Riprendiamo le redini del Gamebuster ispirati da una notizia di qualche giorno fa. Devil May Cry. Tenete bene a mente questo titolo, vi servirà fra poco. Prima però un piccolo preambolo, necessario a questo articolo: non è raro vedere nell’industria sbandierare voglia di cambiamento, innovazione, svolte epocali, dettati soprattutto dall’utenza. Ci sono sostanzialmente due modi per ottenere questo: il primo è quello di creare una nuova IP da zero, con tutti i rischi che questa comporta; il secondo è prendere un brand già affermato e stravolgerlo, o con un seguito, o dalle origini, ricorrendo alla ormai classica mossa del reboot. Non sempre questa mossa paga, perché si va a toccare una saga molto spesso amatissima e difesa a spada tratta da un’utenza integralista e poco avvezza al cambiamento, che chiede sì cose nuove, ma al tempo stesso che rispettino la tradizione, un po’ come volere la botte piena e la moglie ubriaca. Un ragionamento un po’ traballante, che offusca il giudizio verso quei giochi che sarebbero dovuti essere degli ottimi titoli, ma che per cecità sono rimasti nel dimenticatoio o vengono odiati a prescindere. Vi ricordate qualche riga più sopra avevamo detto Devil May Cry? E’ proprio questo l’esempio più classico del genere, con un ottimo titolo come DMC, un reboot fatto con tutti i crismi, che però viene miseramente bocciato perché il protagonista è differente da quello originale, quindi eresia e diniego. Oggi la nostra discussione verte proprio su questo, ovvero perché il Dante di DMC è un ottimo Dante e non ha nulla da invidiare a quello della serie originale.
E’ notizia della scorsa settimana che il probabile annuncio di Devil May Cry 5 non avrà nulla a che vedere con DMC, il reboot sviluppato dai Ninja Theory (minacciati di morte, ricordiamolo, perché il loro Dante non aveva i capelli bianchi. I capelli bianchi, capito?). Gioia e giubilo dalla parte del pubblico di massa e noi abbiamo trovato questa esternazione leggermente superficiale e incoerente con le logiche di evoluzione attuali. Andando per gradi, cosa c’è che non andava in DMC, tanto da far gridare al miracolo ad un annuncio del genere? Proviamo ad esaminarlo insieme con ordine.
La trama del gioco vedeva il nuovo Dante alle prese con demoni e compagnia bella senza troppa convinzione inizialmente, presentandoci un giovanotto altezzoso e sbruffone che si imbarca in questa avventura più per dimostrare qualcosa a chi lo sta guardando che non a se stesso. Piano piano inizierà un percorso di crescita che lo porterà a scoprire le sue origini e a cambiare radicalmente carattere, mettendosi in gioco per l’umanità e non solo per il proprio tornaconto personale. La storia presentava anche la società dei demoni in maniera molto più profonda rispetto a quanto era emerso finora con la serie principale, dando delle motivazioni e dei modus operandi dei signori infernali diversi dalla classica e stereotipata invasione distruttiva. Il plauso quindi della produzione di Ninja Theory era proprio questo, quello di dare più profondità ad un personaggio e all’ambiente che lo circonda (così come ai suoi antagonisti, vedi Virgil). Il primo Dante, per quanto fosse un eroe estremamente carismatico, affascinante e invidiato, è comunque un personaggio piatto, vecchio stile, che non si evolve e non pretende di farlo, relegando tutta la sua espressività al combattimento e alle belle donne.
Anche dal punto di vista del gameplay, DMC non aveva nulla da invidiare ai giochi originali, arrivando a creare un sistema molto innovativo che sfruttava tre diversi tipi di stance per gli attacchi e combo uniche per ogni stance. L’alternanza tra questi era poi fondamentale per sconfiggere i nemici più avanzati del gioco, che richiedevano una maestria maggiore nell’esecuzione delle combo. Certo non siamo davanti ad un sistema complesso e degno dei più blasonati hack n slash, ma di certo non era questo il punto debole del gioco (come ad esempio in Devil May Cry 2). Anche il level design e la componente artistica erano estremamente ben realizzati, dei veri e propri scorci infernali e barocchi che non hanno nulla di che invidiare ai titoli più moderni. Problemi del genere dovevano essere noti anche a Capcom, visto che con Devil May Cry 4 introdusse un nuovo protagonista, Nero, un ragazzo molto simile a Dante ma con moveset diverso ed un arsenale più limitato. Disastroso anche il level design del quarto episodio, che vi sfido a difendere, vista la presenza di quella che probabilmente è la mamma di tutti i backtracking (dai tempi di Ghosts n Goblins).
Se quindi a livello di storia e gameplay il gioco è stato un passo avanti tanto da trovarsi quasi ai livelli del primo capitolo (all’unanimità considerato il migliore della serie), perché DMC è stato così bistrattato? Leggendo i commenti in giro e stando alla nostra analisi, la soluzione è una e una sola: il protagonista non è Dante. Altri reboot di successo, come quello di Tomb Raider ad esempio, mantengono invariato il protagonista, più giovane magari, con qualche dettaglio in più o in meno, ma sempre riconoscibile. Lara Croft non ha la treccia, le due pistole e le misure sproporzionate, ma è indubbiamente lei, quindi la fanbase non si è lamentata più di tanto ( certo rimangono sempre e comunque i nostalgici dei salti trial and error). Il Dante di DMC è invece completamente diverso a quanto pare, nonostante abbia due pistole, la spada di Sparda e sia un mezzo demone, la sua colpa principale quindi appare davvero quella di non avere i capelli bianchi o di non avere stravolto completamente il gameplay (cosa che in Tomb Raider aveva senso, dato l’anacronismo di giocabilità che ne sarebbe derivato).
In un mondo dove sempre più spesso il successo dei giochi viene decretato prima ancora della sua uscita, DMC ha subito proprio questo distino: venire bollato come brutto gioco per un passaparola generato da fan eccessivamente estremisti e superficiali. Perché la superficialità è quella che ormai sta spingendo gli sviluppatori verso la paura di creare nuove IP, dato che l’opinione della gente si forma prima di aver effettivamente provato il gioco; la superficialità porta i giochi ad essere sempre più l’uno il clone dell’altro, perché solo così è possibile accontentare la massa. Vogliamo qualcosa di nuovo ogni volta, esplorare cose nuove e provare di tutto, ma poi torniamo sempre nelle rassicuranti braccia delle nostre radici, dove nessuno può farci del male e la delusione non esiste. Il nuovo spaventa, il cambiamento spaventa. Il povero Dante si è visto privato della sua identità, del successo e anche di una sola possibilità, tutto perché era diverso dal suo alter ego originale. Alla luce dell’ultimo annuncio, è con tristezza che scriviamo queste righe, segno che l’avventura del nuovo Dante è già finita, e rimaniamo con l’amara considerazione che avrebbe potuto dare tanto all’industria videoludica. Nel salutarlo, diciamo ancora il suo nome, Dante, perché comunque di lui stiamo parlando. Grazie, e scusaci.