazie anche alla qualità e al progresso tecnologico che hanno permesso la realizzazione di quella che è stata una vera e propria scalata contro i pregiudizi di chi vede ancora questo mondo come qualcosa esclusivamente dedicato ai bambini. Le opere realizzate nel corso degli ultimivent’nni hanno visto tra le fila delle centinaia di titoli usciti alcune vere e proprie opere d’arte. Il videogioco per sua natura è fatto di gameplay, questo è un concetto ormai assodato e concepito in una miriade di modi differenti, generando una gamma di generi e sottogeneri videoludici in costante evoluzione, grazie alla creatività e alla passione degli sviluppatori di tutto il mondo. Eppure i classici “block-buster”, quelli che ormai sono reputati dal pubblico come capolavori annunciati ( anche se spesso e volentieri non è così, ndr ), presentano delle somiglianze ricorrenti che, con un po’ di fantasia, permettono di ricreare un vero e proprio format dinamico, una sorta di formula del successo che, anno dopo anno, si ripresenta sotto vesti diverse. Si tratta di un progressivo abbandono delle soluzioni di gameplay a favore di una spettacolarità cinematografica estranea al mondo dei videogiochi, introducendo cut.-scenes e QTE che spezzano letteralmente il gameplay a favore di un espediente narrativo che molto spesso non aggiunge contenuti alla trama del gioco ma contribuisce a creare quella sensazione di spettacolarità tanto amata dai giocatori, annullando però il senso di sfida, il piacere del gioco, trasformando, di fatto, il videogiocatore in videospettatore. L’abbandono della cura nel gameplay a favore di una spettacolarità a dir poco hollywoodiana probabilmente è da imputare alla semplicità che i videogiochi stessi hanno assunto nel corso degli anni. Sempre meno giocatori cercano la sfida, assuefatti da quelle sequenze spettacolari mostrate nelle conferenze, senza rendersi conto che il loro unico compito è quello di vestire i panni del loro idolo senza però prendere parte a quelle imprese epiche trattate nella storia. L’ascesa progressiva delle scene scriptate in sostituzione alla spettacolarità del gameplay è dovuta anche all’appetito del pubblico per le sequenze tipicamente hollywoodiane, questi videogiochi vengono infatti accolti in modo molto positivo dal pubblico e spesso dalla critica, valorizzando qualcosa che non appartiene completamente al mondo dei videogiochi. Il culmine di questo declino ludico si raggiunge con le sezioni in Quick-Time-Events, meglio conosciute come QTE, che, tramite la semplice pressione di alcuni tasti durante una sequenza video nella quale non si ha il controllo del proprio personaggio, rendono possibile il compimento di azioni spettacolari che, proprio come accade durante le cut-scenes, vanno ad idolatrare il dio-spettacolo senza però dare alcun senso di soddisfazione al giocatore.
La massima espressione del concetto sopra citato la si può trovare in The Order 1886. Il titolo, sviluppato da Ready at Dawn, fu presentato all’epoca come un TPS e, a detta di alcuni avrebbe soppiantato il famoso Gears of War per le sue meccaniche innovative e la sua esperienza adrenalinica. Come spesso accade in questi casi, il titolo, incorniciato da una qualità grafica mozzafiato, non ha rispettato le aspettative, risultando un prodotto poco longevo e sopratutto poco giocabile. Le scelte di gameplay adottate in the order rappresentano la massima espressione del sacrificio del gameplay in favore dell’esperienza cinematografica, proponendo sezioni in cui il giocatore deve semplicemente camminare da una cut-scene ad un’altra, senza offrire alcuno spunto di gameplay.
Supper’s Ready
Sebbene possa sembrare che la natura story-driven di un gioco comporti necessariamente l’abbandono del gameplay, ci sono titoli che riescono a bilanciare perfettamente i due piatti della bilancia, creando un’alchimia perfetta, è possibile trovare esempi in Bioshock, Metal Gear Solid IV e The Witcher 3, titoli che, nonostante portino sulle spalle il peso di una trama importante e ben concepita, offrono comunque degli spunti di gameplay che rendono il gioco interessante e lasciano che sia il giocatore a compiere le imprese narrate, non un video. La scelta di implementare un gameplay di qualità in sinergia con una forte componente narrativa comporta un lavoro molto impegnativo che evidentemente non tutti sono disposti a svolgere, considerando comunque il grande impatto con il pubblico con tali produzioni. È così che Rise of the Tomb Raider risulta spettacolare ma poco impegnativo ed estremamente guidato, sebbene il titolo di Square Enix si distacchi sensibilmente dall’opera di Ready at Dawn in termini di interazioni e gameplay. Lontano dai fasti dell’originale Tomb Raider, il reboot abbraccia invece la spettacolarità hollywoodiana sopracitata. È possibile trovare gli stessi elementi in Uncharted e Quantum Break, produzioni che hanno avuto un impatto enorme nell’industria videoludica ma che presentano gli stessi “sintomi” dei titoli sopracitati, contaminando con le QTE anche alcune bossfight che dovrebbero essere il non plus ultra dell’esperienza videoludica.
La formula della “minestra riscaldata” sembra dunque funzionare in termini prettamente economici, i titoli che abbiamo citato hanno avuto successo e sono molto attesi dal pubblico, proprio perchè il videogioco è una forma di intrattenimento e questi videogiochi riescono a farlo molto bene, il problema è che lo fanno snaturando il concetto di videogioco stesso, nascondendo dietro ad una coltre di fumo un’esperienza poco interattiva votata al mero spettacolo senza preoccuparsi dell’immersività e del gameplay. Le esplosioni e le sequenze in QTE pagano bene ma rendono il giocatore una figura passiva, chissà, magari in qualche limited verranno inseriti anche i pop-corn.
La faccenda assume caratteri decisamente diversi quando si parla invece di Quantic Dream e Telltale, software house che hanno ben delineato il loro stile in quella che viene definita un’esperienza da film interattivo. Le produzioni dei due studi si distaccano sensibilmente dagli argomenti sopra trattati, perchè sacrificano il gameplay in nome di uno stile narrativo di qualità che riesce a regalare grandissime emozioni, introducendo il concetto di interattività non dal punto di vista del gameplay ma da quello della trama. È vero, le parti da giocare pad alla mano sono poche e molto semplici, un gioco come Heavy Rain non esce però dai canoni del videogioco in quanto sposta la sua interattività, normalmente scaricata nelle sezioni di gameplay, nella componente narrativa, fornendo finali alternativi e dialoghi dinamici che creano un legame molto forte con il giocatore, lasciando che sia lui a prendere le decisioni. Confondere un’esperienza attiva con un’altra passiva è molto facile, sopratutto quando ci si ritrova davanti ad un genere totalmente nuovo al mondo dei videogiochi, una via di mezzo tra l’avventura grafica e il film che propone la qualità della narrazione in una formula più accessibile, un’esperienza molto spesso amplificata dall’effetto-farfalla che si ripercuote sulle decisioni prese in precedenza.
La nostra critica può risultare aspra agli occhi di chi gioca senza troppi pensieri, ma ci piace considerare i videogiochi come una forma d’arte destinata ad incidere sulla cultura moderna, un’arte capace di creare collegamenti tra le persone, di immergerle in esperienze fantastiche. Proprio per questo non bisogna mai lasciar correre, cercare la perfezione e migliorarsi. La paura è quella che un format consolidato possa avvicinare l’esperienza videoludica a quella cinematografica con un impatto decisamente negativo sulla fantasia e la creatività che caratterizzano questo mondo, non vogliamo essere spettatori di qualcosa che accade sullo schermo, per quello ci sono i film, vogliamo prenderne parte, sudare e impegnarci contro il nemico di turno, scoprire nuove funzioni, meccaniche e padroneggiare stili di gioco differenti che presentano le infuenze culturali di tutto il mondo, concretizzando la nostra fantasia in qualcosa di interattivo.