Tutti conoscono PacMan: uno dei pilastri assoluti del videogioco, tra i fondatori del media che hanno contribuito a rendere la nostra attuale passione preferita un’industria il cui peso economico e sociale supera da anni quello del Cinema. La palla gialla mangiatutto però è un peso massimo che negli anni ha vissuto “di rendita” sul format geniale che lo ha reso un’icona, fatti salvi esperimenti come il platform 3D che strizzava l’occhio a Mario 64 e poco altro… fino a oggi. Finchè non è diventato il protagonista di un Metroidvania 2D a scorrimento estremamente fisico, in stile Hollow Knight, quindi pure con elementi un po’ “souls” qua e là, sorprendendo con una direzione artistica estremamente oscura e viscerale, un gameplay atipico eppure denso di citazioni all’originale “WakaWaka”. Finché non è arrivato Shadow Labyrinth, insomma.
Ben svegliato numero 8…
Premettiamo che avete visto l’episodio basato sul gioco della serie antologica Secret Level su Amazon Prime, di cui vi abbiamo parlato qui, siete già entrati nell’atmosfera impazzita, carnale e apparentemente distante da quella originale di PacMan che caratterizza Labyrinth. Ciononostante, il gioco si approccia a quell’aura con tempistiche del tutto diverse, ritmi del racconto più rilassati e più personaggi/situazioni interessanti e misteriose, fin dall’incipit.
Come di consueto, chi vi scrive non ama spoilerare le trame e vi farà solo un’intro “di cortesia”, sperando di incuriosirvi. Inizia tutto in un misterioso labirinto, nel quale la vostra anima è stata reclamata e inserita in un corpo diverso dal vostro originale da una pallina gialla che vi bisbiglia inquietante all’orecchio. Siete il tentativo numero 8, vi rivela, il suo biglietto di uscita dal luogo nel quale vi trovate. Iniziate a seguirla, addentrandovi nell’oscurità e imparando a temere quella sfera che si dimostra sempre più temibile: meglio non contraddirla. Con eventi che, di nuovo similmente alla serie tv Amazon, prendono una piega progressivamente più dark e inquietante…
Che poi, a ben pensarci, forse uno dei motivi per cui questa virata narrativa ci è piaciuta così tanto è anche perchè in effetti non si allontana così tanto dalla vibe del PacMan originale: un’entità non specificata che vaga in un labirinto infestato, mangiando senza mai saziarsi e capace di ribaltare la situazione in un lampo passando da preda a cacciatore, nelle giuste condizioni. Shadow of Labyrinth compie solo il passo successivo trasformando l’atmosfera in trama, e lo fa con ottimi risultati, senza complicare inutilmente gli intrecci e mantenendo per tutto il gioco un’aura di mistero intrigante.
Poi, non è certo la storia da sola il motivo per cui vi stiamo parlando e continueremo a parlar bene del titolo, ma “fa la sua parte” ed è uno dei tasselli che contribuisce a rendere unica e sorprendente l’esperienza in game.
Gameplay classico, impegnativo, agile e sorprendente!
Il protagonista di Labyrinth compie un’evoluzione radicale nel corso dell’avventura. In pieno stile Metroidvania, con tutti gli immancabili topoi che contraddistinguono il genere e senza grandi colpi di testa inimitabili sul fronte ludico, ma dunque senza nemmeno peccare di Ubris, e trattando gli ingredienti con una ricetta riconoscibile e dal sapore finale più che gradevole. Bastano pochi minuti per notare i primi cambiamenti, a partire dagli stage “tutorial” dove l’ammantato combattente si muove con lentezza, armato di spada e caratterizzato da movenze che richiamano con forza Hollow Knight.
L’ispirazione dei dev al capolavoro indie di Team Cherry è evidente, non solo nelle dinamiche di combattimento con colpi direzionali (con quello verso il basso che fa rimbalzare in aria il personaggio). Il level design è ovviamente labirintico (nomen omen) ma lascia spazio e respiro a zone più ampie, dove le scenografie passano da strumenti del “gioco” (parliamo di piattaforme, pareti da arrampicata, punti di aggancio per rampini vari e muri da abbattere con questo o quel power up da metroidvania) a elementi narrativi ed evocativi. C’è mestiere, c’è cura e contrariamente a quanto non si possa pensare, l’idea di tradurre PacMan in salsa Metroidvania non fagocita la resa finale, non è “tutto quello che il gioco ha da offrire”.
Shadow of Labyrinth insomma non è “una buona idea” con PacMan dentro solo per poter vendere di più e anzi: la pallina gialla è usata per interazioni ambientali e di gameplay limitate e ragionate, ma non predominanti. E se ci pensate non è nemmeno presente nel titolo del gioco. A nostro avviso questa mancata ostentazione del personaggio è una delle ragioni per cui il mix funziona così bene, e il mix metroidvania classico, fatto di mappe vastissime in cui perdersi, power up da trovare per superare enigmi tra il platform e il puzzle, Boss fight intriganti e nemici minori da evitare è senza ombra di dubbio l’attrattiva principale.
Certo, non è sempre tutto perfetto: i checkpoint a volte sono troppi, a volte troppo pochi. E la fluidità della sequenza di azioni, tra attacchi, salti, rimbalzi e poteri del succitato Hollow Knight non è stata riprodotta alla perfezione nonostante tutto, e gli espedienti ludici pensati per citare PacMan a volte funzionano, a volte meno. Le “rail” lungo le quale scorrere trasformati in PacMan come dei novelli Samus Aran in forma morfosfera (non faticherò per trovare altri paragoni, è inutile: è una meccanica del tutto uguale n.d.r.) dopo un po’ diventano ripetitive, anche quando la difficoltà si fa più elevata e serve una certa precisione per non dover ripartire dall’ultimo checkpoint. Ci sono altre dinamiche simili fortemente citazionistiche, che però si scoprono dopo un tot di ore e dunque preferiamo non spoilerarvi. Tuttavia, di nuovo: l’equilibrio tra il “guarda c’è PacMan” e il gioco originale è buono, il mix ludico funziona benissimo e le ore scorrono che è un piacere.

Direzione artistica folle e ispiratissima
Una menzione d’onore con tanto di paragrafo dedicato va alla direzione artistica: una folle serie di design e trovate pensate evidentemente per sorprendere ora con idee nuove, ora rivisitando il classico PacMan e i suoi avversari fantasmi. Nonchè, l’essenza fluo fatta di luci al neon messa a servizio di inaspettati contrasti tra gli elementi ricorrenti (le succitate rotaie, punti di aggancio per i rampini e via così) e i vari biomi che attraversiamo nel titolo: il cuore di un vulcano attivo, foreste abbandonate, rovine ipertecnologiche e tante altre tutte diverse.
Lo stile grafico scelto è particolarmente azzeccato: un cartoon a colori piatti che ricorda, ancora, un Hollow Knight più “colorato”, messo a servizio di avversari e personaggi che, invece, citano un po’ tutto il panorama dei metroidvania 2D, da Metroid a Megaman, a Ori. Tutti “divorabili” (in pieno stile PacMan post frutta!) per accumulare le risorse che nascondono e che possiamo usare con appositi personaggi, per potenziarci e acquistare oggetti utili a sopravvivere. Il meglio, però, è stato tenuto per i Boss: avversari temibili che includono sempre velati richiami al mondo di PacMan, ma ricercano una spettacolarità straniante fatta di elementi imprevedibili, pattern di attacco vari e impegnativi (non sempre, ma quasi sempre specie dopo le prime due aree) e design sempre un po’ “wtf”, ciascuno per motivi diversi.
Come per le fasi platform esplorative, però, anche i combattimenti non sono sempre fluidi e rispondenti come quelli dei giochi da cui Shadow prende ispirazione. Funziona tutto senza intoppi, cali di frame o problemi tecnici evidenti almeno su Ps5 (su cui abbiamo svolto la nostra prova), ma il ritmo e il flow sono meno continui e “danzanti” di quanto avremmo voluto.
Shadow Labyrinth Recensione
Shadow Labyrinth ci ha sorpresi, coinvolgendoci più del previsto in un titolo che non usa il suo “vip” solo per farsi bello agli occhi dei nostalgici, tutt'altro: decostruisce il personaggio e i mette a nudo i suoi elementi fondanti, servendosene per potenziare un jmpianto ludico metroidvania da manuale con puntuali trovate e citazioni, a volte più, a volte meno riuscite, ma comunque funzionali e ben integrate col contesto. L'esperimento, a nostro avviso, può dunque dirsi pienamente riuscito e meritevole di un sequel, che magari ne limi gli spigoli e ne approfondisca le unicità del gameplay con più coraggio, cosciente del fatto che una base solida su cui lavorare adesso c'è. Non è un gioco da fan di PacMan “e basta”, adoratori dell'arcade e simili. Ma se vi lascerete divorare, scoprirete un'esperienza ben costruita e moderna, che potrebbe sorprendervi o, come minimo, accompagnarvi per parecchie ore nel suo mondo affamato e oscuro…
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Voto Game-experience