Mentre Activision Blizzard è ancora al centro della bufera che ha travolto in pieno la compagnia, specie in seguito alla causa mossa dal DFEH (Department of Fair Employment and Housing) dello stato californiano, continuano a giungere nuove testimonianze relative alle molestie, le discriminazioni e gli abusi compiuti da alcuni dipendenti d’alto profilo dell’azienda.
Dopo gli scioperi che hanno visto i dipendenti della compagnia rifiutarsi di lavorare per diverse ore, scendere a centinaia in strada a far sentire la propria voce e firmare una lettera aperta dai toni aspri indirizzata ai vertici di Activision Blizzard, è giunta l’ennesima aspra testimonianza. A parlare è Emily Mitchell, esperta di cybersecurity, che ha confessato gli abusi verbali subiti nel corso di un colloquio con la compagnia tenutosi nel 2015.
Siamo nel caldo agosto del 2015, in occasione di una conferenza sul tema della cybersicurezza e, in questa cornice, sono state poste delle cabine adibite a ospitare dei colloqui di lavoro con persone che poi le diverse compagnie avrebbero deciso di impiegare o meno nei propri team di sicurezza; tra queste c’è anche Activision Blizzard, e tra le candidate c’è Emily Mitchell. Lei decise di offrire le proprie doti per il ruolo di “penetration testing”, una posizione che richiede di testare le vulnerabilità dei sistemi di un’azienda, appunto, tentando di penetrarli.
Purtroppo per la signorina Mitchell nella cabina di Activision Blizzard c’erano tre uomini con ben altro per la testa. Questi hanno cominciato con il deriderla, domandadole se sapesse cosa fosse il “Pentesting” e se si fosse perduta. In seguito l’hanno bombardata di battute per via della t-shirt che indossava, recante la scritta “Penetration Expert”.
“Uno di loro mi ha domandato quando è stata l’ultima volta che sono stata penetrata, se mi piaceva essere penetrata e quante volte lo sono stata”, ha dichiarato la donna ai microfoni di VICE. Una testimonianza di un certo peso e, va detto, anche di una certa pesantezza, destinata a inasprire ulteriormente il già tesissimo clima che copre la compagnia come una scura nube temporalesca.
La situazione si aggrava ulteriormente per via dell’atteggiamento di Fran Townsend, di Activision Blizzard, che ha creduto questo fosse il momento opportuno per twittare del “problema con il Whistleblowing”; vale a dire la pratica di denunziare irregolarità all’interno della compagnia. Una donna che, agli albori dell’annuncio pubblico della causa del DFEH, ha ben pensato di mandare una mail allo staff definendolo “senza meriti”. Una donna cosi fortemente criticata da essere stata citata per nome come una delle cause dei recenti tumulti, con le richieste del suo licenziamento in costante crescita.
La Townsend, prima di ricoprire per Activision Blizzard i ruoli di vice president for corporate affairs, corporate secretary e chief compliance officer ha servito per diverso tempo come assistente al presidente degli Stati Uniti per la Homeland Security e l’Antiterrorismo nel corso dell’amministrazione Bush, rendendosi responsabile di diversi fatti piuttosto controversi legati alle torture nella famigerata prigione di Abu Ghraib.
In seguito al suo infelice tweet la Townsend ha inoltre reagito in modo ancor più aggravante, vale a dire senza riconoscere il proprio errore ma preferendo invece cominciare a bloccare sistematicamente chiunque la criticasse anche con toni moderati per la sua decisione legata all’infelice tweet. Una pessima mossa in un pessimo momento per Activision Blizzard.