Ci sono persone capaci di lasciare il segno con le loro gesta. Di cambiare il mondo. Forse è esagerato dirlo parlando di Julian LeFay, anche se a ben pensarci non parliamo di uno sviluppatore di videogiochi che ha cambiato il mondo. Parliamo di un uomo che ha saputo creare un mondo, costruendone le fondamenta fino a farlo diventare uno dei più importanti capisaldi dell’industria videoludica.
Dopo una dura lotta contro il cancro, Julian LeFay è morto pochi giorni fa, lasciando un vuoto nelle vite di molti giocatori che, se oggi sono così, devono proprio ringraziare il programmatore danese.
Le origini del mito
Se oggi i videogiochi di ruolo occidentali sono così, a dirla tutta, gran parte del merito è proprio di LeFay, fautore di quel fantasy à la tolkeniana Terra di Mezzo che ha fatto grande tra le grandi Bethesda. Non ci mise mano, ma se il publisher americano ha finito col ripubblicare cinque o sei volte (ormai abbiamo perso il conto) Skyrim nel corso degli anni, il merito va dato anche a LeFay, colui che, insieme a un piccolo manipolo di altri sviluppatori, ha dato forma al mito di The Elder Scrolls.
Conosciuto anche per il suo lavoro come compositore di musiche, LeFay inizia la sua carriera nel mondo dei videogiochi negli anni ‘80, lavorando ad alcuni progetti per PC ma anche console Amiga e NES. Nel 1989, ad esempio, contribuì alla programmazione di Dragon’s Lair di Don Bluth, ma il suo genio doveva ancora mostrarsi al mondo. Bethesda Softworks, da poco fondata, mette gli occhi su di lui. Col senno di poi, sarà una delle scelte più importanti nella storia di Bethesda e del medium ludico in generale, perché LeFay diventa ingegnere capo e guida l’azienda verso la creazione di un videogioco destinato a fare storia: The Elder Scrolls: Arena, il primo capitolo di una saga leggendaria, per il quale ricopre il ruolo di programmatore di riferimento sotto la supervisione del regista Vijay Lakshman. Pubblicato nel 1994 su MS-DOS, TES Arena fu il precursore di molti elementi che ancora oggi utilizzano i videogiochi di ruolo occidentali, e a sua volta si rifaceva a uno stile classico con una punta di modernità. Non mancavano le tipiche razze per personalizzare il protagonista, impegnato a smascherare un complotto contro l’imperatore Uriel Septim VII, ma già da quel primo capitolo il team iniziò a gettare le fondamenta di quello che ancora oggi è un vastissimo, contorto e ricco universo fantasy, da vivere assolutamente con una visuale in prima persona per immergere il giocatore il più possibile in quel di Tamriel. Il gameplay era spartano, la trama non era per nulla banale, e le potenzialità c’erano tutte. Da un piccolo gruppo guidato, tra gli altri, anche da LeFay, nacque il mito.
Complice i suoi già ottimi lavori su altri lavori antecedenti ad Arena come i due videogiochi di Terminator, il balzo di LeFay verso lo step successivo della sua carriera è imminente: visto il grande successo di Arena, Bethesda lo promuove a regista di quello che poi, nel 1996, sarà chiamato The Elder Scrolls II: Daggerfall. La parola d’ordine per questo secondo capitolo fu libertà. Se con Arena il team di sviluppo aveva saputo costruire le basi ruolistiche e narrative del mondo di Tamriel, Daggerfall ora mirava a espandere il concetto di libertà d’azione, ponendosi come un videogioco tremendamente rivoluzionario per l’epoca. Basti pensare che la mappa di gioco aveva un’estensione di oltre 161 mila chilometri, un numero semplicemente incredibile se pensiamo all’anno di uscita. Tutto questo fu anche frutto del genio di LeFay, che con il motore XnGine poteva rigenerare continuamente le location secondarie attraverso un sistema di randomizzazione. Anche il design si ritrovò a mutare forma e a diventare più grande. Le quest, ad esempio, potevano ora essere completate in più modi, dando così al giocatore un potere unico. Venivano introdotte le gilde. Veniva dato più peso alla crescita del personaggio, che ora poteva acquistare case, navi ed equipaggiamento. La magia diventava più importante. C’erano le trasformazioni. C’era un rinnovato sistema di classi basate su varie caratteristiche come forza e intelligenza, ampliando la sfera ruolistica. C’erano anche tantissimi bug, e forse da qui è nato il mito di Bugthesda, ma l’importanza di Daggerfall non può essere sminuita da quelli che erano problemi di natura tecnica dovuti alla straordinaria grandezza del titolo. Tra tutti, escluso Skyrim per ovvi motivi, Daggerfall è il gioco che più ha dato la spinta decisiva per fare di The Elder Scrolls un nome impresso nella storia.
L’addio a Bethesda
Poi, qualcosa si rompe. Forse LeFay aveva perso un po’ della sua brillantezza, forse questo settore non lo affascinava più come un tempo, o forse, più semplicemente, ha deciso di dedicarsi ad altre priorità. Fatto sta che, dopo aver guidato lo sviluppo dello spin-off Battlespire, l’autore decide di lasciare Bethesda, facendo ritorno solo brevemente e saltuariamente negli anni successivi per offrire consulenza sul successivo grande capitolo, The Elder Scrolls III: Morrowind. La sua mano, qui, non sarà così pesante come per Daggerfall, ma neppure Bethesda ha saputo rinunciare totalmente all’uomo che aveva reso grande TES. Una mente come la sua non poteva essere dimenticata.
Poco sappiamo della carriera successiva di LeFay, se non che ha lavorato brevemente anche con SEGA, senza però impattare come con Bethesda. Nel 2019, ha fondato poi OnceLost Games, un team nato proprio da ex sviluppatori di Bethesda che intendevano dare vita a un videogioco di ruolo open world dal titolo The Wayward Realms, una sorta di successore spirituale di quel maestoso titolo che fu Daggerfall. Purtroppo, non lo vedrà mai.
Malato terminale di cancro, nel luglio 2025 LeFay lascia OnceLost Games per dedicarsi alla famiglia, consapevole, forse, del fatto che il tempo sta per scadere. E così è: il padre di The Elder Scrolls ha lasciato il mondo terreno, e siamo quasi sicuri che ora, in qualche modo, stia girovagando per Tamriel libero da tutte le preoccupazioni terrene.