Life Is Strange mi era piaciuto parecchio: si trattava di un gioco con i suoi difetti e le sue ingenuità nella scrittura, ma l’avventura di Max e Cloe mi aveva conquistato al punto che avevo soprasseduto su questi difetti, giustificandoli con il fatto che per Dontnod Entertainment fosse il primo videogioco di questa tipologia, il primo approccio con questo tipo di storytelling. A tre anni di distanza dal primo titolo, Life Is Strange 2 avrebbe dovuto fare un passo in avanti nella qualità della narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi, cosa che però secondo chi vi scrive non è avvenuta, anzi sotto diversi aspetti il titolo regredisce non facendo minimamente tesoro dell’esperienza accumulata. In questa analisi cercherò di illustrare sotto quali punti di vista Life Is Strange 2 fallisce, ma prima ci sono da fare due importanti premesse. La prima è che se Life Is Strange 2 vi ha emozionato e vi è piaciuto è giusto così e non siete in difetto dato che il focus degli sceneggiatori è stato quello di scrivere una trama che fosse perlopiù emozionante piuttosto che ricercare una coerenza narrativa; la seconda è che questo è un Allarme Spoiler, quindi si consiglia la lettura a chi ha già terminato tutti e cinque gli episodi di Life Is Strange 2 dato che parlerò apertamente di avvenimenti della trama principale.
Partiamo da una cosa che mi ha dato molto fastidio, ovvero il personaggio della madre dei due fratelli ed il suo rapporto con Sean: senza troppi giri di parole, il personaggio di Karen è tremendo, forse il peggiore di tutto il gioco ed è difficile accettare il modo in cui, nonostante tutto quello che lei faccia, alla fine si sia cercato di farlo apparire come un personaggio estremamente positivo. Karen ha commesso degli errori nella sua vita, deteriorando i rapporti con il marito che diceva di amare e con i suoi due figli di cui uno infante, girando per il mondo sperando di fare fortuna con le sue passioni per poi finire indebitata e rifugiandosi in una comunità hippy in una baraccopoli in mezzo al deserto: i personaggi di Life Is Strange hanno sempre dovuto avere a che fare con eventi che hanno stravolto la loro vita e, come il titolo dell’opera ci ricorda, la vita è strana, non è perfetta e non è inusuale che le persone debbano affrontare situazioni più grandi di loro che le portano a prendere decisioni difficili. Tuttavia, nonostante tutto quello che succede, Karen non si mostra minimamente pentita o rammaricata per ciò che ha fatto al punto tale che questa sua inamovibilità da quelli che sono i suoi principi e questa sua spasmodica ricerca della libertà diventeranno per Sean un punto di riferimento, come si evince dalla lettera di commiato che il ragazzo le scrive. Karen è un personaggio orribile e sono convinto che il suo “sacrificio” per permettere ai due fratelli di tentare la fuga non basti per rendere positivo un personaggio che non dà segni di pentimento: se posso soprassedere su Daniel, molto piccolo ed ingenuo, che ha accettato di buon grado di sentire come sua madre una persona che per lui era come estranea per il semplice fatto che sentisse la necessità di colmare il vuoto lasciatogli dalla morte del padre (sebbene debba fare un enorme sforzo per accettare ciò), trovo molto difficile da credere che invece un ragazzo di 16 anni abbandonato dalla madre quando ne aveva 8 possa anche solo vagamente perdonarla, o comunque aver ricostruito un rapporto ormai inesistente in poco più di un mese. Fortunatamente per me, sono cresciuto in una famiglia modello Mulino Bianco e non ho mai subito gli eventi traumatici che hanno colpito la vita di Sean e Daniel quindi non so come avrei reagito io alla vista di mia madre fuggita per 8 anni, ma credo che nessun adolescente neanche nella condizione più disperata non riesca a sentirsi tradito da qualcuno che lo ha abbandonato. In generale pare che tutti i personaggi siano stati costruiti più che su degli stereotipi su dei veri e propri preconcetti inamovibili dei narratori intorno sui quali hanno si basano le caratterizzazioni: perché passi il redneck razzista che guarda con diffidenza due ragazzi dai tratti latinos (nonostante parlino con perfetto accento di Seattle), passino i vigilantes di confine rappresentati come cattivi che commettono soprusi su due ragazzi “messicani” perché devono difendere i confini dagli immigrati parassiti e rendere nuovamente l’America grande, ma che mi si voglia far passare l’idea che Karen, in quanto donna emancipata e madre, non possa essere un personaggio negativo o comunque con luci ed ombre perché le madri sono sempre dalla parte della ragione quando fanno qualcosa per i loro figli (anche se quel qualcosa consiste nel bruciare una chiesa) mi va molto meno bene.
Parlando invece degli eventi e soprattutto dei dialoghi che conducono al finale (o comunque uno dei possibili epiloghi) del gioco dove verrà messo in chiaro che le scelte messe in atto da Sean non sono state inutili, ma addirittura dannose per i due fratelli che episodio dopo episodio peggiorano sempre di più la loro situazione. Come fanno notare sia David, il patrigno di Chloe rifugiatosi ad Away dopo la morte della figlioccia/della compagna (a seconda della scelta finale che avremo compiuto nel primo Life Is Strange, la polizia non aveva nulla per ricondurre Sean e Daniel alla morte del poliziotto di inizio gioco e difficilmente davanti ad un giudice la storia di due ragazzi di cui uno di 9 anni, entrambi disarmati, che riescono ad uccidere un uomo armato ed a ribaltare un’auto avrebbe retto. Sia David che il poliziotto che li arrestano alla frontiera cercano di far capire a Sean che il suo comportamento non ha messo al sicuro Daniel ma l’ha solo esposto a maggiori pericoli, che se si fossero arresi il ragazzino non sarebbe stato processato in quanto troppo piccolo per essere imputato e che sarebbe stato affidato ai nonni materni (che Sean cerca di dipingere come delle figure crudeli in quanto severe e profondamente religiose, ma che in realtà cercano di aiutare i due fratelli) e che la cosa migliore sarebbe stata quella di costituirsi piuttosto che continuare il viaggio della speranza verso il Messico. Messico che tra l’altro non viene dipinto minimamente come il posto idilliaco che i due si erano immaginati, ricco delle loro tradizioni e di speranza per un futuro migliore: chi cerca di far capire a Sean che le sue aspettative probabilmente saranno disilluse sono sia la coppia messicana rinchiusa in cella con il protagonista che ha provati tre volte a fuggire da un paese che non vorrebbe dover abbandonare ma che non può garantire un futuro sereno a loro figlio e lo stesso Daniel che in un momento di straordinaria serietà abbandona il ruolo di ragazzino di 10 anni che si comporta come se ne avesse 6 e chiede a suo fratello con lucidità quali siano le prospettive per loro in un paese che non hanno mai visto, dove non hanno famiglia e dove si parla una lingua che il piccolo neanche conosce. La cosa che ho trovato più ridicola è che tutte le decisioni operate da Sean sono state fatte per cercare di proteggere Daniel e che, nonostante molte di esse li abbiano poi esposti a rischi, il ragazzo ha sempre agito in buona fede: se però decidessimo di non ascoltare i consigli ricevuti e di andare fino in fondo, in uno dei possibili finali Sean cercherà di forzare il blocco stradale al confine con il Messico fatto da forze di polizia ed agenti dell’FBI utilizzando il potere di Daniel per fermare la pioggia di proiettili sparati dagli agenti: piuttosto irrealistico se si pensa che fino a qualche ora fa il ragazzo aveva avuto un attacco di panico perché il fratellino era stato colpito di striscio alla spalla da un colpo sparato da un vigilantes. Io capisco perfettamente che l’intento primario degli sceneggiatori è quello di emozionare piuttosto che raccontare una storia coerente e che le stesse intenzioni le ho evidenziate anche nella recensione di Detroit: Become Human sottolineando come il gioco adottasse dei cliché del genere in alcune soluzioni di trama, ma a tutto c’è un limite. Life Is Strange 2 ha un grosso problema: non è credibile. Sin dall’incipit gli eventi sui quali si fonda l’avventura di Sean e Daniel sono opinabili, tant’è che lo stesso David lo fa notare al protagonista e paradossalmente anche al giocatore, ma se la morte del padre viene narrata in maniera abbastanza convincente da portare il giocatore ad accettare in un primo momento tali eventi, alla fine del quinti capitolo non si può fare che voltarsi indietro e guardare con tanto scetticismo a tutto quello che i personaggi hanno trascorso, indipendentemente da quanto ci siamo emozionati per le avventure dei due lupi. A questo punto mi piacerebbe sentire le opinioni di chi ha apprezzato il finale e su come abbia fatto ad accettare tutto quello che abbiamo vissuto fino a quel punto.