Cult of the Lamb è il classico videogioco di cui non hai mai certezza: pensi di prendere in mano un simpatico dungeon crawler roguelite con meccaniche gestionali, con un senso dell’umorismo macabro ipersviluppato, e invece ti ritrovi con una piccola perla di design dall’ironia soverchiante. Cult of the Lamb, sviluppato da Massive Monster e pubblicato da Devolver Digital, trae ispirazioni da tanti piccoli capolavori (fra tutti, Hades e Animal Crossing) e riesce a dare vita ad una storia cruenta, cartoonesca e perfettamente godibile.
Nei panni di un agnello tra i lupi
Cult of the Lamb inizia mettendo il giocatore nei panni letterali di un agnello sacrificale. In una sequenza d’apertura notevole – che a pensarci bene fa venire i brividi – l’agnello viene costretto ad avanzare arrancando verso il suo destino, accolto dai cultisti intunicati e dagli Old Gods: quattro esseri mostruosi che condividono il potere su questa strana terra antropomorfa. A quanto pare, il piccolino è l’ultimo del suo genere: l’intera popolazione degli agnelli è stata abbattuta a nome di un’antica profezia secondo cui proprio un agnello avrebbe portato alla loro rovina, distruggendo l’Antica Fede e scatenando il signor The One Who Waits, Colui che aspetta. Gli Old Gods istruiscono i loro seguaci e l’agnello viene rapidamente freddato, ma non sanno che questo è esattamente in linea le parole della profezia. Dopo essere stato ucciso, l’agnello si ricongiunge con The One Who Waits, un dio tradito, imprigionato per lungo tempo dagli altri quattro. Ovviamente all’incontro segue un’offerta impossibile da rifiutare: essere riportati in vita con antichi poteri dovuti ad un artefatto (chiamato la Corona Rossa) in cambio dell’avvio di un culto a suo nome e dell’uccisione degli Old Gods. Rimandato nel mondo dei vivi, l’agnello deve quindi dividersi i compiti e decidere se esplorare i dungeon o gestire e ampliare il culto, tenendo conto che entrambi i “lavori” sono strettamente legati l’uno all’altro.
Cult of the Lamb, sacrifici all’ombra dei faggi
Le meccaniche di Cult of the Lamb (che tanto sono piaciute a Phil Spencer, trovate l’articolo qui )possono risultare familiari a giocatori che abbiano già imbracciato altri titoli: il combattimento frenetico e la costruzione dei dungeon ricorda tantissimo Hades mentre l’aspetto carino e coccoloso degli animaletti e la personalizzazione del culto rimanda con piacevole disinvoltura ad Animal Crossing. Cult of the Lamb non è quindi innovativo, ma è un titolo che sa inserire perfettamente le tessere di un puzzle ben organizzato.
Il combattimento è soddisfacente, ma come in Binding of Isaac richiede velocità e precisione, fortunatamente regolabili tramite le quattro difficoltà offerte dal gioco. All’inizio di un dungeon si riceve un’arma casuale con cui affrontare le orde di nemici, e durante il viaggio verso i boschi dove si sono rifugiati gli Old Gods è possibile trovare utili potenziamenti sul campo espressi sotto forma di tarocchi. Oltre alle specifiche dell’arma in possesso, ci sono diverse abilità speciali da raccogliere e usare – che vanno da raffiche di dardi a esplosioni più letali od in grado di allontanare i nemici dal bersaglio. Una volta sconfitto il boss di un’area, sarà possibile tornarvi più e più volte. I nemici delle zone diventeranno più numerosi e forti, ma più remunerativi in termini di risorse e sarà essenziale a quel punto migliorare la propria abilità nel combattimento, imparando a schivare ed a sapere esattamente quando attaccare.
La chiesa di Cult of the Lamb è contemporaneamente il cuore pulsante della parte gestionale del gioco consistente in sermoni, rituali e potenziamenti. Attenzione: quando l’agnello entra in combattimento lascia a loro stessi i fedeli, piccoli animali beoti con statistiche random che devono essere mantenuti contenti e soddisfatti per il successo del culto. Buona parte degli sforzi dell’agnello si devono concentrare sul dono dell’ubiquità, o meglio sul villaggio assegnato all’inizio, che va pulito da alberi e arbusti, popolato di abitanti e complessi ed infine impreziosito da luoghi preposti alla venerazione di The One Who Waits.
La Devozione è una materia prima generata dalla fede dei partecipanti al culto ed è necessaria alla costruzione e al potenziamento di ogni elemento di gioco, ma detto questo, ci sono tante altre risorse che vanno gestite ed accumulate con cura.
Proprio per questo i cultisti possono essere messi a lavorare nelle fattorie, negli edifici per la raccolta di risorse o alla preghiera, oltre a poter essere spesi a loro volta in sacrifici di carne e sangue più “gustosi”. Ciò nonostante, la loro fedeltà non va mai data per scontata: è necessario stare attenti al loro stato di salute, ripulirli da deiezioni o vomito, preparare i pasti e decorare le abitazioni in modo da mantenere il loro livello di felicità alto. Molte delle operazioni possono essere automatizzate nel corso del gioco, ma non tutte e per questo una run di dieci minuti in un dungeon ci lascerà sempre con una lista notevole di cose da fare. Gli Old Gods non perderanno occasione di metterci i bastoni tra le ruote in tutto questo, mandandoci contro i suoi adepti, convertendo i nostri oppure massacrandoci con malattie che li costringeranno al riposo. Oltre al villaggio, in Cult of the Lamb è possibile sbloccare nuove aree esplorando i dungeon, incontrare NPC che forniranno missioni secondarie o dedicarsi ad un paio di mini-giochi a base di dadi e pesca.
Cupo e vibrante come pochi
Il comparto grafico di Cult of the Lamb è eccezionale, coerente con la natura del gameplay, allo stesso tempo giocoso e violento. La direzione artistica del gioco e il tono cupo ma cartoonesco lavorano in armonia; gli animaletti sono accattivanti grazie alle forme ma al tempo stesso inquietanti per l’appartenenza e per i segni rituali che si portano addosso. Il gioco utilizza colori vividi e vibranti in maniera del tutto particolare, ovviamente dosando i rossi intensi in maniera più deliberata. Le animazioni sono percepibili sui modelli che respirano, lampeggiano, oscillano o pulsano leggermente. La musica con tracce sbarazzine e ricorrenti crea un netto contrasto tra immagini “carine” e atmosfera oscura, e l’ottimo sonoro ambientale riesce a integrarsi perfettamente nel contesto.
Cult of the Lamb riesce a far sentire il giocatore potente sotto varie declinazioni, che si tratti di forgiare il proprio destino o manipolare gli altri. In qualsiasi caso, il titolo rende consci di questo potere e permette perfino di esercitare un certo grado di benevolenza verso i propri sudditi: è perfettamente possibile creare una comunità libera da sacrifici, senza per questo essere puniti o svantaggiati. L’opera di Massive Monster ha una durata che oscilla tra le 10 e le 15 ore, ma per essere compresa pienamente richiede una discreta conoscenza della lingua inglese, non essendo presente la traduzione italiana.
Versione testata: Xbox Series X/S
Piattaforme disponibili: PC, Switch, Xbox One, Xbox Series X|S, PlayStation 4 e PlayStation 4
La recensione in breve
Cult of the Lamb avrebbe potuto facilmente ricadere cadere nel ridicolo, fino a risultare grottesco come un gioco degli Happy Tree Friends. Invece la direzione artistica è ispirata, le citazioni a Lovecraft sono evidenti quanto piacevoli e presentate in modo fresco, divertente e leggero. Questi elementi, uniti alla qualità tecnica del titolo, permettono al prodotto di Devolver Digital di stagliarsi tra i vari generi di appartenenza - roguelike e gestionale - senza risultare pesante, innescando un ciclo di loop da cui un giocatore difficilmente vorrà uscire.
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Voto Game-Experience