Another Crab’s Treasure è stata una sorpresa inaspettata. Infatti, è uno dei SoulsLike più fedeli mai realizzati nelle atmosfere e nei toni del mondo di gioco e dei suoi abitanti. Tuttavia ha anche un improbabile protagonista Paguro dall’anima evidentemente votata alla parodia. Attenzione a non sottovalutarlo: il videogioco dello studio Aggro Crab (da non confondere con il nome del gioco, il team ci tiene molto!) ha suscitato immediato interesse in tutti i fan di Miyazaki e From Software, che di trailer in trailer hanno visto crescere un progetto ambizioso, divertente e totalmente nelle loro corde. La disponibilità dal d1 su Xbox Game Pass non è stata che il sugello di un successo Indie che forse nemmeno gli stessi sviluppatori si aspettavano, ma che per quanto ci riguarda è più che meritato. Successo annunciato, dunque? Scopriamolo insieme nella nostra recensione di Another Crab’s Treasure.
Anima Oscura allo scoglio
Non serve essere tra i più accaniti fan dei titoli Souls originali di From Software per distinguere la loro atmosfera tipica da quella di altri Souls Like di matrice più “derivativa”, come gli ottimi Nioh di Team Ninja. O, per restare nella casa del maestro Miyazaky, come Sekiro o Bloodborne. Si tratta di un mix preciso di ingredienti che coinvolge il ritmo dell’esperienza, il tipo, la quantità e il tenore dei dialoghi, la distribuzione di spazi aperti, claustrofobici, colorati o grigi e scuri, il tutto amalgamato in un sapore talmente particolare da essere divenuto iconico.
Ecco: la prima cosa che viene in mente giocando Another Crab’s Treasure è proprio: possibile che questo titolo a metà tra Spongebob e un cartone animato anni ‘90… abbia quel sapore? La risposta è sì, lo ha, vagamente più “ittico” del solito, certo, “allo scoglio” potremmo dire. Non solo perché il titolo ha tutte le meccaniche soulistiche possibili, come le anime (le microplastiche in questo caso), la valuta di gioco che va “salvata” dopo essere morti e prima del prossimo inevitabile trapasso, o la si perderà per sempre. O come la barra della stamina per attaccare, l’importanza di schivata e il combattimento attendista e tanto altro. Lo si distingue prima di tutto nelle note amare di un mondo in rovina, che di ambientazione in ambientazione richiama i topoi irrinunciabili dei Souls come castelli, vaste pianure corrotte, paludi velenose e grotte profonde.
Una serie di luoghi che, proprio come nei Souls, racconta la storia di ciò che furono, quindi la sua lore, facendoci arrancare nel torbido di una situazione che ormai sembra (e che probabilmente è) irrimediabile. Fingiamo di dimenticarci del lato parodistico: che pure, come abbiamo ripetuto più volte, è marcatissimo e cita con ilare perfezione le fonti a cui attinge dai videogiochi From. Concentrandoci sulle parole degli NPC, sul loro modo di parlare, su ciò che dicono e sul perché lo dicono, anche i personaggi che abitano queste location sono perfettamente “Souls”. Quindi a volte folli, altre lucidamente malvagi. Altre ancora mossi da buone intenzioni che, però, il marcio incalzante della loro realtà può traviare in qualunque momento.
Facciamo qualche esempio, ma non troppi: spoilerare certe somiglianze e idee del team sarebbe criminale (lasciamo a voi il piacere di scoprirli tutti). Il primo NPC con cui interagiamo è un misterioso squalo giocattolo su uno stecco. Una di quelle pinze che servono per prendere le cose a distanza, ma con la testa di squalo al posto del gancio finale. Andando in ordine dall’indizio più “per esperti” a quello più evidente, nella sua parlantina forbita, nel modo in cui si muove e usa l’unica appendice prensile (la bocca), nel suo ruolo di esecutore di una volontà più alta e, infine, nella sua apparenza estetica imponente, dal lungo “collo” è praticamente impossibile non riconoscere Frampt, il serpente primordiale del primo Dark Souls.
Che dire poi della Regina Granchio, il primo vero Boss che affrontiamo? Non richiama un personaggio specifico solo perché la sua personalità rappresenta un trait d’union fra la maggior parte dei “regnanti” dei giochi From. Che sono esseri potenti ma disillusi, aggrappati a un passato glorioso, o a un ideale. Per quanto cerchino di raggiungerlo al meglio delle loro possibilità, sanno dal principio che… è impossibile. Consumata dalla malattia la cui entità scopriremo solo più avanti, questa regina granchio è un po’ Gwin, un po’ “i principi” di Dark Souls 3; soprattutto, la dovremo affrontare in una sala maestosa, sorretta da grandi colonne distruttibili, apparentemente ricalcata su quella di Ornstein e Smough.
Se non vi siete accorti delle somiglianze non è un peccato. Anzi, probabilmente è perché il trucco degli sviluppatori è ben orchestrato e messo in scena con personalità. Certamente c’è un premio per chi fende la nebbia e raggiunge i rimandi, oltre alla soddisfazione per la scoperta di una trama di citazioni così ben cucita. Parliamo delle risate che vi farete quando noterete che il cavaliere della parte “tutorial” è praticamente il Boss errante della piana di Elden Ring, ma ciò non toglie che sia comunque… un’aragosta. Che peraltro si prende, come tutti tranne il protagonista, incredibilmente sul serio. Se così non fosse, parte del castello di comicità cadrebbe, perché il bello sta proprio nella disparità di tono fra “mondo” e “protagonista”.
Un plauso va perciò alla direzione artistica, che con poche pennellate e modelli semplici, ma ben realizzati, è riuscita a racchiudere in un “guscio” parodistico e affine al tema marittimo originale l’essenza di una serie di titoli tanto cupi e indimenticabili. Senza dimenticarci di doppiaggio e soprattutto localizzazione. Il primo è solo in inglese, ma ben fatto. Ben distinto tra i personaggi che vogliono richiamare l’austerità delle esperienze From e chi, come il paguro protagonista, è in balia di quelle che decontestualizzate sembrano follie e vaneggiamenti. Vale lo stesso per la localizzazione dei testi e dei dialoghi, che separano nettamente, e comicamente, chi dichiara “l’inutilità della ragione di fronte alla bieca violenza del tristo destino”. E chi, invece, grida “COZZA, COZZA, COZZA! E ora che faccio?” ogni volta che deve affrontare un’ennesima avversità inattesa.
In fondo al mar… c’è troppa spazzatura
“Tutto questo in un gioco che pare Spongebob? Ma dai” potrebbe dirci qualcuno. Eppure, sui canali Social ufficiali dello studio Aggro Crab ci sono dozzine di video a riprova dell’attenzione riposta nel design e nella raccolta dei feedback degli utenti. In più, Another Crab’s Treasure non nasconde nemmeno per un secondo una sua ulteriore finalità ancor più alta: un messaggio ambientalista chiarissimo, un grido di aiuto per il mare, che è in serio pericolo. Sempre senza spoilerare niente sulla storia del titolo è ovvio fin dalla prima immersione del pagurino che l’inquinamento degli oceani è un tema portante dell’esperienza.
Lungi dall’essere una “lezioncina” però, Another Crab’s Treasure riesce a comunicare la gravità della situazione al giocatore con eleganza. Lo fa, attraverso tutti gli elementi ludici, di design e narrativi che lo compongono. Lanciando immagini mentali che fanno prima ridere o sorridere, poi riflettere. Impossibile non trovare geniale il percorso di cicche di sigaretta che conduce nella prima area al castello dove riceveremo la nostra prima missione. O sghignazzare, alla vista di un nemico pesce palla che è rimasto incastrato a un filo da pesca a sua volta legato a una roccia, e ci attacca in preda al panico gonfiandosi e sgonfiandosi fino a ficcarsi nel terreno sconfitto. Salvo poi rendersi conto che queste immagini non sono poi così distanti, da quelle registrabili in un qualunque ecosistema marino. Dove quel pesce palla esiste, e sta soffrendo davvero.
Simili trovate non sono solo puntuali o relegate alle ambientazioni. Dove comunque la spazzatura gioca un ruolo chiave nel ricreare panorami allusivi ai classici summenzionati. Con scatolette di metallo al posto delle case, distributori automatici che fanno da montagne e matite legate insieme che diventano barriere insuperabili. Idee simili costituiscono lo scheletro artistico portante del gioco e lo caratterizzano dall’inizio alla fine. Pensiamo al Boss Aragosta nipponica che è visibile anche nel trailer, per esempio. L’enorme samurai estrae delle bacchette dal fodero di carta a mo’ di katana, con grande serietà e incutendo un certo timore. O di nuovo, alla Regina Granchio della prima area, che utilizza un infusore da tè come una gigantesca palla demolitrice. E che, poi, ha pure al suo servizio numerosi cavalieri con una lancia-cannuccia.
I più attenti troveranno di sicuro altre critiche mosse dagli sviluppatori al nostro malsano mondo moderno, sempre ben mascherate da geniali trovate di gameplay o estetiche. Il paguro sfrattato per colpa delle tasse eccessive, costretto ad abitare rifiuti, bucce di banana e persino un granchio morto è un’eloquente stoccata sociale. Così come la presenza di una modalità “ultra-facile” che dota il protagonista di una… guscio pistola. Chi segue gli sviluppatori da più tempo sa che l’introduzione di questo elemento nasce da un meme costruito ad arte. Nei commenti ai post dello studio, qualche mese fa iniziò a moltiplicarsi la richiesta costante di “dare a quel crostaceo una pistola”. “La volevate? Eccola qua” risposero dopo qualche settimana i developer, mostrando le immagini di una modalità facilitata in cui ogni colpo di pistola uccide istantaneamente ogni Boss e nemico…
L’abito fa il paguro
Non avete letto male: nel paragrafo precedente vi abbiamo detto che il protagonista volendo può utilizzare come armatura una lattina, una buccia di banana. O magari un granchio morto. Eppure non abbiamo nemmeno scalfito la superficie dei fantastici sistemi di combattimento, progressione ed equipaggiamento di Another Crab’s Treasure. Che a differenza dei comparti narrativo e grafico non si limitano a parodiare e prendere a esempio Dark Souls, ma accolgono suggerimenti anche da Sekiro. In realtà, la commistione di elementi di gameplay è tanto ben organizzata e, dove serviva, semplificata, che in ciascuna scelta si cela l’esperienza di diversi esempi differenti.
Parliamo della principale e più strutturata feature di tutte: il guscio intercambiabile. Si tratta dell’equipaggiamento con cui vestiamo il protagonista e non è solo un’armatura che difende passivamente dai danni subiti. Ciascun indossabile è anzitutto uno status symbol estetico non indifferente, con una sua descrizione e lore (ovviamente). Ognuno è dotato di una barra degli HP che si sovrappone a quella del personaggio e di un peso, variabili a seconda del tipo di protezione offerta. Una fragile tazzina da tè non difende bene quanto una noce di cocco per dire. Ma la seconda impedisce di schivare rapidamente in sequenza, perché è parecchio più pesante.
Inoltre, ogni guscio ha assegnata un’abilità speciale che consuma una barra di “Umami” (come è chiamato il mana nel gioco, sono punti abilità). Queste skill sono del tutto simili alle ceneri di guerra di Elden Ring, ma prefissate e non modificabili per il singolo pezzo che usiamo come casa. Si passa perciò dall’evocare sfere esplosive al compiere una piroetta che destabilizza chi viene colpito, e tanto altro ancora. Affezionarsi a un guscio specifico però non è consigliabile. Il gioco è pensato per spronare la sperimentazione e il cambio costante di abitazione, distribuendoci ogni volta un nuovo oggetto con cui vestirci quando il precedente, inevitabilmente, si rompe. E va bene così, è divertente e stimolante non fossilizzarsi su uno stile solo. Anche perché ci sono così tante possibilità diverse che la sorpresa vale la rinuncia alla nostra precedente build.
Tantopiù che ci sono anche parecchie costanti ludiche a cui aggrapparsi che non dipendono da come siamo adornati. Fra cui il rampino con cui semplificare le esplorazioni, le combo di attacco sempre uguali, il parry. O ancora le mosse droppate dai Boss sconfitti (versioni rivedute delle stesse movenze che esibivano loro) che si innestano una alla volta come fossero “ultimate”. Se vi sentite soli, infine, potete contare sulla compagnia di un massimo di 3 “coinquilini” della vostra conchiglia. Sono power up quali cozze, vongoloni e stelle di mare o affini che vi forniscono bonus (come fossero anelli nei Souls). Ovviamente, in stile From gli oggetti migliori sono protetti da miniboss o sezioni platform particolarmente più impegnative del normale.
Peraltro, queste istanze non sono segnalate in nessun modo sulla mappa, che è completamente (e meravigliosamente) muta e priva di segnalini, indicatori, direzioni e altro. Non lasciatevi spaventare da quest’ultima frase, ma al contempo non riposate mai sugli allori. Come e più di Dark Souls Another Crab’s Treasure “non è difficile, ma -git gud-”. L’esperienza non è certo tarata per colpire duro quanto i giochi a cui si ispira, sia quando si combatte che nel corso di ogni altro momento ludico. Però sa farsi ricordare, soprattutto, cosa ancora più importante, come anticipato il livello di sfida proposto giustifica l’uso di un guscio piuttosto che di un altro per abbattere specifiche minacce, come i Boss.
Di loro, per non spoilerare, non abbiamo parlato più di tanto. Possiamo solo dirvi senza rischi che sono tutti ben caratterizzati e divertenti da abbattere. Le arene in cui li troviamo sono forse ancor più caratteristiche, proprio come le location visitabili. Che non sono propriamente Open World, ma assomigliano di più ai biomi compatti, ma interconnessi da shortcut, del primo Dark Souls. Che resta inarrivabile, sia chiaro, anche se Another Crab’s Treasure ce la mette davvero tutta per confezionare aree e situazioni stimolanti. Tecnicamente, infine, sia su PC di fascia alta che su Steam Deck non abbiamo nulla da segnalare. Funziona tutto, funziona bene e a fps stabili. I comandi sono responsivi e che si perda o si vinca dipende solo “dalle dita”: non avete scuse!
Versione testata: PC
La recensione in breve
Another Crab's Treasure non vi lascerà “scampo” se siete amanti dei Souls originali e dei loro combattimenti attendisti e strategici, della mancanza di indicazioni e degli scontri con Boss impegnativi, ma abbastanza spettacolari. Anche se l'estetica è iper cartoonosa, i colori sono vividi e le situazioni proposte sono paradossali, l’alternanza di tenore narrativo e contestuale è interessante, il contrasto fra il protagonista sboccato che vuole solo tornare a casa e i suoi avversari che lo riempiono di filosofia e frasi ampollose funziona benissimo. Così come la grafica colorata e cartoon contrapposta all’importante messaggio ambientalista, posto senza appesantire il gioco bensì facendo riflettere con spunti visuali impattanti. Se avete GamePass non avete scuse, fatelo vostro e giocateci. Altrimenti, ignoratelo solo se proprio non digerite i Souls, perchè Another Crab's Treasure è davvero un gioiellino sommerso tutto da scoprire.
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Voto Game-Experience