Non vi siete accorti anche voi che il Natale, da qualche anno a questa parte, è… diverso? Non sto parlando tanto della condizione climatica, per la quale comunque è già un miracolo vedere qualche fiocco di neve in questa stagione – proprio mentre scrivo, fuori dalla finestra cadono piccoli fiocchi, i primi e forse anche gli ultimi della stagione, utili solo a sporcare le strade e dare fastidio al mio povero cane Charlie che già non ha voglia di uscire quando c’è il Sole, figuriamoci adesso.
No, parlo di altro. Parlo di atmosfera, di evento, di amicizie che possono nascere anche attraverso i videogiochi. Ecco, i videogiochi. Ma dov’è finita la magia del Natale nei videogiochi?
In un pensiero molto boomer, e me ne rendo conto, stiamo attraversando, videoludicamente parlando, un momento storico nel quale la stagione natalizia sta quasi scomparendo dalla concezione del giocatore medio, e questo è molto triste. Ma forse è anche perché Natale, in qualche modo, è ogni giorno. Un tempo l’arrivo del Natale significava scrivere la letterina a Santa Lucia o a Babbo Natale, il demone rosso inventato dalla Coca Cola (no davvero, questo l’ho sentito dire qualche anno fa durante un’omelia), attendere spasmodicamente un nuovo videogioco che sarebbe arrivato con i sudati risparmi, magari anche farsi ore di coda presso un punto vendita che sta facendo un grande evento e offerte imperdibili per poi tornare a casa, sbustare il pacchetto e inserire la cartuccia, il disco o quel che è nella piattaforma preferita.
Ai videogiochi, il natale non interessa più
Ecco, dov’è tutto questo? Io non lo sento più. Sembra quasi che tutta l’industria, arrivata a Natale, entri in un letargo di tergiversazione sperando che siano sufficienti i meme e le offerte dei vari rivenditori per risvegliare il pubblico, o sbattere in faccia a esso tutti gli sconti sui vari store digitali. Offerte che ci sono ogni mese. Ogni settimana. E non parliamo dei negozi, signora mia non parliamo dei negozi, che tra crisi d’identità e crisi invece pesantemente economiche ormai riducono il periodo delle feste alla speranza di trasformarsi in una boa di salvezza per agguantare qualche ignaro consumatore. Dove sono le code per accaparrarsi l’offerta del giorno? Dov’è l’hype per avere tra le mani l’ultimo e attesissimo grande successo dell’anno?
Ma al di là del discorso dei negozi fisici, tristemente destinati a scomparire dalla faccia della Terra (non me ne voglia Gamelife che ha da poco acquisito tutto GameStop Italia, ma ho la sensazione che non sia stata una grandissima idea), c’è anche quello di un’industria che sembra non essere più neppure interessata a spingere sul creare reale coinvolgimento. L’ultima a provarci fu Sony con la sua PlayStation Experience, un momento di unione per la community PlayStation che poteva strabuzzare gli occhi di fronte al futuro. Un evento che apriva le porte al Natale, alla stagione dei regali, alla voglia di entrare in questo magico mondo che poteva essere PlayStation così come qualsiasi altra console – o PC, chiaro. Una vetrina per i grandi brand, che avevano l’opportunità di farsi vedere, sentire, quasi toccare con mano, creando entusiasmo.
E oggi non c’è più nulla. Sony non realizza una PSE da non so più neanche quanti anni – e a dire il vero dopo l’ultima edizione mi viene quasi da dire che è meglio così, mentre si dedica invece a pochissime e a tratti poco comprensibili strategie come quella di illuminare Torino con i simboli di PlayStation. Solo Torino. Microsoft non ha mai creduto nel periodo delle festività, Nintendo si limita a qualche post social e ormai attenderà il 2025 per far vedere al mondo Switch 2, o perlomeno questo è il percorso che la logica suggerisce.
Le aziende guardano altrove
E le altre aziende? E che je frega? Electronic Arts si palesa solo in estate per FC e i giochi sportivi, Capcom e Square Enix dormono attendendo gli eventi dei tre big, Konami sta ancora pensando a quali pachinko e paperelle di gomma realizzare per l’anno prossimo, e Ubisoft sta aspettando che qualche corporazione cinese caritatevole possa fare l’elemosina al povero Yves e alla sua azienda allo sbando più totale.
Se proprio dobbiamo dirla tutta, Ubisoft forse è stata l’unica, da vari anni a questa parte, a provare a riaccendere l’entusiasmo proprio sotto Natale. Ci ha provato l’anno scorso, con Avatar: Frontiers of Pandora, il Far Cry-like che lasciamo perdere che è meglio. Un altro schiaffo in faccia, a se stessa ma anche a un’industria che è tornata a dormire sonni tranquilli di fronte all’ennesima conferma del mercato: il Natale non è più quello di una volta.
Oggi basta andare su Amazon, cliccare su Acquista, e il gioco (nel vero senso del termine) è fatto. Basta code, basta striscioni e addobbi, è tutto finito. Anche perché gli altri esempi di giochi che hanno cercato di sfruttare il Natale sono stati The Callisto Protocol, grande fallimento, e quell’incompreso capolavoro di The Day Before, frutto delle menti di un team che ancora oggi rappresenta un mistero degno di Adam Kadmon.
Ci siamo così fatti due domande: come siamo passati da una stagione delle feste in grande stile, alla decostruzione totale di queste? Quando il Natale si è trasformato in un “facciamo le solite cose tanto la gente compra lo stesso”? Probabilmente la risposta più logica è una, e sempre la solita: il COVID-19. La pandemia ha cambiato non solo le nostre abitudini ma anche come l’industria ha risposto a questi cambiamenti. Alla fine del 2020, senza grandi e costosi eventi in presenza, Sony e Microsoft hanno fatto sold-out con le loro nuove console, e nello stesso momento Nintendo ha venduto quantità spropositate di Switch, Animal Crossing e Mario Kart. Sono bastati qualche post su Meta, Twitter (si chiamava ancora così, quanti ricordi), un trailerino ogni tanto su YouTube, et voilà, risultato assicurato. Alla facciona di chi, fino a 5 o 6 anni fa, spendeva ingenti budget per il marketing.
È il Natale a essere cambiato, o lo siamo noi?