La maschera, l’occlusione, l’ignoto, le emozioni primarie dell’uomo. L’insieme di questi concetti di pirandelliana memoria sono stati spunto per Compulsion Games per la creazione di We Happy Few, distopico survival game che negli ultimi mesi sta attirando sempre più attenzioni da parte di critica e pubblico. A portare in evidenza il gioco, in arrivo ad agosto dopo una lunga fase di beta testing, è certamente la sua atmosfera inquietante, surreale post bellica, in cui si incontrano più universi famosi, con riferimenti a Bioshock, 1984 e per i più moderni, the Purge. Il tutto per dimostrare quanto la società moderna sia in effetti un coacervo di menzogne e inquietudini, quanto la paura del diverso in realtà non sia altro che la paura del reale, dove in We Happy Few reale è ciò che è consapevole degli orrori della civiltà.
Se dovessimo analizzare il gioco per quella che è stata la nostra prova, probabilmente passerebbe inosservato per la sua similitudine con decine e decine di altri titoli survival dalle meccaniche identiche. Bisogna cercare il maggio numero di risorse possibili nella mappa, costruire utensili di complessità crescente e ovviamente tenere sotto controllo tutta una serie di indicatori per la salute, la fame, la sete e tanto altro. Quello che invece è incredibile in We Happy Few è la sensazione di totale desolazione che riesce a lasciare. C’è del mistero nel gioco e sin dal primo minuti si è pervasi da una stranissima sensazione di non sapere minimamente cosa stia succedendo, tutto costruito grazie ad una serie di riferimenti e comportamenti degli NPC che non si trovano facilmente nei titoli attuali. We Happy Few costruisce la tensione con un complesso intreccio di sottili indizi, che guidano il giocatore ad andare avanti per cercare cosa sia effettivamente capitato ad Arthur, il nostro protagonista, e perché la società inglese post bellica si è trasformata un una distopica nazione dove la felicità è obbligatoria. Niente jumpscares o scene sanguinolente, espedienti ormai abusati per catturare immediatamente il giocatore, ma anzi una costruzione semi guidata che vi porterà lentamente a pensare “ma che diavolo sto guardando”.
In We Happy Few ci abbiamo visto tutto il delirio possibile dell’ultimo secolo, e non abbiamo citato a caso Bioshock, dato che prende spunto dal capolavoro di Irrational Games per raccontare lo sfacelo di una società che punta all’utopia forzata, ma anche di Lewis Carroll con la sua Alice nel Paese delle Meraviglie, dove i matti sono la normalità e viceversa. Come è facilmente intuibile, quello che è più importante in We Happy Few non è il gameplay, né tantomeno la grafica, quanto piuttosto l’atmosfera. La nostra prova è durata un’ora, ma sembrano essere passati dieci minuti, così come due mesi, un concetto di annullamento temporale che solo i titoli veramente intriganti ci avevano regalato. È per questo che attendiamo il gioco di Compulsion con rinnovata curiosità, proprio perché sembra essere in grado di dare finalmente lustro ad un genere sempre più uguale a se stesso, usurato da decine e decine di titoli uguali, mentre stavolta si prosegue in una direzione che sembra quella giusta. Benvenuti quindi ai Mascherati, ai Folli, agli Emarginati e a tutti gli strani incontri che andremmo ad effettuare in We Happy Few, dove non sapremo mai chi effettivamente è nostro amico e chi no. In conclusione, We Happy Few ha un grandissimo potenziale, proprio perché ogni partita può essere affrontata in modo diverso, circondati da un’atmosfera che è un costante mistero, sempre in bilico tra follia e incredulità. C’è ancora moltissimo da scoprire, per questo ci riserviamo di esprimere qualsiasi tipo di giudizio durante la prova completa, ma credeteci quando vi diciamo che abbiamo tra le mani un titolo potenzialmente molto interessante.