Pete Hines, ex responsabile del publishing e del marketing globale di Bethesda, è tornato a parlare del futuro dell’industria videoludica e lo ha fatto senza mezzi termini. Due anni dopo il suo addio a Microsoft e Bethesda, Hines resta un osservatore attento ed ha deciso di non risparmiare critiche a Xbox Game Pass e, più in generale, ai modelli dei servizi in abbonamento come il PlayStation Plus. Secondo lui, si tratta di strategie a breve respiro che non tengono conto del vero valore alla base del settore: quello degli sviluppatori e delle loro creazioni.
Nell’analizzare la crescita dei servizi in abbonamento, Hines spiega come “abbonarsi” sia ormai diventato il mantra dei videogiochi, riducendo progressivamente la possibilità di acquistare un titolo. Il problema, sottolinea, nasce quando la gestione del servizio entra in conflitto con le esigenze di chi fornisce i contenuti. In quel caso, a pagare sono gli sviluppatori, le aziende e le stesse proprietà intellettuali, che rischiano di perdere valore o di essere compromesse. Per l’ex dirigente, la priorità dovrebbe essere quella di supportare e ricompensare i creatori in modo equo, così da non trasformare il modello in una minaccia per l’intero ecosistema.
Il tema si collega a una delle grandi contraddizioni dell’era Game Pass: come definire il successo con gli utenti che provano i giochi anche solo per 5 minuti. L’esempio di Hi-Fi Rush, lanciato a sorpresa e accolto positivamente dal pubblico, mostra bene il punto. Tre milioni di giocatori rappresentano un dato impressionante in termini di accesso, ma non equivalgono a tre milioni di copie vendute. E se Hi-Fi Rush aveva incarnato un raro caso di entusiasmo, l’anno seguente Microsoft ha chiuso Tango Gameworks, lo studio che lo aveva creato, salvo poi vederlo rinascere sotto Krafton. Stessa sorte per Arkane Austin, autrice di Redfall, anch’esso distribuito su Game Pass.
Hines ha affermato quanto segue:
“Credo che questo genere di modelli economici basati sulle sottoscrizioni mensili li consideravo strategicamente miopi per il futuro del gaming e continuo a considerarli in questo modo, anzi, tutto quello che è accaduto negli ultimi anni non fa che confermare i miei timori. Difatti ‘Aabbonarsi’ è diventato il mantra dei giorni nostri nel mondo dei videogiochi, giusto? Sembra quasi di non avere più la possibilità di acquistare un prodotto. Il fatto è che quando si parla di abbonamento videoludici basati sui contenuti, il rischio è sempre quello di non riuscire a bilanciare le esigenze di gestione del servizio con le esigenze di chi fornisce i contenuti, ossia gli sviluppatori che danno valore a quegli abbonamenti. Ed allora sì che abbiamo un problema serio da risolvere. Aggiungo inoltre che dovremmo riconoscere il valore degli sviluppatori, supportarli, proteggerli e compensarli adeguatamente, non solo per dare forma ai contenuti di un abbonamento o per sviluppare un ‘semplice’ videogioco, bensì per creare un prodotto che possa stemperare la tensione insita nei modelli in abbonamento ed evitare che quest’ultima danneggi le aziende, le loro IP e i singoli sviluppatori”.
La riflessione di Hines evidenzia quindi il rischio di un’industria che misura i risultati con metriche nuove, ma spesso ambigue. Un gioco può raggiungere milioni di utenti senza però generare profitti sostenibili. In questo scenario, l’abbonamento rischia di trasformarsi da opportunità a ostacolo, alimentando un circolo vizioso che potrebbe indebolire l’intero settore se non verrà trovato un equilibrio tra il modello di business e il riconoscimento del lavoro creativo.