Negli ultimi anni l’industria videoludica ha visto crescere vertiginosamente i costi di sviluppo, fino a rendere inevitabile la discussione su un aumento del prezzo dei giochi a 80 dollari (90 euro in Europa). Shawn Layden, ex presidente di Sony Worldwide Studios, insieme agli analisti Mat Piscatella e Piers Harding-Rolls, descrive un mercato in crisi: inflazione, paura di recessione e spese quotidiane in aumento portano i consumatori a tagliare il budget per l’intrattenimento.
Come leggiamo su GamesIndustry, a differenza del passato, i videogiochi non sono più “a prova di recessione”: l’ampia offerta di titoli free-to-play e servizi in abbonamento riduce la necessità di acquistare giochi premium, mentre pochi colossi come Fortnite, Roblox o GTA assorbono gran parte della spesa globale.
Il paradosso è evidente: una generazione abituata a giocare gratis si trova di fronte a un settore che, per sopravvivere, vorrebbe alzare i prezzi. Layden ricorda come negli anni ’90 bastasse un budget di 10 milioni di dollari per produrre un best-seller, mentre oggi servono oltre 200 milioni, con margini ridotti e rischio d’impresa quasi nullo, spingendo le aziende a puntare su sequel o formule già testate. L’aumento graduale dei prezzi, mai avvenuto, ha costretto i publisher a ricorrere a microtransazioni, DLC e versioni deluxe da oltre 100 dollari, per compensare il mancato rialzo del prezzo base.
La situazione è aggravata da un pubblico console sempre più maturo e benestante, disposto a pagare di più al lancio, ma numericamente stabile. Così, i titoli tripla A mirano a catturare questa fascia con edizioni premium, per poi abbassare il prezzo rapidamente e raggiungere il resto del mercato. Nel frattempo, la “giungla” dei prezzi vede lanci a tariffe variabili e strategie di sconto aggressive, con il rischio che la concorrenza tra modelli di vendita disorienti consumatori e sviluppatori.
Layden mette in guardia anche sul modello “Netflix del gaming”: gli abbonamenti day one possono garantire visibilità agli indie, ma trasformano gli sviluppatori in “lavoratori a cottimo” senza reali possibilità di profitto a lungo termine. Senza la spinta dell’innovazione e con costi sempre più insostenibili, il rischio è un’industria polarizzata, dominata da pochi giganti e sempre meno aperta a nuove idee.
In tutto questo ricordiamo che nei giorni scorsi Strauss Zelnick non ha escluso che persino GTA 6 possa fallire.