Partiamo con una dichiarazione forte: per intenti e resa finale, gameplay, narrazione e struttura, atmosfere e sonorità persino, Wuchang Fallen Feathers potrebbe essere il SoulsLike meno “Like” da parecchio tempo a questa parte. Un titolo sorprendente, quindi, che avvolge il giocatore nel già di per sè affascinante periodo Ming della Cina, rivisitato attraverso la tipica lente oscura, decadente, fantastica ed evocativa che contraddistingue i giochi di From Software. Ha quella… magia, che trasforma un action RPG qualsiasi in un’esperienza magnetica e tesa, dove ogni istante conta e una schivata o un parry sbagliato portano a morte certa, anche scontrandosi con il più debole tra gli avversari. Non è perfetto, certo, come non lo era Dark Souls. Ma sarà meglio spiegarsi e approfondire ora, prima che i fan di Miyazaki vengano a cercarci per tagliarci la testa.
“But then there was fire”
In tanti ci hanno provato, in pochissimi ci sono riusciti, ma non c’è da stupirsi: l’alchimia e il delicato equilibrio di decadenza, epicità, oscurità e speranza, passato remoto, recente e futuro incerto che i Souls hanno trasformato in un marchio di fabbrica sono una pozione dove ogni goccia dei succitati ingredienti conta. Bisogna raccontare con mistero e aprirsi solo nei momenti giusti, quando il giocatore ha bisogno di un premio per i suoi sforzi e di uno sprone per avanzare, senza lesinare troppo, e non dicendo tutto subito, per non sprecare le proprie cartucce. Wuchang Fallen Feathers, a nostro avviso, ci è riuscito alla grande, catturando l’essenza della dinastia storica in cui il giocatore va a tuffarsi trasformandola solo dove serviva, inserendoci il giusto numero di personaggi e caratterizzandoli proprio come nei migliori Souls, tutti.
A partire dalla protagonista, Wuchang, che richiama evidentemente il Lupo con un braccio solo Sekiro, ma condivide con il non morto prescelto di Dark Souls 1 l’opprimente peso di una maledizione misteriosa, che rischia di privarla del senno e trasformarla in un mostro piumato. Mentre incede nel mondo trasformato dal male, però, facendosi forza riesce a trasformarsi nel cacciatore di Bloodborne: fredda, spietata con chi le si oppone, compassionevole con chi, lungo la sua strada, si trova in difficoltà e persino fragile, ogni volta che il “malocchio” mette alla prova la sua resistenza al dolore e la sua sanità mentale. Anche se non ricorda niente del suo passato, la guerriera è determinata a sfuggire a un destino peggiore della morte, ponendo anche un freno al dilagare della maledizione delle piume.
”Se il tuo braccio è coperto di piume e hai perso la memoria, ormai c’è poco da fare” le dicono a ripetizione monaci, santoni, altri combattenti e abitanti barricati nelle loro case (proprio come quelli di Yarnham), mettendo peraltro in bella mostra l’ottima scrittura della sceneggiatura, e soprattutto l’incredibile doppiaggio in Cinese; che vi consigliamo di attivare subito per rafforzare di molto l’intensità dell’esperienza. Di santuario in tempio, passando per paludi velenose, spazi aperti e corridoi claustrofobici in pieno stile From, la bellezza dei fondali e dei dettagliati spazi interconnessi, di nuovo con un level design certosino e degno di Miyazaki, fanno da setting perfetto per il pellegrinaggio disperato della protagonista, nonchè per le sue battaglie con Boss molto ben pensati… quasi tutti, salvo alcuni meno ispirati o ludicamente un po’ sbilanciati (ma ci sta, vero Demone Capra?).
Gameplay e design fluidi, completi e complessi
Tutto bello, potreste dirci, ma sappiamo bene che per quanto l’elemento artistico e folkloristico siano fondamentali per distinguere un buon Souls da uno raffazzonato, è il gameplay a fare la differenza: i tempi di azione e reazione, la fisicità degli impatti, la fluidità dei movimenti del protagonista e dei suoi avversari, la varietà e il bilanciamento dei moveset. E ancora la progressione del personaggio, il design degli equipaggiamenti e delle armi, la loro varietà. Tantissimi elementi che devono funzionare sia da soli, che insieme, ed ecco perché così tanti hanno fallito in passato nel costruire un’esperienza Souls. Basta poco per deludere le aspettative, e a differenza di tanti altri generi non per forza è “colpa” di un fandom troppo esigente: è il SoulsLike che richiede una quasi perfetta collaborazione tra i suoi ingredienti, probabilmente perché a differenza di tanti altri giochi ne ha veramente tantissimi.
Ebbene, siamo felici di confermarvi che Wuchang riesce quasi alla perfezione, e al primo tentativo per il suo studio di sviluppo, nell’arduo compito, commettendo fortunatamente solo piccoli, minori errori di inesperienza che non pregiudicano la resa complessiva. Partiamo da quello che funziona: la già citata esplorazione e il level design, labirintico quanto basta e con i classici momenti “oh, ecco da dove si apriva questa porta” e pieno di “marchingegni che non si muovono”. Non c’è il salto alla Elden Ring e l’avanzamento nei livelli è pertanto un po’ vecchio stile; comunque, apprezziamo che sia sempre chiaro dove si può, e dove non si può andare, soprattutto che le barriere di separazione tra zone non pensate per comunicare siano sempre coerenti e realistiche: niente muri invisibili, o muretti teoricamente scavalcabili che diventano ostacoli insormontabili.
Combat system – Molte luci, poche ombre
Quanto al sistema di combattimento: lato protagonista è fluido, semplice da apprendere e complesso da “masterare”, perché denso di movenze avanzate che richiedono tempismo ed esperienza per essere messe in atto consistentemente anche nelle lotte più intense. Contrattacchi, parry dinamici da effettuare attaccando, non parando, e magie da imparare e sbloccare man mano sono meccanicamente impeccabili, forti di un ottimo impianto tecnico (almeno su PS5, dove abbiamo effettuato la nostra prova) che sorregge senza falli effettistica (fiamme, particellari, esplosioni e flare vari) modelli dettagliati e texture in alta risoluzione. Il framerate è solido, anche quando incontriamo i Boss più elaborati che si muovono quasi forsennatamente (certi, pochi, un po’ troppo) emettendo raggi laser, lanciandoci oggetti, ammantandosi di oscurità e facendo svolazzare abiti ampi e scenografici, bastoni, spade, lance, mazzafruste e una grande varietà di armi differenti.
A tal proposito, i molti e differenti design di oggetti consumabili, armamenti e abiti (chiamarle armature è eccessivo…) è davvero evocativo, le descrizioni sono accurate e come da manuale approfondiscono a dovere la lore, a seconda di dove si droppa/nasconde ogni oggetto. In particolare il vestiario di Wuchang è pieno di capi davvero notevoli, insieme ad altri più semplici e ad altri… ammiccanti. Con il raggrinzito e stracotto non morto prescelto non avrebbe funzionato granchè, ma capite bene che, invece, la bellissima Wuchang ha dalla sua diversi elementi la cui… fisica è pensata per accontentare uno specifico pubblico di “amanti del morbido”. A parte tutto però, a colpire è l’aderenza alla cultura di riferimento, quella cinese, che emerge fortissima e non è certo da meno di quella giapponese, a cui siamo semplicemente più abituati da anni di titoli nipponici.
Il meno, è più
La bontà del lavoro dello di studio degli sviluppatori di Lenze Games in ambito SoulsLike è evidente tanto più perché dove Wuchang inciampa, di tanto in tanto, è nel tentativo di complicare la formula di cui sopra, appresa alla perfezione. Per esempio: il sistema di progressione fatto di nodi, ciascuno con un potenziamento, una nuova movenza, un nuovo potere attivo e passivo (Sekiro style), funziona molto bene perchè è semplice ed immediato. Mentre le meccaniche avanzate di trasformazione con il potere “piumato” (non spoilereremo nulla, perché è un elemento sia ludico che narrativo), le mosse secondarie dell’arma, gli aghi con cui potenziarle e ancora le gemme da incastonarvi, la dinamica del cambio arma al volo… solo a enumerarle senza approfondirle sono percepibili come “troppo”. Soprattutto perché ci vengono snocciolate in rapidissima successione, una dietro l’altra e con lunghe descrizioni testuali ad accompagnarle.
“Il meno è più” diceva qualcuno, e siamo d’accordissimo: non servono tantissimi comandi diversi per rendere completo e complesso un sistema di combattimento. Meglio uno schema meno elaborato, con meno input ma più semplici e con più combinazioni che, insieme, rendono interessante il mix. Non è un dramma: Wuchang fila comunque liscio e, nel corso del percorso della protagonista, si finisce per padroneggiare più o meno tutto e sentirsi veri e propri danzatori nel caos delle mille battaglie proposte. Bisogna sopravvivere all’impatto iniziale, per diventare eleganti e fortissimi.
Wuchang Fallen Feathers Recensione
In Lenze Games hanno fatto davvero un ottimo lavoro su tutti i fronti con Wuchang, costruendo un SoulsLike degno di questo nome e dei suoi originali ispiratori. La trama è evidentemente derivata da quella di Dark Souls, ma il setting orientale, cioè l’ambientazione Cinese nella dinastia Ming resa mistica e oscura, la struttura della storia e la regia delle sue Cut-Scene sono figlie dell’epoca moderna e dell’evoluzione che From Software stessa ha portato avanti fino a oggi. Funziona, intrattiene e si lega bene con gli elementi ludici e il gameplay in generale. Un gameplay bilanciato e tosto quanto basta, migliorabile limando qui e là meccaniche che stridono un po’ con l’equilibrio dei combattimenti, a volte complicandoli inutilmente. “Dalla Cina con furore” insomma, Wuchang è un’esperienza che consigliamo di sicuro ai fan del genere Souls, che non potranno restarne delusi. Quanto agli altri, chi si aspettava un gioco più action o uno “Stellar Blade” Ming, non ci siamo proprio: Wuchang è un Souls puro, non perfetto ma appassionato. Di cui non vediamo l’ora di vedere l’evoluzione in futuro.
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Voto Game-experience