Sushipotato è una streamer giapponese, attiva su Twitch, che per volto e modo di vestire può anche passare per una straniera, o “gaijin” come vengono definiti in Giappone. Il suo look, nel corso di una diretta streaming, le è costato una spiacevolissima avventura, quando il buttafuori di un locale nipponico che non ammette stranieri ha deciso di sbatterla fuori dal locale in malo modo.
Un video che è immediatamente divenuto virale, e che potete visionare cliccando sul seguente link, che ha subito scatenato l’indignazione del web per lo sfacciato razzismo con cui viene trattata la giovane. Il buttafuori infatti prima le strappa l’ombrello per lanciarlo in strada, poi afferra la ragazza per lo zaino e la trascina letteralmente sul marciapiede li vicino.
Sushipotato è ovviamente sconvolta da questo trattamento, riservatogli esclusivamente per la curiosità da lei dimostrata circa la politica d’ammissione nel suddetto locale evidentemente razzista. Lei, pochi attimi prima del breve estratto video raggiungibile dal link nel precedente paragrafo, avvicina infatti il buttafuori per chiedere se nel locale siano ammessi stranieri. Questo risponde di no, al che la ragazza sbotta e comincia a tempestarlo di domande.
“Sono straniera?” chiede la ragazza, cittadina giapponese, in inglese, quindi torna alla sua lingua natia e prosegue: “Non sono una straniera! Ma tu hai apopena detto che gli stranieri non sono ammessi, il che è terribilmente razzista! Hai creduto fossi una gaijin per via della mia faccia e per come vesto, e questo non va bene”. Quindi Sushipotato si siede e, prima di essere cacciata con le cattive maniere, spiega ai suoi spettatori che tali comportamenti non sono affatto rari in Giappone.
Ora, nonostante tutto il fascino che copre il paese del Sol Levante con la sua aura di mistero, storie come questa avvenuta a Sushipotato sono utili affinché i troppi occidentali con una romanzata idea del Giappone arrivino a realizzare che anche quel paese ha i suoi bei difetti, e che c’è razzismo anche laggiù. Razzismo che potrebbe rivolgersi a noi stessi se in Giappone commettessimo l’errore di sedere al posto sbagliato.