A cadenza periodica, un grande classico dei videogiochi si ripresenta con un nuovo vestito. Non solo “in abito da sera”, ma con un taglio diverso, un ritmo rivisto, una prospettiva che si interroga sulla voglia del pubblico di rivivere una esperienza già nota. In questo contesto si inserisce Dragon Quest VII Reimagined, che non è semplicemente un rifacimento del celebre JRPG del 2000, ma un tentativo ambizioso di riportarlo alla luce con una visione moderna. E per buona parte, ci riesce. Ma non senza riservare qualche “ricordo del passato” che ancora pesa. Il progetto è chiaramente a due facce: da un lato la libertà di esplorare un mondo vastissimo, ricco di storia, vocazioni, bivi e continenti dimenticati; dall’altro la sfida di renderlo accessibile, digeribile, coerente con i gusti odierni. Il team di sviluppo lo sa. Le anteprime lo confermano. La domanda è: il risultato manterrà la promessa? La risposta, per ora, è “in larga misura sì”, ma il cammino non è privo di frizioni. Scopriamone di più nel nostro provato di Dragon Quest VII Reimagined.
Estetica, mondo e design

La prima volta che ci si immerge in Dragon Quest VII Reimagined, si avverte subito un cambiamento: la direzione artistica abbandona la dimensione puramente nostalgica, abbracciando un concetto più moderno e ricco, senza tradire però il tratto di Akira Toriyama che da sempre ha definito la saga. Questo lavoro visivo non è esclusivamente una tara estetica fine a sé stessa, creando un mondo che si percepisce vivo. I villaggi, le rovine, le isole che si susseguono nella campagna di Estard non sono semplici checkpoint, ma luoghi che sembrano avere proporzioni proprie, architetture che ricordano che “prima” quel mondo era intero, e “adesso” è frammentato in isole‑schegge. Il contrasto tra il familiare e l’esotico è ben reso: la pesca tranquilla, il suono del mare, la scoperta che l’isola non è tutto. Il ritmo è supportato da una fluidità notevole: le animazioni sono curate, la luce ben gestita, gli scorci, in ogni dove, invitano all’esplorazione.
Ammodernamento ludico

Se l’aspetto visivo convince, il motore di gioco ha invece il duplice compito di rispettare l’anima del titolo originale e quello di adattarsi a un pubblico che oggi ha meno pazienza per esplorazioni lunghe, back‑tracking e minigiochi marginali. La novità più grande è la rivisitazione del sistema delle vocazioni, rivisto e palesemente migliorato. La nuova funzione “Moonlighting” consente ai personaggi di usare due classi contemporaneamente, ampliando la strategia e rendendo meno pesante il cambio di ruolo.
In battaglia, le migliorie non sono solo estetiche: l’aggiunta di opzioni di velocità comporta combattimenti più snelli e la possibilità di abbattere automaticamente nemici deboli rende l’esperienza più fluida. Il vecchio Dragon Quest VII era famoso per la sua lunghezza epica e per certe fasi dilatate che oggi rischierebbero di scoraggiare i fan meno avvezzi a questi “sacrifici”. Dragon Quest VII Reimagined affronta questo problema eliminando o riorganizzando parti del gioco “riempitive”, pur senza sacrificare la struttura episodica che rendeva il titolo una saga di avventure attraverso mondi diversi. Il design mantiene profonde radici nei JRPG tradizionali: turni, strategie di ruolo, sviluppo incrociato dei personaggi. Eppure lo fa con un tratto più moderno: le vocazioni non sono più solo “cambiare ruolo su un singolo personaggio”, ma si concentrano sul costruire una “identità composta”. Questo contribuisce all’esperienza complessiva di crescita come “grande viaggio” anziché solo “grande grinding”.
Narrativa, ritmo e storia

La storia di Dragon Quest VII è da sempre un elemento divisivo: per alcuni un capolavoro di esplorazione, per altri un’odissea interminabile piena di rallentamenti. Con la versione Reimagined, l’obiettivo dichiarato è rendere la narrazione più accessibile senza smarrirne la profondità primigenia. In un’intervista, il produttore Takeshi Ichikawa ha spiegato che la storia è stata “significativamente semplificata” e alcuni archi temporali reorganizzati per migliorare il ritmo. Questo non significa che il gioco perderà la sua identità: la struttura episodica, i viaggi nel passato, le isole da salvare, i frammenti di tabella da ricomporre rimarranno pilastri fondanti dell’ensemble.
Ma il sistema è ora meno punitivo e più calibrato per un giocatore moderno che non ha voglia di perdersi in lungaggini. Le anteprime parlano di tagli di isole “meno rilevanti” e di aggiunta di nuove storie che coinvolgono i protagonisti in modo più personale. Dal punto di vista del ritmo, la sensazione è che il giocatore venga accompagnato con maggiore cura. Non è un’esperienza “open‑end” priva di guida, ma una lunga avventura con un filo tracciante più spesso e solido. Il risultato: un JRPG che non restituisce la consapevolezza “ho superato cento ore” come impatto esclusivo, ma “ho vissuto una saga”, e la percezione che quel mondo fosse vivo e coerente.
Dove sussistono le ombre del passato

Nessuna riedizione è priva di compromessi. Nonostante gli sforzi, Dragon Quest VII Reimagined non può cancellare del tutto le tracce del gameplay di vent’anni fa. Mentre il sistema delle vocazioni è migliorato, alcuni giocatori potrebbero trovare l’ampiezza delle scelte inizialmente disorientante. Sicuramente la personalizzazione è profonda, ma richiede tempo per essere padroneggiata. In un’epoca in cui alcuni giochi cercano la “sessione tagliata” da trenta ore, qui si rischia ancora di perdere la pazienza. È il limite intrinseco di un titolo che vuole essere “epico”.
Sul fronte narrativo la semplificazione ha un prezzo. Eliminare o comprimere la trama può renderla più agile, ma attenua anche il senso di “mondo ricco”. È una scelta condivisibile, ma che porta con sé un lieve compromesso.
Commento finale

In conclusione, Dragon Quest VII Reimagined è una splendida opportunità. È il ritorno di un titolo che ha segnato una generazione e che oggi si presenta con slancio rinnovato: estetica curata, gameplay evoluto, storia calibrata. È riuscito a modernizzarsi senza tradire il cuore. Ma non è perfetto: chi cerca la strada più breve verso l’endgame potrebbe sentirsi ancora oppresso dalla vastità; chi è fan del “culto del JRPG classico” potrebbe rimpiangere alcune lentezze.
