Non c’è dubbio che Patapon sia uno di quei franchise rimasto impresso nella mente di tutti i giocatori che, all’epoca della sua release (nel 2007) avevano una fantastica PlayStation Portable. Rimanere inani di fronte al design semplice eppure così attraente dei piccoli protagonisti del gioco è ed era impossibile, così come non si può ignorare il mix di gameplay e generi diversi che i geniali developer misero insieme senza stridori e, di release in release, con sempre più consapevolezza delle potenzialità e dei limiti intrinsechi. Perciò, abbiamo accolto con grande entusiasmo la pubblicazione di Patapon 1+2 Replay, che pur ignorando per ragioni sconosciute il terzo meraviglioso episodio della serie, ha preso i primi due e li ha ripuliti a dovere, permettendoci di spalmarli sulle nostre gigantesche TV 4K e godere ancora una volta (o per la prima volta, per alcuni) delle vicissitudini a ritmo di tamburi della guerra di uno dei villaggi più strani nel mondo videoludico!
Pata-Pata-Pata-Pon!
Descrivere Patapon è allo stesso tempo facilissimo e difficilissimo. C’è relativamente poco da dire, ma si salta da un genere all’altro, si devono descrivere meccaniche “semplici a farsi, lunghe a dirsi” e si perde, nel parlato o nello scritto, tutta l’intensità musicale del gioco: il suo cuore pulsante. I protagonisti di Patapon infatti, sono i piccoli, ma tostissimi abitanti di un villaggio dove ogni cosa si muove a ritmo di musica.
La direzione artistica è essenziale, ma azzeccatissima: su fondali colorati che ritraggono tramonti, o cieli multicolore dalle sfumature oniriche e folli, i personaggi e i loro avversari sono come delle ombre cinesi, delle sagome di cartone in un teatrino improvvisato che si muovono oscillando, lanciando frecce, alzando scudi e ricevendo, di tanto in tanto, sonore legnate. Alcuni sono cerchi con gambette e un grande occhio centrale, altri ovali armati di lancia e scudo, e via così: meno è più, direbbe qualcuno.
Il giocatore, sotto forma di un Dio che i Patapon riconoscono, venerano e dal quale si faranno guidare in un lungo pellegrinaggio, è incaricato di prendersi cura degli esserini anzitutto potenziandoli e rimpolpando i loro ranghi con unità differenti utili in lotta, in quella che è la prima anima di Patapon: quella gestionale. Essenziale nel primo, dove le opzioni con cui modificare i propri Patapon sono ridotte all’osso, più coerenti e complete nel secondo (e ancor di più nel terzo, mannaggia).
E la musica? Eccola che si inserisce nel mix ludico nel “main plate” del gioco: le sezioni a scorrimento 2D orizzontale durante le quali i Patapon attraversano terreni ostili per raggiungere il luogo del loro prossimo accampamento, spesso costretti a litigarsi la zona con un Boss di fine stage. Non si premono pulsanti direzionali per muovere le loro truppe, nè di selezionano col mouse i soldati da mandare all’attacco, e quelli da tenere in difesa. Non ci sono pulsanti di azione per “colpire”, “difendersi” o usare magie e attacchi speciali: ci sono solo i tamburi della guerra, uno per ogni pulsante del nostro controller, e le combinazioni di suoni che possono produrre. Lo stesso “Patapon” è un’onomatopea del comando di base, quello che si deve usare per avanzare: Pata – Pata – Pata – Pon! Si deve andare a ritmo, ovvio, e quando ci si riesce si entra in stato di FEVER e i danni inflitti aumentano, la velocità di movimento cresce e, in assoluto, i nostri “indigeni musicali” sono più forti.
Tutto migliorato e bellissimo, ma dov’è il 3?
Ancora oggi l’idea di fondo resta valida, divertente e impegnativa quanto basta. Ogni momento ludico va padroneggiato al meglio per godere appieno dell’esperienza di entrambi i giochi, a partire dal setup presso il villaggio, fino, ovvio, alle sezioni dove il ritmo la fa da padrone. Tanto più che da quando girava su PSP a oggi, su PS5, il passo è stato parecchio ampio e per fortuna non è stato un “passo falso”.
Gli sviluppatori di questa remastered hanno lavorato bene, traghettando nel reame delle risoluzioni con la K la semplice direzione artistica della serie, ripulendo o sostituendo texture, garantendo fluidità elevata e costante in ogni situazione. Solo qui e là qualche onomatopea, qualche sottomenù, piccoli elementi grafici o scritte tradiscono le origini “da schermino” dei due titoli, che ciononostante sono senza alcun dubbio fruibili nella forma migliore possibile dalla prima pubblicazione, a oggi.
Patapon 1 e 2 non sembrano invecchiati, la loro formula colpisce e conquista oggi come allora e i design essenziali di fondali, protagonisti e nemici è un capolavoro di essenzialità ed evocatività. A maggior ragione, con risoluzioni moderne e dispositivi di imput precisi come il Dualsense. A margine, sono utilissimi anche i promemoria delle combinazioni utilizzabili nel livello in corso, che su PSP non erano presenti. Ricordarsele tutte è comunque ovviamente consigliato per far prima a utilizzarle e attivare prima la FEVER senza sbagliare, ma almeno adesso abbiamo un prontuario sempre attivo a disposizione.
Anche per questo reiteriamo il nostro dispiacere nel notare la mancanza del terzo episodio di Patapon, che ci sarebbe piaciuto davvero molto avere in questa forma riveduta e corretta, ma non stravolta. Forse un DLC bolle in pentola, pensato per non far lievitare troppo il prezzo della collection di base? Chissà: per il momento resta un dubbio simile a quello che ci attanagliò quando Nintendo pubblicò la collection dei migliori Super Mario in 3D “dimenticandosi” di Galaxy 2…
Patapon 1+2 Replay Recensione
Chi conosceva la saga di Patapon dalle origini su PSP ritroverà in Replay tutta la creatività, l'originalità e il divertimento che caratterizzavano l'esperienza nel 2007. I comandi sono gli stessi, il gameplay è lo stesso, il ritmo e la follia sono le stesse. In più, però, ci sono la fluidità, le risoluzioni e accorgimenti atti a massimizzare la resa del gioco su schermi moderni, con dimensioni e caratteristiche molto diversi da quello della portatile Sony originale. Insomma: anche senza il terzo capitolo (che speriamo venga presto donato alle masse con futuri update o DLC) Patapon 1+2 Replay è davvero un gioco che merita di essere provato almeno una volta nella vita.
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Voto Game-experience