Towa and the Guardians of the Sacred Tree è evidentemente ispirato ad Hades, e non c’è nulla di male in questo. Lo premettiamo levandoci subito di torno l’elefante nella stanza, perché le somiglianze fra il gioco di Brownies, pubblicato sotto l’egida di Bandai Namco, e il capolavoro Indie sono talmente evidenti che non far confronti è impossibile, per chi ha giocato entrambi. A maggior ragione ora, che siamo in dirittura d’arrivo per la 1.0 di Hades 2 e le immagini dell’acclamato sequel, come del suo predecessore, sono fresche nella mente degli appassionati. Non c’è niente di sbagliato nel prendere spunto, e addirittura nel copiare spudoratamente, finché si agisce in termini di legalità e non si “bucano brevetti” (ahia) e si utilizza il frutto della sbirciata di soppiatto per concretizzare una visione individuale. Vale per Towa come per i centinaia di Soulslike che affollano il mercato, per dirne una. Sperando comunque, con spirito puramente egoistico, che a nessuno venga in mente di parlare di Hades-like vi invitiamo però da subito ad abbassare le aspettative. Perché per quanto Towa ci provi con un’identità visiva peculiare, un settings apprezzabile e ben rappresentato, un gameplay più o meno solido e una pulizia tecnica invidiabile, i fasti del Dio greco e della neo-streghetta sono ben lontani.
Fiumi di dialoghi per una storia banale?
Towa è una Dea benvoluta da tutti presso il suo villaggio, che vive sereno anche grazie alla sua influenza benevola e al suo aiuto. Tuttavia, qualcosa va storto e una Divinità oscura decide di reclutare Oni a destra e manca per conquistare il mondo, fino ad arrivare al villaggio protetto da Towa. La giovane (anche se non anagraficamente… ci siamo capiti, vero?) Towa recluta così 8 fedeli villani, scegliendo tra i più forti e donando loro il potere delle sue spade per respingere l’invasione. Tuttavia, il nemico è più forte e per tenergli testa la Dea deve ricorrere a manipolazioni temporali che portano a un indebolimento del tessuto universale e bloccano il villaggio in una bolla senza età. Ah, e nonostante tutto, il cattivo riesce a sconfiggere i suoi 8 campioni spedendoli in una dimensione alternativa, in modo che non possano più aiutarla, anche se riuscisse a riavviare il tempo. Incurante, Towa non si perde d’animo: rintraccia i suoi fedeli concittadini e usa i suoi poteri per comunicare, inviare loro armi e aiuti, facendosi spedire indietro energia che vuole usare per riportarli a casa, opporsi al male e, infine, trionfare.
Tanta carne al fuoco, che però non si concretizza praticamente mai in una trama con sviluppi interessanti, magari segreti da scoprire, storie collaterali con cui intrattenersi e tutto il carrozzone a cui Hades ci ha abituati. Ci sono tanti personaggi, sì, tutti con i loro artwork disegnati a mano, certo, di nuovo proprio come in Hades. Sono tutti doppiati sia in inglese che in Giapponese, e pure abbastanza bene: del resto parliamo di un titolo sovvenzionato da Bandai Namco, che ha evidentemente investito per garantire che gli sviluppatori potessero concretizzare la loro visione estetica senza troppe rinunce. Eppure, lo ripetiamo, manca la sostanza vera, uno sviluppo che si faccia desiderare e sproni a superare le fasi di gameplay puro. Il che è paradossale, perché Towa fin dall’inizio del gioco sommerge il giocatore in fiumi di dialoghi che durano minuti interi, girando spessissimo intorno a questioni futili (Towa che discute con Tizio o Caio riguardo argomenti che non hanno niente a che vedere con la storia o la Lore: puro cheap talking videoludico!) e che non approfondiscono i personaggi, bensì li appesantiscono.
Menzione di dis-onore per i succitati modelli “artistici” dei personaggi, quelli che accompagnano i Balloon di testo e li rappresentano nei menù e nelle “cutscene”: non perché siano mal realizzati o banali: tutt’altro! Attingendo a piene mani dalla mitologia nipponica sono proposti NPC e protagonisti con fattezze miste umane e animali, a beneficio di tanti stereotipi classici, sì, come la ragazza gatto, o l’uomo cane massiccio e bonaccione (Greater Dog, sei tu?); ma, anche, di scelte più originali come il fantastico lanciere con testa di carpa, per citare quello che abbiamo preferito. Il problema è nella risoluzione di questi modelli 2D, molto al di sotto di quella del resto del gioco tanto che, quando vengono zoomati per effetti di movimento vari o scelte registiche, risultano evidentemente sgranati. E anche nei menù di gioco, per quanto siano stati dimensionati con più cura, si notano artefatti grafici dovuti alla differenza di pixel.
Questa incuria è, per noi, assolutamente inspiegabile. Tutto il resto del titolo è artisticamente e graficamente impeccabile: dalle ambientazioni come il villaggio principale, l’hub da cui Towa impartisce ordini e consegna oggetti ai suoi guerrieri nell’altra dimensione, all’altra dimensione stessa, coi suoi campi di battaglia pieni di dettagli, colori, artwork più che gradevoli per gli elementi statici come per quelli dinamici. Bene anche l’effettistica delle magie e dei colpi degli 8 lottatori, così come le animazioni di combattimento sia amiche che degli avversari. Che sono, a dire il vero, un filo banali e ripetitivi nel design, ma ben disegnati e modellati anche loro.
Tante (troppe) meccaniche per un combat poco convincente
Il gameplay, come anticipato, non fa mistero della sua ispirazione: Hades. La telecamera è la stessa, isometrica e un po’ distante dall’azione, per consentire al giocatore di leggere l’ambiente, i movimenti e gli attacchi dei demoni intorno a lui e schivarli o contrattaccare. Anche il loop ludico è da roguelite e basato su quello di Hades, quindi con arene randomiche che si sbloccano uccidendo tutti gli avversari nell’istanza corrente, un premio alla fine di ogni sfida diverso in base al tipo di room scelta e, alla fine, la possibilità tra due o più opzioni di decidere quale sarà la prossima ricompensa: un incremento per la salute dei personaggi? Un power up passivo o attivo per la lama o le abilità di combattimento? Un negozio? Ci sono tante possibilità, proprio come nel titolo di riferimento.
Towa, però, si differenzia da Hades perché per offrire la varietà di approcci indispensabile in un gioco dove “se muori perdi tutto e riparti dall’inizio” (pensate che pesantezza dover rifare tutto sempre con lo stesso moveset, arma o poteri!) non ricorre a equipaggiamenti diversi. bensì, a un sistema di combattimento “con due personaggi” con caratteristiche, stat, estetica e poteri diversi. All’inizio di ogni run si scelgono infatti due degli 8 fedeli di Towa, e si affida a uno di loro il ruolo di “main character”, all’altro sostanzialmente quello di “supporter”. Tutti i personaggi sono spadaccini, con stili diversi e attacchi base, oltre che magici, differenti, potenziabili e con (pochi) virtuosismi in più sbloccabili nel corso dell’avventura. Anche gli attacchi mistici sono tutti più o meno unici, con solo alcune movenze condivise tra più personaggi, che però condividono un tipo elementale di base. A scriverlo, fidatevi, sembra molto più complesso di quanto non sia nella realtà, dove anzi, vi diciamo subito che date le premesse ci saremmo aspettati, con l’avanzare nel gioco, che le sinergie tra main e support diventassero più coinvolgenti, strette o tecniche. Invece, no.
Il main può usare un potere magico “a cooldown”, con una barra che ne definisce il numero di utilizzi ed entrambi gli stili di spada suo e del support, che si limita a offrire la sua presenza, i suoi HP (sommati al totale di quelli dell’altro per definire un monte “di squadra”) e i suoi attacchi magici. C’è ben poca collaborazione, poca strategia e, dato anche il livello di sfida che solo in certi casi si impenna (pure un po’ artificiosamente se vogliamo) a ben pensarci non ce n’è, in fondo, nemmeno tanto bisogno.
Le run scorrono veloci una dietro l’altra, e nonostante i cambi di setting e di avversari siano anche soddisfacenti sia in numero, che in estetica, lo spettro della ripetitività si fa via via sempre più opprimente. Il problema risiede in una scarsa diversità tipologica degli attacchi avversari, quasi sempre, anche in fasi avanzati, tutti con ritmi molto simili, e assolutamente zero fisicità dipendente dalla “stazza”: eventuali effetti che “spostano” i nemici sposteranno i grandi e i piccoli allo stesso modo, e anche i colpi inferti e subiti hanno sempre praticamente gli stessi contraccolpi su noi e sui nostri nemici. Manca fisicità, manca contatto vero, e questa carenza si traduce in un flusso di imput sempre uguali da parte nostra, pur con le sottili differenze tra stili di spada e magie dei protagonisti, che hanno sempre gli stessi output e reazioni poco coinvolgenti.
Che dire poi di una delle feature più rimbalzate, dall’annuncio a oggi, di Towa: la possibilità di craftare la propria spada personale, usando minerali raccolti durante le run, decorazioni particolari e uniche, potenziamenti vari ed eventuali che possiamo poi sfruttare con tutti e 8 i nostri personaggi, dato che sono tutti spadaccini. Dire che ci ha lasciati indifferenti, con un pizzico di rammarico, è poco. Craftare una spada in Towa è un processo lento, ripetitivo, con una serie di minigiochi da sbloccare e animazioni in 3D della piccola (ripetiamo, solo di aspetto) Towa che fa tutto il “lavoro sporco” per noi. Si arriva poi alla schermata più condivisa di tutte, quella della modifica all’aspetto della lama: la volete più curva? Più lunga? Più corta? Beh, potete averla come volete, ma alla fine conterà sempre e solo “come la usate”, e come la potenziate in un sottomenù successivo a quello di personalizzazione estetica. Che è, appunto, solo volto a cambiare come la spada appare, e non come performa. Si può, e si deve a un certo punto, pensare di craftare spade con intenti specifici (una per boostare attacco, una volta a migliorare la nostra velocità di cambio arma da principale a secondaria ecc.), ma non ha nulla a che vedere con la forma della lama. Ed è, permetteteci, un’occasione sprecata.
Per tutto il gioco la nostra impressione è che su Towa si siano impiegate tante risorse nel miglioramento dell’estetica e nella direzione artistica, due aspetti indubbiamente riuscitissimi della produzione. Ma che il gameplay e la tecnica che c’è dietro siano rimaste, appunto, indietro e soffrano di una differenza qualitativa importante con la componente visuale dell’esperienza. A che pro permettere di personalizzare il villaggio di Towa per avere power up diversi, più armi, spade più forti e “start equipment” più performanti, se la maggior parte degli avversari nel corso del gioco è sempre un gradino sotto-livellato, Boss compresi, rispetto a noi, posto che abbiate livellato ogni volta che si poteva farlo prima (e perchè non avreste dovuto?). Ci sono, insomma, tantissime meccaniche, potenziamenti, ma pochi spunti per sfruttarli con soddisfazione.
La recensione in breve
Indubbiamente Towa and the Guardians of the Sacred Tree ha il suo pubblico di riferimento, solo che non siamo sicuri sia lo stesso di Hades. I due giochi condividono tecniche di narrazione, gameplay e loop ludico di base, genere (ovvio), ma differiscono nella difficoltà proposta per la sfida, nel ritmo e nella cadenza generali (in Hades si lotta, si fanno un paio di dialoghi, poi si è di nuovo all’azione, mentre in Towa si “affoga” in troppi walltext). Esteticamente e nel setting nipponico, però, gli sviluppatori hanno di sicuro fatto centro, confezionando un pacchetto colorato e attraente, tecnicamente stabile; peraltro, tornando a parlare di ludos, con tante variabili che in potenza avrebbero potuto rendere più tecniche e interessanti le run… se la difficoltà fosse stata calibrata meglio, almeno. Perciò, bocciare un gioco che in definitiva funziona proprio non avrebbe senso, e non saremo noi a farlo. Ma vi mettiamo in guardia: Towa and the Guardians of the Sacred Tree è evidentemente ispirato ad Hades, e non c’è nulla di male in questo. In primis, perché non è riuscito a emularne il magnetismo ludico, la profondità (di lore e di trama, oltre che di gameplay) e la “addictiveness”.
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Voto Game-eXperience





