Abbiamo fra le mani l’ultima opera degli sviluppatori di Team Ninja, che reduci dall’avventura cinese di Wo Long: Fallen Dynasty tornano in Giappone sulle ali di Rise of the Ronin. In questo pezzo, che vi racconta solo le prime ore del gigantesco open world nipponico, non potremo per forza di cose svelarvi gran parte delle ragioni per cui la produzione ci sta sorprendendo: è presto. Non abbiamo visto ancora molto e la trama è alle primissime battute, ciononostante intendiamo gettare le basi per la recensione che seguirà e mettere in chiaro una prima impressione generale, che ci ha parecchio soddisfatto. Tenete bene a mente questo, per cominciare: Rise of the Ronin non è affatto “l’Elden Ring” di Nioh, semmai, è più affine a Grand Theft Auto e a Red Dead Redemption. Vi lasciamo alla nostra prova in anteprima di Rise of the Ronin.
L’occidentalizzazione del Giappone
«Chi ha vissuto l’epoca di transizione al Giappone contemporaneo si sente prematuramente vecchio; perché, anche se da un lato vive nella modernità, dove si discute di biciclette, bacilli e “sfere d’influenza”, dall’altro ricorda con chiarezza il Medioevo. Il buon vecchio samurai che iniziò l’autore di questo libro ai misteri della lingua giapponese aveva il codino e due spade. Questa reliquia del feudalesimo riposa oggi nel nirvana».– Basil H. Chamberlain, Things Japanese (“Cose giapponesi”), 1890.
La Storia (nuovamente con la S maiuscola) che permea la trama del gioco si snoda in un contesto non troppo diverso da questo, dato che Rise of the Ronin è ambientato nella seconda metà del 1800 e, se non consideriamo le meccaniche ludiche spettacolarizzate e gli innesti simil steampunk come lo “zaino alare” fornito al protagonista, si “appoggia” moltissimo al contesto storico di riferimento. Perciò, permetteteci di fornirvi un compendio sbrigativo, ma completo, di quel che accadde davvero nel XIX secolo in Giappone, fosse anche solo per apprezzare di più il lavoro di ricerca svolto da Team Ninja per conservare un’accurata storicità di figure, fatti ed eventi salienti.
Le frontiere del Giappone erano state chiuse dal XVII secolo, sia in uscita che in entrata: quindi agli stranieri era proibito l’ingresso e gli abitanti non potevano andarsene. Questa politica di isolamento (sakoku) rafforzò le tradizioni e il senso di appartenenza del popolo, ma come tutte le autarchie estremizzate lo rese vulnerabile al progresso che intanto, fuori, avanzava supportato da una comune rivoluzione tecnologica e industriale. Tutto iniziò agli inizi del secolo con l’espulsione di alcuni missionari cristiani, avvenuta per ordine dello shogun Tokugawa Ieyasu, fondatore di una dinastia capi militari che, da allora, governò a lungo il Paese relegando l’imperatore a un ruolo puramente simbolico.
L’isolamento giapponese non fu però visto di buon occhio dalle nazioni occidentali, interessate a creare basi per allargare il loro traffico marittimo in Estremo Oriente. FInchè, proprio a metà del 1800, gli Stati Uniti inviarono una piccola flotta agli ordini del commodoro Perry, le leggendarie Navi nere, che minacciarono di bombardare la capitale Edo (oggi Tokyo) se il Paese non avesse accettato un accordo commerciale. Dopo una breve resistenza iniziale, nel 1854 i giapponesi firmarono un trattato di amicizia e pace, che però di fatto li obbligava ad aprire i porti di Shimoda e Hakodate ai mercanti stranieri, dandola vinta agli americani e generando non poche tensioni interne tra fazioni pro-occidente ed elementi fedeli allo shogunato (il governo degli shogun), a loro volta divisi fra chi comprendeva che “non c’era stata altra scelta” e chi, invece, avrebbe preferito la morte all’invasione.
Tra questi, di sicuro figuravano diversi ex-samurai, che avevano visto la loro figura e importanza del tutto ridimensionata, o addirittura annullata, con il progressivo annacquamento dell’etica, dei costumi e delle tradizioni nipponiche in favore di quelle occidentali. Certo, i ronin – e i samurai in generale – non ebbero tutti la stessa sorte e alcuni si integrarono perfettamente nel nuovo ordine, finendo addirittura per occupare ruoli di rilievo nel governo. Altri, invece, si ritrovarono in uno stato di assoluta povertà, continuando a vivere nelle loro abitazioni cadenti come vecchie armi dismesse, inutili nel nuovo mondo modernizzato.
Prologo: la storia delle “lame velate”
La narrazione di Rise of the Ronin si introduce in questo contesto storico tormentato, ma anche fortemente interessante, mettendo sul piatto intrighi, segreti e vicende completamente inventate a servizio degli eventi realmente accaduti, con lo scopo di aumentare la piccantezza del pasto completo. Abbiamo appena raschiato la superficie dell’offerta narrativa dell’action Team Ninja, ma l’incipit è promettente e introduce benissimo il giocatore nell’esperienza, gradualmente e lasciandolo via via sempre più libero di agire: al momento in cui siamo arrivati, non pone, cioè, vincoli importanti né all’esplorazione né all’incontro/scontro con avversari di una certa portata.
E’ il giocatore stesso a decidere se e quando dedicarsi alla ricerca della sua metà: la “lama velata” con cui è cresciuto e che ha dovuto abbandonare in missione, seguendo alla lettera i dettami del suo clan. Le Lame Velate, infatti, sono un gruppo di mercenari a metà strada tra ninja e samurai, i cui vertici addestrano ogni volta una coppia di giovani affinché diventino inarrestabili sia insieme, che separatamente. Per farlo le due “lame velate” devono crescere come fratelli/sorelle inseparabili, conoscersi come non fossero individui distinti, eppure, rimanere in grado di separarsi se lo scopo dei clienti lo richiede.
Così, quando a bordo di una delle “navi nere” del Commodoro Perry viene ordinato al protagonista di rubare dei piani USA segreti e portarli al covo delle lame, l’attacco di un misterioso shinobi vestito di blu ci obbliga a lasciare indietro la nostra metà, che si sacrifica per rallentare l’oppositore. Ci ha messo non poco in difficoltà dover rinunciare a uno dei due personaggi che avevamo creato così amorevolmente, ricorrendo a un editor dettagliato e ricchissimo: non ci aspettavamo di separarci così presto da uno dei due. Infatti, avevamo passato quasi un’ora o più giostrandoci fra le opzioni disponibili: tra slider per regolare parametri dimensionali del viso o del corpo, cicatrici, tatuaggi, muscolatura, età e via dicendo, c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Affezionati creatori di personaggi, non resterete delusi.
Tornati alla base sconfitti, ma con i piani in tasca, verremo attaccati da una fazione di leali allo shogun, che intendono impossessarsi del misterioso carteggio e, pur sconfitti da noi e dalla nostra maestra, riescono a dar fuoco alla base delle lame velate durante la fuga, come monito. In quel momento, rimasti soli e sempre più a terra, un pensiero, una consapevolezza si fa strada in noi all’improvviso: la persona che abbiamo abbandonato in realtà non è morta, e noi possiamo salvarla. Abbandoniamo la strada delle lame velate uccidendo la nostra tutrice, come vuole la tradizione del nostro clan, e diventiamo perciò a tutti gli effetti “Ronin” solitari, mercenari senza padrone con un solo obiettivo: trovare il ninja “blu” che ci ha separate e scoprire cosa è successo alla nostra metà abbandonata. Il tutto, sopravvivendo all’avanzare della Storia (sempre quella con la S maiuscola) presi nell’intrattenente morsa del conflitto tra shogunati, ribelli e invasori stranieri.
Esplorazione e interazioni “alla GTA”…
Insomma, Ronin non è story driven così come non lo sono Breath of the Wild o Tears of the Kingdom, ma l’attrattiva della storia e delle sue cutscene, doppiate sia in italiano (grazie, Team Ninja) che in inglese e giapponese, è indubbia. Sulla mappa, anche se non lo seguissimo mai, un indicatore rosso ci segnala sempre la prossima destinazione “di trama”. Come a dire “fai come vuoi, ma se vai qui (segnalino rosso lampeggiante) potrebbero succedere degli eventi che vorrai vedere, potresti sbloccare una missione, un oggetto raro, o chissà cos’altro”.
Sarebbe facile, se la parte di mondo che abbiamo esplorato non fosse visitabile in così tanti modi differenti, ricchissima di punti di interesse da cui farsi distrarre. C’è davvero l’imbarazzo della scelta e non dovremo per forza stare all’erta tutto il tempo, o combattere continuamente: c’è tempo e luogo per ogni cosa. Per ora, goderci le traversate attraverso paesaggi dettagliatissimi, altimetricamente vari e alternati fra naturali, abitati o abbandonati è stata la parte più importante del gioco. Sia a cavallo, che a piedi, volando con l’aliante-zaino visto nei trailer e, soprattutto, sfruttando il rampino in dotazione per superare crepacci, arrampicarci su luoghi elevati o anche zampettare su semplici istanze platform. Dopo aver attraversato i precedenti giochi di Team Ninja, però, trovarci di fronte a tutta questa ricchezza esplorativa e alla varietà di situazioni proposte ci ha fatto riflettere: cosa vuole essere Ronin? Un Elden Ring di Team Ninja? Un Nioh esteso? O… altro?
I comportamenti dinamici degli NPC, la presenza di un sistema di “karma” che ci rende detestabili alle forze dell’ordine, o alle fazioni storiche presenti a seconda delle nostre azioni benevole o al contrario delle malefatte: tutto questo, e tanto altro che ancora dobbiamo sperimentare, ci ha richiamato alla mente i pellegrinaggi di Red Dead Redemption, le cavalcate di Ghost of Tsushima e persino, quando ci trovavamo in città, le scorribande sregolate di GTA. C’è quel senso di libertà, quella voglia di vedere e fare, la tangibile vibrazione di un mondo capace di offrire di più a chi più si lascerà attrarre da ciò che vede, e sente accadere. Una colonna di fumo da un villaggio attaccato da briganti, una richiesta di aiuto di un passante rapinato, sono tutti indicatori “passivi” che, insieme a quelli espliciti presenti sulla mappa come segnalini, indicano le vie percorribili senza mai obbligarci a seguirle.
E’ presto per dire se Ronin si rivelerà più simile ai recenti Assassin’s Creed, quantomeno relativamente alle possibilità esplorative e al ventaglio di missioni e incarichi proposti. Per il momento, di sicuro Rise of the Ronin ci ha stupito con una cura riposta negli elementi al di fuori del combattimento molto più elevata rispetto ai recenti giochi di Team Ninja, ma ora non pensate male: ciò non significa che “le botte” siano state trascurate. Anzi…
…con un combat system elaborato e soddisfacente “alla Team Ninja”!
…Rise of the Ronin è ludicamente spietato come e più dei suoi predecessori, realizzati dall’unica casa di sviluppo che, nell’opinione di chi vi scrive, è riuscita a rendere identitario e non derivativo il genere soulslike, lasciandone però inalterata la carica immaginifica, il divertimento e la soddisfazione. Chi conosce Nioh 1 e 2 o Wo Long sa di cosa stiamo parlando e quali siano le cifre stilistiche che caratterizzano le lotte degli sviluppatori “ninja”, tra cui spiccano i tecnicismi pari o superiori a quelli di un picchiaduro.
Come per l’esplorazione non ci dilunghiamo in dettagli, perché c’è ancora tantissimo che dobbiamo scoprire prima di poterci dire soddisfatti. Tuttavia, possiamo fin d’ora prepararvi per le difficoltà di un combat system che non ammette ignoranza o errori, in cui ogni colpo inferto o subito può fare la differenza fra vittoria o morte e che, soprattutto, predilige l’abilità del giocatore ai suoi numeri. Se siete bravi a deflettere ogni bordata con tempismo svuoterete la barra dell’equilibrio avversario in men che non si dica, riuscendo a perforarlo con una finisher devastante e scenografica a prescindere dal vostro o dal suo livello, con più di una animazione differente per ogni arma utilizzabile.
Non serve per forza imparare tutti i moveset, comprese alcune movenze particolari e avanzate, per vincere, ma crediamo che il bello delle lotte in Ronin sia proprio scoprire di cosa siamo capaci, per poi mettere in pratica le combo e i volteggi come vere “lame velate”. Non bastassero stili di combattimento differenti (selezionabili dal giocatore come le stance di Nioh) per ciascuna arma bianca, peraltro studiati, copiati e proposti dai dev con la massime fedeltà al vero possibile; due armi principali alternabili anche mid combo e due secondarie per la lotta a distanza; la possibilità di ricorrere allo stealth e al parkour per mettere in confusione i ranghi avversari, sembra ci sia sempre qualcosa da imparare. Un mondo segreto da svelare pian piano di alterazioni di stato, power up, buff e debuff, classificazioni e tipologie di avversari, alleati, Boss e mid Boss, nonché centinaia se non migliaia di equipaggiamenti nascosti in templi, missioni opzionali, stanze celate e rupi solitarie da scalare.
Come da tradizione, infine, non saremo mai a corto di armamenti ed equip, dato che avversari e quest sono zeppe di drop da raccogliere di ogni genere: quasi troppi, a dirla tutta. Ma è folklore, si sa, se non hai il menù pieno di icone colorate con elmi, spade, spadine, lance, coltelli, archi, fucili e pistole, non stai giocando a un Action RPG di Team Ninja.
Rise of the Ronin: chi ben comincia…
Non vediamo l’ora di essere in grado di raccontarvi di più e scendere nei dettagli, apprendendo quanto a fondo si estenda la tana del bianco “usagi” prima che inizi a ripetersi… e sempre che ciò accada. Per ora, la varietà di approcci consentiti è galvanizzante, sia in merito alla prosecuzione nella trama (che figura persino dialoghi a scelta multipla di cui non conosciamo ancora il peso) che allo svolgimento di missioni principali e secondarie, all’equipaggiamento del personaggio e all’esplorazione del Giappone ottocentesco, così accuratamente ricostruito da Team Ninja. Ci è sorta finora solo qualche perplessità di natura prevalentemente tecnica della quale, al momento, sarebbe sciocco parlarvi, dato che stiamo provando una versione non definitiva che, a detta del team, sarà parecchio rimaneggiata prima dell’uscita delle recensioni, e del gioco. Rise of the Ronin parte con il piede giusto, ambientato in un’epoca interessante e caratterizzato a dovere, apparentemente vastissimo ma non per questo noioso. Staremo a vedere.