In questo episodio di allarme spoiler affronteremo uno dei titoli più significativi dello scorso anno e, a ragion veduta, dell’intera generazione. Red Dead Redemption 2 è un’opera ricca di sfumature, impreziosita da tantissimi elementi e dettagli che dipingono un’esperienza di gioco idilliaca, coronata con il suo finale, sia prima che dopo l’epilogo. Come sempre, vi consigliamo la lettura dell’articolo soltanto se avete portato a termine la campagna principale in quanto parleremo di aspetti del titolo fortemente legati alla trama ed al suo epilogo.
Quella di Rockstar è un’opera matura che, come tale, ha bisogno del suo tempo per essere assimilata. Red Dead Redemption 2 ci propone un mondo vivo, fatto di piccoli dettagli, che riescono a formare un mosaico di esperienze davvero incredibile, dall’adrenalinica rapina sul treno alla rilassatissima, ma non troppo, partitina a poker notturna. Nonostante il protagonista dell’intera saga sia da ricercare in John Marston, il personaggio al quale mi sono più legato durante le mie scorribande è stato sicuramente Arthur Morgan, protagonista indiscusso del titolo.
Durante la stesura della recensione di Red Dead Redemption 2 è stato difficilissimo evitare non soltanto gli spoiler ma soprattutto di restare imparziale in seguito al legame stretto con Athur e John. Difficilmente un titolo è capace di creare un legame talmente solido tra il protagonista ed il giocatore ma Red Dead Redemption 2, pur non essendo un gioco di ruolo all’interno del quale è possibile interagire fortemente con la narrazione ma anche con lo sviluppo del personaggio, è riuscito ad interagire direttamente con il mio subconscio. Durante le prime battute, dalla traversata sulla neve all’accampamento di fortuna vicino Valentine ed in seguito Rhodes, il mio approccio al titolo ed alle decisioni era dettato esclusivamente dall’istinto della situazione. Selvaggio come un Fuorilegge ma con qualche punta di onore, non mi facevo problemi a lasciare un pover’uomo in balia dei banditi o una giovane donzella in difficoltà, magari li rapinavo pure, senza troppi rimorsi. Era un mondo selvaggio quello di Arthur, un mondo dove il più forte sopravviveva ed il più debole era destinato a soccombere. Era questa la vita della banda, il tutto finalizzato a realizzare un grande piano, per la propria famiglia, per la lealtà verso i nostri compagni di vita. È stato dopo il secondo incontro con Mary che l’approccio alle azioni di Arthur cambia, mutando in qualcosa di più profondo, un senso di colpa, la voglia di redenzione e la consapevolezza che nulla riuscirà mai a cancellare tutto il male che è stato fatto.
“Our time has pretty much passed”
Quella di Arthur Morgan è una figura profondamente umana, un personaggio dotato di infinite sfumature, capace di distinguere il bene dal male ma non sempre capace di imboccare la giusta via. Arthur Morgan è la trasposizione più profonda e contraddittoria della natura umana che si sia mai vista all’interno di un videogioco. Agli occhi di alcuni personaggi infatti potrà sembrare un killer senza scrupoli, un criminale da eliminare ad ogni costo, mentre agli occhi di altri, Arthur è una figura paterna, un esempio da seguire, un barlume di lealtà ed inflessibilità capace di fare da collante all’interno di una banda non sempre coesa, com’è giusto che sia.
Mary sta esattamente tra queste due figure, l’amore per Arthur, dato dalla sicurezza che l’uomo è capace di infonderle ma anche e soprattutto dalla conoscenza della sua vera natura, è diviso dall’ineluttabile gravità dei suoi crimini. Mary è una donna fortemente combattuta che vede in Arthur sia una spiaggia sicura che un pericolo mortale. Sono gli incontri con Mary, ancor prima della malattia, che instillano in Arthur la volontà di redimersi, di rendere il mondo un posto migliore ma, nonostante tutto, non è sufficiente.
“There’s a good man inside you, but he’s wrestling with a giant.”
La figura di Arthur Morgan è capace di comunicare con il giocatore a livelli più profondi del semplice dialogo, la sua umanità è in grado di toccare il nostro subconscio, spingendoci ad agire di conseguenza, come in una sorta di role-play inconsapevole che guida la nostra mano. L’arrivo della tubercolosi è il culmine di un malessere scandito pesantemente dalle condizioni fisiche di Arthur, una risposta della natura, o magari di Dio, che trasmette un forte senso di disillusione nel nostro personaggio. Perché Athur, pur sapendo benissimo di non poter in alcun modo redimere i propri peccati, nel profondo del suo essere, ancora ci spera, spera nel lieto fine che non arriverà mai, non per uno come lui. Quella di Arthur è una vita fatta di sofferenze, dolori ma anche legami fortissimi fatti di lealtà, famiglia ed onore, valori che poco hanno a che vedere con il bandito senza scrupoli come Micah eppure, per la società del tempo, i due uomini erano equiparabili, entrambi criminali, in un mondo che si stava evolvendo. Cambiare un paradigma del genere era pressoché impossibile ed Arthur lo sapeva bene. Dopo la diagnosi che sanciva la condanna a morte di Arthur, il senso di impotenza, di sconfitta è talmente preponderante da cancellare qualsiasi interesse nei beni materiali, nella progressione o in tutte quelle strutture ludiche che permettono al gioco di stare in piedi. L’unico scopo, a quel punto, era quello di lasciare il mondo dopo averlo reso un posto migliore, almeno per le persone alle quali eravamo legati.
“I’m really sorry for you son, it’s a hell of a thing”
A questo punto ormai, il legame con Arthur Morgan è davvero indissolubile, ogni azione, incontro casuale, missione secondaria, assumono un gusto completamente diverso. La risolutezza e la consapevolezza di un uomo con i giorni contati, un uomo leale annichilito da un senso di colpa opprimente che, per la prima volta nella sua vita, prova fare la cosa giusta.
, la diagnosi di tubercolosi diventa dunque un qualcosa che riesce a motivarci, non abbiamo nulla da perdere, non siamo interessati nei soldi, nel guadagno, il nostro unico pensiero è rivolto ai nostri compagni di vita, siamo gli unici in grado di salvarli dalla crudeltà di questo mondo o, quantomeno, di dargli una possibilità, una speranza di vita migliore. Arthur Morgan riesce a toccarci l’anima ad un livello davvero profondo ed inaspettato. Non abbiamo di fronte il John Marston giovane ed immaturo ma un uomo fatto e finito che, dalla sua vita travagliata, ha deciso di cercare la redenzione. La morte di Hosea colpisce Arthur in modi che lui stesso probabilmente non reputava possibili. Pur essendo stato cresciuto sia da Dutch che da Hosea, è da quest’ultimo che ha instillato in Arthur un senso di moralità, andando a prendere quel posto di figura paterna che è sempre venuta a mancare nella vita di Arthur. L’accampamento era per noi una casa, un posto dove poter abbassare la guardia e godersi le gioie della vita, bevendo e divertendosi con i membri di una famiglia allargata, unita dalla voglia di sopravvivere in un mondo ostile la quale equazione per i suoi piani futuri non prendeva in considerazione gli emarginati come loro. Ad accompagnare Hosea troviamo ovviamente Dutch, un modello che Arthur ha sempre cercato di seguire, imparando la lealtà, l’intelligenza e, purtroppo, anche la crudeltà. Il rapporto tra Arthur e Dutch è intimo, fatto di conflitti ma anche di stima e lealtà reciproca. Nessuno oserebbe mai rivolgersi a Dutch nel modo in cui lo fa Arthur, evidenziando il profondo legame che li unisce.
Quella di Red Dead Redemption 2 è una cavalcata fatta di emozioni, di alti e bassi, di adrenalina ma anche di quotidianità che, nella sua semplicità, ha saputo stregarci andando a creare un legame indissolubile tra il giocatore ed il protagonista.
“Maybe it’s a sign, Arthur… try… try to do the good thing”
La celebre cavalcata finale di Arthur, meglio conosciuta come Arthur’s Last Ride, va a culminare un’esperienza di gioco davvero unica. Sulle note di That’s the way it is, composta per l’occasione da Daniel Lanois, si srotolano infatti i ricordi di Arthur mentre cavalca verso quella che sarà la sua ultima alba. Le voci delle persone a lui care ma anche degli uomini e delle donne che ha aiutato ritornano alla sua mente, andando ad addolcire l’amara sensazione di una redenzione ormai irraggiungibile. Io ho scelto il finale “buono”, aiutando John a fuggire verso una vita migliore. Alla luce di quanto detto finora, non esiste altra scelta in realtà, non ha senso per un uomo in fin di vita come Arthur, cercare ancora il denaro, la ricchezza quando questa è negli occhi delle persone a lui care. Il saluto finale al cavallo morente, Parsifal nel mio caso, dopo una rocambolesca fuga dall’accampamento, è forse il momento più commovente, emozionante e profondo. Il cavallo, un amico silenzioso ma sempre presente che ci ha salvato la vita più di una volta, un fratello che Arthur ha accudito, cresciuto, il suo più intimo amico, il ringraziamento finale. Arthur lascia dietro di sé un’eredità ben più preziosa del bottino di Blackwater, Arthur ci insegna come l’essere umano, nella sua costante contraddizione, sia capace di infondere la gioia più grande ed allo stesso tempo il più straziante dei dolori.
Assistendo all’ultima alba di Arthur, lì, sulla collina dove poco prima ci siamo battuti con Micah, il mio unico pensiero è andato a John, un pensiero quasi paterno verso un personaggio di un videogioco, quasi come se Arthur continuasse a vivere in me e si preoccupasse ancora della sorte di quel giovane scapestrato. L’epilogo, la parte finale, sancisce una vendetta cieca, non vedevamo l’ora di mettere le mani su Micah. La cavalcata sulla montagna innevata, sulla cima della quale si nascondeva il covo di Dutch e Micash voltava decisamente su toni diversi rispetto a quella condotta nei panni di Arthur. La ferocia di John, guidata dalla mia voglia di vendetta, ha eliminato qualsiasi avversario nel suo cammino fino ad arrivare al punto in cui ci ritroviamo di fronte ai due responsabili della morte di quella che era la nostra figura paterna. Dutch, come suo solito, non perde tempo a cambiar bandiera, eliminando Micah e privandoci di quella vendetta tanto desiderata, forse anche lui era alla ricerca della sua personale redenzione nei confronti di Arthur.
In seguito alla sua dipartita, Arthur verrà dimenticato dal mondo, saranno in pochi a ricordare il suo nome, il suo tempo era ormai passato. Soltanto Mary, si ritroverà di fronte alla tomba del suo amato, rimpiangendo una scelta che, pur non avendo cambiato il corso della storia, avrebbe sicuramente dato all’uomo della sua vita una gioia in più.
Si conclude così la nostra cavalcata su Red Dead Redemption 2, un ode ad Arthur Morgan, uno dei migliori protagonisti mai scritti nella storia dei videogiochi.