Io me la immagino così una riunione tra i grandi capi di Ubisoft, con il CEO Yves Guillemot che chiede “Cosa facciamo a Capodanno?” e tutti, come noi, che iniziano a sbuffare dicendogli di non rompere troppo le scatole. Capodanno mette ansia. Significa organizzare e fare piani a lungo termine. Piani che vanno fatti pensando al presente ma che poi possono avere intoppi, possono cambiare, modificarsi, mutare, esplodere, ridursi, rivoluzionarsi. Ecco, benissimo, state tranquilli: Yves Guillemot sa già cosa fare a Capodanno, quindi il problema non si pone davvero.
Il fatto è che il Capodanno, per Ubisoft, è ormai qualsiasi progetto
Quello che sta accadendo al gigante francese in questi anni è incomprensibile, frutto di un’involuzione nella mentalità dirigenziale e il modus operandi che potrebbero essere presi d’esempio su come non si deve gestire una grande azienda – ma non per forza grande. Tutto quello che Ubisoft sta facendo sembra remare contro se stessa, approvando progetti folli (l’ultimo sugli NFT, una novità che ludicamente parlando ha già l’età dei datteri) e scelte totalmente discutibili che stanno affossando tutto quanto.
Se pensiamo alla Ubisoft di 10 anni fa, è incredibile pensare come un decennio di decisioni sbagliate possa aver portato Guillemot da leader indiscusso e onnisciente del mercato dei grandi blockbuster (e non solo), a indifeso dirigente che deve guardarsi le spalle dagli investitori inferociti come Giulio Cesare con Bruto. Il cratere finanziario che si sta creando nei conti di Ubisoft è talmente abissale che la NASA sta inviando cosmonauti per verificare se ci sono distorsioni spazio-temporali dentro questa singolarità nel mercato.
Scherzi a parte, torniamo appunto a 10 anni fa, quando Ubisoft era sulla bocca di tutti per i motivi giusti. Nel 2014 (anno più anno meno, non sindacate troppo) sono usciti giochi del calibro di Assassin’s Creed: Black Flag, Unity e Syndicate, Rayman Legends, The Division, Far Cry 3 e 4, Trail Fusion, Valiant Hearts, Child of Light, South Park: Il Bastone della Verità, e ci aggiungiamo anche Watch Dogs che, seppur con tutti i suoi difetti, proponeva comunque un’idea originale che mirava a creare un’alternativa a GTA.
Il marchio Ubisoft sulla confezione di un videogioco era quasi una certezza. C’era fiducia, c’era rispetto nei confronti di un’azienda che aveva saputo sempre mettere la creatività al centro della sua filosofia. La nascita di brand come Prince of Persia, Splinter Cell e il più famoso Assassin’s Creed non è certo casuale, in quanto tutto nasceva dalle menti di alcuni brillanti autori come Michel Ancel e Patrice Désilets che mettevano anima e corpo in un progetto. Certo, era una Ubisoft che si stava già distaccando da quello che era in precedenza, quando ad esempio creava molti più giochi su licenza. Chi si ricorda di “Chi è PK”?, il gioco basato sull’alter ego di Paperino? Un titolo dalle premesse certamente inferiori a un gioco multimegaipersupermiliardario come Skull and Bones, eppure funzionava anche di più.
Ecco, Skull and Bones. Il videogioco che mirava a prendere l’esperienza riuscitissima di Assassin’s Creed IV e portarla allo status di MMO indimenticabile, fondato su una grande community di appassionati e un concept fresco, frizzante, innovativo. Sì, alla fine non c’è stato niente di tutto questo. Dieci anni di sviluppo, chissà quanti soldi bruciati per la realizzazione di un gioco sovvenzionato in parte dal governo di Singapore con Guillemot che già vedeva una sua gigantesca statua in oro massiccio nel centro della città in stile Walt Disney mano nella mano con Topolino alle porte di Disneyland, e… un flop totale, assoluto e incontestabile. Numeri all’inizio buoni, forse anche migliori di quello che si poteva pensare, poi colati a picco come una nave speronata dal demone dell’hype. Hype che, comunque, non c’è mai stato. Per fortuna che si è trattato dell’unico flop dei tempi recenti. Ah no.
Le notizie che arrivano ormai da troppo tempo intorno a Ubisoft non sono certo felici per le tasche societarie. Gli ultimi, grandi prodotti su licenza non hanno rispettato le aspettative. Avatar: Frontiers of Pandora e Star Wars: Outlaws in particolare, entrambi di Ubisoft Massive, sono stati per ammissione della stessa azienda una delusione commerciale, e questo ha anche portato al rinvio del prodotto probabilmente più importante della line up di Ubisoft degli ultimi due anni, Assassin’s Creed: Shadows. Lo ha ammesso anche il vicepresidente e produttore esecutivo del franchise, Marc-Alexis Côté, che a Eurogamer ha candidamente ammesso che qualcosa non è andato come doveva nei giochi dell’azienda transalpina negli ultimi tempi. Côté ha iniziato riconoscendo che “il portafoglio di Ubisoft ha subito critiche negli ultimi anni per una percepita incostanza nella qualità”, e che la community richiede giustamente “maggiore rifinitura, più innovazione e un coinvolgimento più profondo nei giochi pubblicati.”
Dai prodotti su licenza a quelli proprietari, la delusione resta
E se i prodotti su licenza deludono, quelli proprietari non se la passano tanto meglio. Non si parla solo di vendite (che comunque non vanno bene), ma anche di qualità e freschezza. Il bisogno di ricambio si sente terribilmente in un Far Cry 6 qualsiasi, gioco totalmente anonimo, frutto di un concept ormai stantio e incapace di evolversi – per non parlare di FC New Dawn, un vergognoso tentativo che ha scontentato tutti. Ma il discorso, poi, è sempre il solito: mancano le idee, o semplicemente è Ubisoft a non voler più osare e rischiare?
Il paradosso è che ora la nomea della società è quella di un team che non è più capace di dare ai giocatori quello che vogliono, anche se rincorre tutte le tendenze possibili come del resto facciamo anche noi a ogni Capodanno, quando non sappiamo cosa fare. I disastri di giochi come Hyper Scape e Ghost Recon: Breakpoint, realizzati solo ed esclusivamente per cavalcare l’onda del momento, sono solo alcuni degli esempi. E le belle idee iniziano a latitare. Perché anche XDefiant poteva esserlo, ma ormai è arrivato con quei cinque o sei anni di ritardo sulla guerra contro un Call of Duty che ormai sembra essersi ripreso alla grande dopo alcuni anni di debolezza. Poi, Roller Champions? E che è? È durato quanto un ghiacciolo al sole, la gente neppure si ricorda di questa roba. The Crew: Motorfest? Ma per favore, persino Forza Horizon 3 di otto anni fa lo surclassa sotto ogni aspetto.
Ma allora cosa fare? Cosa può essere nato dalle menti di Guillemot e gli altri dirigenti, gli stessi che sono riusciti a far fallire un gioco con il dannatissimo Super Mario in copertina, o a dire ai giocatori che presto dovranno abituarsi all’idea di non possedere i propri giochi? Semplice: più Assassin’s Creed. Certo, è l’idea migliore, quella giusta e funzionale per la tua azienda. Puntare su un’unica IP che ha sempre regalato soddisfazioni. O meglio, un tempo lo faceva.
Dall’epoca delle Crociate di Altair, le cose sono cambiate anche per Assassin’s Creed, prima con il terzo capitolo, poi con Unity, poi Origins. Chi scrive, ad esempio, fan storico della serie che è arrivato a giocare persino i più beceri spin-off mobile, non ha ancora trovato il coraggio di avviare Valhalla, pensando alla quantità di roba finita in una mappa sconfinata e priva di veri spunti. Valhalla, che è stato però anche l’ultimo grande successo della compagnia. Forse è merito della pandemia? A Ubisoft non interessa, e anzi l’idea di fondo dell’azienda, oggi, è quella di far sì che i giocatori restino sempre di più sui giochi targati Ubisoft. Un bell’Assassin’s Creed da 300 o 400 ore, con una mappa grande quanto il Pacifico e millemila missioni tutte uguali. Non è forse una bella idea? E mettiamoci anche che ne faranno uscire uno ogni sei mesi, magari alternando tra la formula classica e quella open world con componente GDR. Ma certo, questa è la soluzione a tutti i mali.
E così, mentre Guillemot si prepara a mangiare il panettone e festeggiare il Capodanno con grasse risate, tutto va a rotoli. Tutta Ubisoft è precipitata in un limbo, un sonno profondo, con progetti dai budget ormai astronomici come Beyond Good and Evil 2 (è stato annunciato nel 2008, quanti caspita di soldi dovrebbe fare per essere profittevole??) e altri che appaiono come buttati in piedi in fretta e furia per cercare di riconquistare l’entusiasmo dei fan. Il remake di Splinter Cell, o il recente annuncio su Rayman che vedrà il ritorno di Michel Ancel, ad esempio. E tutti chiedevamo il ritorno di queste due IP. Ma oggi nulla, neppure il ritorno dell’uomo melanzana, ci fa ben sperare nel futuro di questa compagnia. Auguri di buon anno in anticipo a Ubisoft, perché servirà una bella dose di fortuna per tornare dov’era un tempo.
Io, zitto zitto, me ne torno su Tonic Trouble. Quello sì che era un gioco.