Onimusha: Way of the Sword segna il ritorno di una serie che, a quasi un ventennio dalla pubblicazione dell’ultimo capitolo, continua a rappresentare un prezioso tassello del tesoretto creativo di una Capcom ancora nel pieno della sua nuova “età dell’oro”. Approfittando della presenza del titolo in quel di Colonia, abbiamo potuto saggiare per la prima volta il valore della produzione dell’etichetta giapponese, presente in forze alla Gamescom con una tripletta (Onimusha, Pragmata e Resident Evil Requiem) da leccarsi i gomiti. A questo proposito, siamo lieti di confermarvi che il primo contatto è andato alla grande. Più di quanto credessimo, in effetti.
Nei meandri oscuri del periodo Edo
I nostri primi passi nel mondo di Onimusha: Way of the Sword ci hanno condotto sui declivi polverosi del monte Otowa, alla volta del maestoso tempio di Kiyomizu-dera: una cornice tanto tetra quanto evocativa, impreziosita da cupi intarsi che ben esprimono la cura infusa da Capcom nel plasmare il folcloristico proscenio della sua nuova avventura, nonché la volontà di tornare alle atmosfere orrifiche del primissimo capitolo. L’affresco fantastorico realizzato dal team giapponese mostra una Kyoto travolta dalla piaga dei Genma, schierati a ostacolare l’incedere del leggendario Miyamoto Musashi, qui modellato con le fattezze dell’attore che più di ogni altro ne ha scolpito il volto nell’immaginario collettivo, ovvero l’indimenticato Toshiro Mifune. Sebbene sia presto per lasciarsi in considerazioni sull’impianto narrativo di Way of the Sword, o sulla caratterizzazione dei personaggi posti sul cammino dei giocatori, abbiamo davvero apprezzato come il protagonista sembri intaccare la gravitas trasmessa dallo scenario, alleggerendone occasionalmente i toni senza scadere nel triviale.
Un breve scambio fra Musashi e l’entità femminile che abita il Guanto degli Oni, ad esempio, ha lasciato intendere come il loro rapporto sia – almeno all’inizio – bonariamente conflittuale, sottolineando al contempo il piglio da smargiasso dello spadaccino. D’altronde il buon Miyamoto se lo può indubbiamente permettere, come emerge con chiarezza sin dal primo impatto con un gameplay affilato come una lama, che reinterpreta con perizia tutti i dettami ludici del franchise per comporre un concerto di appaganti menomazioni e virtuosismi marziali. Per quanto i trailer avessero già delineato a dovere il notevole potenziale ludico della produzione, siamo felici di confermarvi che la prova di Colonia ci ha spinti a rivedere al rialzo le nostre aspettative: il gameplay di Way of the Sword è un gioiello di precisione e reattività, matrice di coreografie guerresche bellissime da vedere e ancor di più da inanellare pad alla mano, complice la grande fisicità trasmessa dalle feroci interazioni fra il protagonista e i suoi oppositori.
Prima ancora di passare in rassegna le meccaniche cardinali del combat system, che abbraccia la modernità del genere action senza rinunciare a nessuno dei tratti distintivi del franchise, ci preme infatti spendere qualche parola sulla pregevolezza delle movenze di Musashi, foggiate per adattarsi plasticamente a una gamma indefinita di variabili situazionali. In base all’orientamento del personaggio nello spazio, al posizionamento dei suoi avversari e alle caratteristiche degli attacchi (lanciati e subiti), il maestro di spada fa sfoggio di una generosissima gamma di animazioni battagliere tanto credibili quanto valevoli, all’apparenza senza storture poste ad arginare l’esaltante fluire delle sue danze mortali. La duttilità del sistema messo a punto da Capcom tende ad accrescere la diversità percepita del sistema di combattimento, complice la presenza di variazioni legate all’assetto del terreno di scontro, dato che diversi elementi dello scenario potranno essere coinvolti nelle esecuzioni messe in atto dallo spadaccino. Animazioni contestuali à gogo, insomma, comprese alcune realizzate col preciso scopo di rinvigorire l’apprezzabile baldanza del protagonista che, in coda a una furiosa serie di fendenti, non mancherà di aggiustarsi il vestiario per amplificare l’eco della sua possanza.
Un’entusiasmante concerto di batoste
Come prevedibile, il sistema di combattimento è imperniato sull’uso alternato di attacchi leggeri e pesanti, che Musashi può alternare eseguendo una nutrita pletora di combinazioni ai danni di manipoli più o meno abbondanti di Genma, benedetti da un design coerente con gli elevati standard qualitativi dell’ensemble. Al pari di Miyamoto, ciascun nemico è dotato di una barra della salute e di una della stamina, da esaurire menando colpi ed eseguendo parry dirompenti. Premendo col giusto tempismo (la finestra di esecuzione è ragionevolmente generosa) il dorsale sinistro, è infatti possibile deviare con maestria gli attacchi degli avversari, esponendoli a ritorsioni potenzialmente mortifere, specialmente dopo aver esaurito del tutto la resistenza del proprio bersaglio. In tal caso, sarà possibile mettere a segno una mossa finale gustosamente cruenta, riducendo in frattaglie il contendente di turno. Potremo raggiungere il medesimo risultato anche saettando alle spalle del nemico, sia approfittando di qualche exploit surrettizio sia eseguendo una schivata perfetta, che rallenterà lo scorrere del tempo per concedere a Musashi preziosi margini di manovra. Non mancano poi all’appello i tradizionali Issen, contrattacchi che richiedono di anticipare – di poco – l’assalto di un demone con una rapida sciabolata, infliggendo così danni critici.
Un altro modo per massimizzare la virulenza delle nostre percosse è quello di inanellare una manciata di parry in sequenza, colmando un indicatore che attiverà una sorta di “stato di furia”. Così facendo, un carosello di fiamme avvolgerà la spada di Miyamoto, che potrà condividerne l’ardore con gli abomini nelle vicinanze. Seminando dosi abbondanti di violenza a fin di bene, potremo inoltre accumulare energia Oni, da rilasciare con l’attivazione di un potente attacco i cui effetti dipenderanno dall’arma speciale equipaggiata.
Nella demo di Colonia, ad esempio, il protagonista poteva contare su una coppia di affilati pugnali, capaci di dare il la a una tempesta di stilettate fulminee. L’ultimo frantume di rilievo nel quadro del combat system è rappresentato dal cosiddetto “Break Issen” che, a differenza della versione standard, consente di indirizzare il colpo verso una specifica area del corpo dell’avversario. Ne abbiamo fatto buon uso durante la boss fight che anticipava la conclusione della demo: un furioso duello contro il samurai Sasaki Ganryu, in possesso di un guanto del tutto simile a quello del protagonista. Al termine di un percorso sostanzialmente lineare, che per forza di cose non ci ha permesso di soppesare più di tanto i meriti strutturali (quelli artistici sono già indubbi) del level design di Way of the Sword, lo scontro si è confermato come la classica “ciliegina sulla torta”, col glorioso contributo dell’ottimo moveset di un contendente all’altezza del suo abilissimo rivale. A questo proposito, sospettiamo che il grado di sfida dello scontro sia stato, al pari del resto della demo, tarato al ribasso per non ostacolare più di tanto gli astanti, ma questo lo potremo verificare solo più avanti. Lo stesso discorso vale anche per la resa corale di un comparto tecnico che, come spesso accade, ben delinea i punti di forza dell’engine proprietario di Capcom, che in questa occasione non ci ha trasmesso particolari preoccupazione, neanche per ciò che concerne l’aspetto puramente prestazionale. L’unico reale dubbio riguarda la gestione di una telecamera dinamica che, durante le riprese più strette, può “incastrarsi” e occludere un po’ la visuale. Nulla di particolarmente grave, badate, solo una postilla che aggiunge a malapena un tenue punto d’ombra a un hands-on alquanto memorabile. Va bene la cautela, ci sta, ma diamine se abbiamo voglia di rigiocarci.