Due punti di vista sulle recenti vicende che hanno coinvolto i Santa Monica Studio (God of War) e Ron Gilbert (Monkey Island), fra polemiche, critiche e gesti sconsiderati. Due chiavi di lettura di un triste siparietto di cui avremmo volentieri fatto a meno. Due redattori propongono la loro versione dei fatti per invitarvi a riflettere e a considerare ogni aspetto di queste notizie legate fra loro a doppio filo.
Twitter killed the radio star
Altro giro, altra corsa. Anche oggi, la sempiterna giostra di Twitter ha regalato i suoi spettacoli fatti di utenti tossici, prese di posizione molto prevedibili (e condivisibili, ma pur sempre prevedibili) da parte di tanti profili con la spunta blu delle “persone specialissime” ed un capro espiatorio intangibile sul quale deviare l’attenzione, mettendo in ombra dinamiche dell’industria da sempre ombrose e fumose.
L’attenzione oggi è catalizzata sui Santa Monica Studio (God of War Ragnarok) e, in minor parte, sul nuovo capitolo di Monkey Island. Come già accaduto in passato in diverse occasioni, una su tutte con Cyberpunk 2077 e CD Projekt RED, il videogiocatore si è dimostrato (sorpresa sorpresa) un essere di natura tossica. Ma chi è questo videogiocatore? Questo mostro immondo traviato dalla cultura dell’hype e dall’incondivisibile amore violento per i videogiochi? Uno, nessuno e centomila. La figura del videogiocatore è una maschera, un bel bersaglio sul quale sparare quando non si hanno le risposte o non è possibile migliorare la propria posizione.
E comincia dunque il circo delle prese di posizione dove tutti si schierano contro le minacce di morte, le foto di organi genitali inviate a tradimento alle figure femminili di spicco all’interno di Santa Monica e più in generale dell’industria ed a tutti quei comportamenti disdicevoli che riclassificano non soltanto il videogiocatore ma l’essere umano che vi alberga dietro. Ora, ci scuserete se non abbiamo piazzato il disclaimer dove anche noi prendiamo le distanze e ci indigniamo di fronte a tali comportamenti, si tratta di un atto di delicatezza verso i nostri lettori che reputiamo intelligenti abbastanza da capire da soli che mandare foto del pene a qualcuno per qualsiasi motivo (relazioni con il/la/i propri/o/e partner a parte) non è mai una cosa sana, così come non è sano minacciare di morte qualcuno che fa il suo lavoro, lo capite da soli, vero? Io credo di sì, almeno spero. Quindi dove sta la novità? Davvero ai videogiocatori sta bene sentirsi rappresentati da una manciata di elementi tossici? Oppure c’è una dinamica comunicativa che ci sfugge?
Immediatamente, il trend topic non è diventato più “quando esce God of War?” oggi si parla di foto di peni, il riflettore è puntato su quell’argomento. Si tratta di una dinamica molto comune nell’ecosistema di Twitter, gridare all’indignazione verso dei comportamenti ampiamente prevedibili ed allo stesso modo deprecabili da parte di una minoranza assume i connotati di uno specchio per le allodole, allontanando il focus dall’argomento discusso. Ma la domanda a questo punto è: e quindi? God of War?
Se è vero che i comportamenti tossici sono da condannare senza riserve, è altrettanto vero che le personalità di Twitter tendono a sguazzare nell’hype dei giocatori nascondendo dinamiche di mercato anch’esse fortemente deprecabili. Il mondo dei videogiochi post-cyberpunk sta vivendo un periodo di fortissima tensione, da titoli come Dying Light 2 che arrivano alla release con evidenti problemi tecnici fino a titoli altisonanti come Halo Infinite che non riesce a proporre modalità di base per la serie come Forgia e Co-op ed arranca nel supporto alla base del titolo. Anche God of War, così come Starfield e Redout, è un titolo costretto a subire una pressione fortissima da parte del pubblico ma, ancora una volta, il problema è di duplice matrice. Da una parte abbiamo i giocatori tossici, vittime dell’insana corsa all’hardware e succubi dell’hype che impazziscono nell’attesa, dall’altra abbiamo strategie comunicative altrettanto distorte e fomentate da meccanismi di informazione perversi che si traducono in un costante teasing da parte di siti di informazione che pubblicano ogni rumor esistente nella speranza di racimolare qualche altro click.
God of War: Ragnarok era previsto per il 2021 da primo teaser, spostato al 2022 e, nel giorno del signore 01/07/2022 non si hanno ancora informazioni precise circa la data di uscita. Cosa succede? C’è qualcosa che non va? Probabilmente si, eppure tutto tace. Ma quindi, tirando le somme di questa discussione, tutti i giocatori sono dei pervertiti che mandano foto dei genitali su Twitter ai Santa Monica? Perché non chiedono chiaramente cosa c’è che non va? Qui casca il nostro asino. Molti, tanti, troppi, lo fanno e lo fanno anche in maniera pacata e costruttiva ma vengono semplicemente ignorati, oscurati da un piccolo gruppo di invasati che permette ai meccanismi comunicativi di Twitter di prendere il sopravvento nell’ennesimo turbine di positivismo fatto di prese di posizione che, alla fine dei conti, non smuoverà di una virgola il mondo in cui viviamo. Domani qualcuno manderà il suo pene a qualcuno/a e qualcun altro minaccerà di morte qualcun altro perché il gioco X ha avuto i problemi Y e saremo ancora una volta pronti a ripartire con il circo più bello dei social. Intanto per fare un personaggio decente in Diablo Immortals ci vogliono minimo 100.000$, la modalità Co-Op per la campagna di Halo Infinite e la possibilità di rigiocare le missioni arriverà, strettamente in beta, a Luglio e Bobby Kotick viene riconfermato nel consiglio di amministrazione di Blizzard, è una bella giornata.
Alessandro Di Liberto
People have the power (non solo i Santa Monica Studios…)
Che la community di gamers si stesse trasformando sempre di più in un conglomerato di gruppi organizzati di tifosi non era di certo una novità, leggere però determinate notizie nel 2022 fa rabbrividire. La cultura del “tutto e subito” sta prendendo una brutta piega tanto da sfociare in episodi al limite del grottesco. Lungi da me assolvere coloro che si sono macchiati del peccato dei continui rinvii, del crunch e dei giochi rilasciati in versione beta, il dialogo fra sviluppatori e consumatori intensificato sempre di più negli ultimi anni con l’esplosione dei social network pare essere deragliato dai binari della logica e del buon senso. Da una parte abbiamo i game designer sempre più icone ed influencer intenti a condividere ogni instante della propria vita stuzzicando la fantasia dei fan, dall’altra parte la fanbase inferocita vomita quotidianamente il proprio malcontento sulle pagine e sui profili dei propri beniamini, rei di aver rovinato questo o quell’altro gioco, come a reclamarne la paternità in quanto consumatori fedeli e di lunga data.
L’apoteosi dell’assurdo avviene quando alcuni deficienti, fortunatamente limitati a poche unità di mine vaganti, decidono di fotografarsi il proprio membro ed inviarlo ai profili social di alcuni dipendenti di Santa Monica Studio, in particolar modo la Cinematic Producer del prossimo God of War Estelle Tigani. Il motivo? Secondo alcuni leakers nella giornata del 30 Giugno la software house autrice della serie di God Of War avrebbe dovuto rilasciare nuove informazioni, data di rilascio in primis, circa la nuova avventura di Kratos e Atreus prevista per la fine del 2022 su PS5 e PS4 e in sviluppo proprio presso i Santa Monica Studios. L’indiscrezione proveniente dai noti insider Jason Schreier e The Snicht non era però mai stata confermata dai Santa Monica stessi che, tenetevi forte, quel 30 giugno non hanno svelato proprio un bel niente. Apriti cielo: tra alcune frange di presunti appassionati si è scatenato un vero e proprio putiferio. La delusione e lo sdegno hanno lasciato il posto alla follia e alle molestie vere e proprie, perché è di questo che si trattano, tanto che alcuni facinorosi utenti del web hanno pensato bene di tempestare di dick pics (sì, avete letto bene) la Tigani e altri dipendenti della software house con sede nel comune losangelino. Cory Balrog, director di alcuni dei più importanti capitoli della serie, è intervenuto attraverso il suo profilo Twitter per denunciare l’accaduto, evidenziando la gravità del gesto. Per fortuna altri volti noti del business del videogame si sono subito mostrati solidali con Balrog, Tigni e il resto del team come ad esempio Phil Spencer, CEO di Microsoft Gaming e volto di Xbox che ha voluto ringraziare i Santa Monica Studios per il lavoro svolto aggiungendo di essere in trepidante, ma comunque con tutta la dovuta calma, attesa per l’uscita del nuovo capitolo di God Of War.
Odio e ignoranza che hanno coinvolto non solo i Santa Monica Studios ma anche Ron Gilbert dopo il reveal dell’extended trailer dell’attesissimo ritorno di Monkey Island durante lo scorso Nintendo Direct Mini. I fan di vecchia data non hanno gradito il cambiamento di stile del gioco, passato dalla cara, vecchia (ed abusatissima) pixel art ad una ben più moderna veste grafica in stile cartoon. La mossa, così come il gioco stesso, è presumibilmente un tentativo per poter avvicinare nuovi fan ad uno dei brand più iconici del mondo del PC gaming nonché una delle avventure grafiche più importanti di sempre. Ron Gilbert, ideatore della serie a capo dei lavori anche di questo nuovo capitolo previsto per il tardo 2022, ha deciso quindi di riplasmare la propria creatura donandogli un vestito del tutto nuovo, pur mantenendo quello spirito scanzonato ed ironico che l’ha contraddistinto nel corso degli anni ’90. Un’operazione vista però come un tradimento da alcuni “appassionati” che si sono scagliati contro l’autore di videogames americano il quale, in tutta risposta, ha deciso di abbandonare i social network.
“Chiuderò i commenti. Le persone sono semplicemente cattive e sono costretto a cancellare alcuni commenti che rappresentano un attacco alla mia persona.” recita l’ultimo post di Ron Gilbert. E ancora – “Giocatelo o non giocatelo ma non rovinate l’esperienza a tutti gli altri“. Una frase così ovvia quanto assurda da dover ribadire in un ambiente che si sforza quotidianamente di essere quanto più inclusivo ma che si riconferma sempre più tossico e mascolino, da ambo i fronti.
Non fraintendetemi, il diritto di critica è sacrosanto. Spingere però l’essere umano, perché pur di quello si sta parlando, a dover prendere delle decisioni più o meno drastiche come nei casi sopracitati è sintomo di un’ambiente sempre più vittima di coloro che credono di poterlo controllare e dirigere a proprio piacimento. Il controller, la tastiera e il mouse si trasformano quindi in una sorta di bacchetta magica, uno scettro del potere con il quale impartire istruzioni a chi questi “giochini” li fa da parecchie decine d’anni. Discutere delle proprie passioni è bello, ed è così che sul calare degli anni ’90 si sono diffuse a macchia d’olio le community sui videogames, tanto che la barriera fra coloro che i giochi li creano e coloro invece che ne fruiscono si è assottigliata sempre di più fino a sparire negli ultimi anni.
Questo però ci ha portati a credere che in qualche modo queste opere ci spettino di diritto, altre volte addirittura ci appartengano, tanto da dimenticarsi le persone, gli esseri umani che stanno dietro alla realizzazione di ciascun titolo. Non credo che vada eretto nuovamente un muro fra pubblico e addetti ai lavori, quanto più bisognerebbe prendersi maggiormente le proprie responsabilità su ciò che si dice e ciò che si scrive sulla rete. Prima della vicenda Santa Monica Studios il review bombing, ad esempio, si è rivelato uno degli strumenti più efficaci quanto sregolati dell’ultimo anno per poter esprimere il proprio dissenso nei confronti di determinate scelte da parte dei game director, una class action che però ha spesso nascosto intenzioni di carattere razzista, omofobo e sessista. Forse canalizzando meglio le proprie energie si potrebbe davvero ottenere da più dall’industria dei videogiochi, che rischia di apparire al mondo esterno come l’ennesima gabbia dove chiunque può riversare le proprie frustrazioni con la certezza di rimanere impunito. Scegliamo il prodotto che più ci piace, esaltiamoci per un nuovo annuncio e critichiamo ciò che non ci sta bene ma lasciamo le torce e i forconi a chi non ha alcuna intenzione di divertirsi. E se proprio dovete incazzarvi fatelo su qualcosa per cui valga davvero la pena.
Matteo Marchetti